Tutti gli uomini del re (All the King's Men)
Steven Zaillian - USA/Germania 2006 - 2h 20'

da Libero (Giorgio Carbone)

    Tutti gli uomini del re. Un bel titolo che una sessantina d'anni fa lo scrittore "sudista" Robert Penn Warren ricavò da una filastrocca popolare che raccontava la caduta di un tiranno («e tutti gli uomini e tutti i cavalli del re non bastarono a rialzarlo»). Per il protagonista del suo romanzo, Willie Stark, Penn Warren si ispirò a Huey Long, governatore della Louisiana durante gli anni Trenta, ucciso durante un comizio (per ragioni extrapolitiche). Arrivato al potere sulla base di un programma populista e progressista, Huey, come accade a tanti demagoghi, si rivelò un vero tiranno. Fece anche "del bene" come accade spesso ai ducetti (costruendo scuole e ospedali) ma lo fece con metodi peggio che riprovevoli, appoggiandosi ai gangsters e ai ricconi tangentisti. Tuttavia fu adorato dal popolo della Louisiana, che al momento dell'omicidio, spingeva per portarlo alle elezioni presidenziali in concorrenza con Franklin Delano Roosevelt. La dimostrazione che Huey rimase nel cuore degli elettori, fu l'elezione, qualche anno dopo, del fratello minore a governatore dello stato (un buon governatore, raccontano, senza il pelo sullo stomaco e le smanie dittatoriali di Hey). Nel 1949 Tutti gli uomini del re divenne un gran bel film diretto da Robert Rossen che fruttò l'Oscar a Broderick Crawford (una vera forza della natura nei panni di Wiliie-Huey).
Il remake, oggi, di quel film più che alla struttura del romanzo di Penn Warren si rifà a quella della riduzione teatrale dello stesso andata in scena a Broadway nel 1960. La parabola di Willie Stark è raccontata in flash back dal giornalista Jack Burden, che era stato il portaborse di Willie, e l'uomo che ne conosceva a menadito ogni miseria e ogni grandezza. Vediamo Willie partire da popolano ruspante e pieno di buone intenzioni. Quando sale per la prima volta sul palco, c'è tanto marcio in Louisiana e la popolazione aspetta un uomo del destino che faccia pulizia. Quell'uomo è Willie. A dire il vero, all'inizio, alcuni responsabili del marcio cercano (riuscendoci) di strumentalizzare per i loro scopi questo tribuno plebeo che ha un effetto magnetico sulla folla. Ma Willie si accorge presto della trappola e durante un comizio denuncia gli inghippi. L'hanno trattato da minchione? E lui sarà il capo di tutti i minchioni della Louisiana. L'unione dei minchioni porta un anno dopo Willie al governatorato e gli concede un potere immenso. Di cui spesso abusa. Se qualcuno si mette in mezzo lo fa togliere di torno dai suoi scagnozzi. A parole continua la sua campagna di togliere al ricco per dare al povero, però si tiene tante cose per sé (inclusa la donna del suo portaborse). Finché non gli arriva una pallottola da dove non se l'aspettava...

da Rolling Stone (Francesco Alò)

        Affresco storico e metafora politica, scontro di classe e perdita dell'innocenza, disillusione ideologica e dramma psicologico. Tutti i film che Zaillian ha sognato non stanno nelle due ore e venti minuti di Tutti gli uomini del re, terza regia della penna di Schindler's List e secondo adattamento dall'omonimo romanzo di Robert Penn Warren su ascesa e caduta di Willie Stark, ispirato al governatore della Louisiana anni 30 Huey Long. Qui, molto diversamente dall'originale di Robert Rossen del '49, il protagonista è il giornalista disilluso Jack Burden (Law) piuttosto che il famelico Willie Stark (Penn), un incrocio tra Berlusconi e Celentano. I due si incontrano e si piacciono. Ma Burden vedrà Stark distruggergli vita e affetti. Law e Penn meriterebbero un film tutto loro. Ma Zaillian scrittura anche Kate Wìnslet, AnthonyHopkins, Mark Ruffalo e Patricia Clarkson. Troppi galli per un pollaio così piccolo. Cinque ore di durata e avremmo un capolavoro.

da Il Messaggero (Fabio Ferzetti)

        ...Più che dagli anacronismi lo spettatore italiano sarà forse disturbato da un doppiaggio che regala al "sudista" Sean Penn un assurdo accento ciociaro-partenopeo (ma pare che i toni british di buona parte del cast in originale non siano più appropriati). In compenso Zaillian azzecca la mossa chiave del racconto sospendendo la parabola del politico "zotico" allo sguardo estraneo e straniato del giornalista Jude Law, che affascinato dal demagogo e dalla sua energia finisce per rinnegare e tradire il suo giornale, la sua classe sociale, la sua stessa famiglia, in un processo di identificazione mista a repulsione (e autodistruzione) tratteggiato con insinuanti accenti noir.
Niente di originale: come molti film di sceneggiatori,
Tutti gli uomini del re è privo di vero stile ma pieno di trovate, di dettagli, di effetti di buona scuola. Perché in America studiano, conoscono i classici, maneggiano con dimestichezza la grammatica e se occorre la retorica dei generi. Peccato che allo smaltato cast di bei nomi, tolti Sean Penn e l'untuoso Gandolfini, manchino l'impeto, il calore, la simpatia (o la schietta antipatia) dei loro personaggi. Come, del resto, in troppi film Usa di questi anni.

 

promo

Un politico venuto dal nulla, ma proprio per questo capace di parlare alla pancia e al cuore della gente, sale tutti i gradini del potere fino a rivelarsi fatto della stessa pasta dei maneggioni che voleva combattere. Affresco storico e metafora politica, scontro di classe e perdita dell'innocenza, disillusione ideologica e dramma psicologico. Questo secondo adattamento dall'omonimo romanzo di Robert Penn Warren su ascesa e caduta di Willie Stark (ispirato al governatore della Louisiana anni 30 Huey Long) è un robusto film di sceneggiatura, scarno nello stile, ma pieno di trovate, di dettagli, di effetti di buona scuola. Perché in America conoscono i classici, maneggiano con dimestichezza la grammatica e, se occorre, sanno rinverdire la retorica dei generi...

TORRESINO gennaio 2007
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