(aprile)
maggio-giugno 2004

bimestrale di cinema, cultura e altro...

n° 10
Reg.1757 (PD 20/08/01)

 

    Apriamo questo decimo numero con le cronache di Udine e Bellaria . Cinema vivace e innovativo che va (in parte) a tamponare l'invadenza commerciale nel circuito distributivo italiano. Se giugno segnala alfine alcune opere intense e di vera autorialità (Benvenuto Mr. President, Oro rosso, El abrazo partido, Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera, L'angelo della spalla destra) il cinema d'essai, in questi ultimi mesi, è stato messo all'angolo (al botteghino) da blockbuster come Troy, The Day After Tomorrow, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban a cui solo I diari della motocicletta ha saputo rispondere con autorevolezza. Ora i Coen sono riusciti a dare una scossa, ma, per restare al nostro osservatorio padovano, solo qualche settimana fa la tanta attesa multisala Portoastra (davvero ben strutturata per architettura e qualità audio/video) occupava ben 5 dei suoi sette schermi proprio con le proiezioni di Troy,  The Day After Tomorrow ed Harry Potter...
    Guardiamo oltre, aprendo nuovi spazi per il nostro magazine e segnalando alcuni
itinerari turistici e appuntamenti d'arteche ci consolino della mediocrità delle cineproposte. Varato positivamente lo scoglio (locale) delle consultazioni comunali (lo slogan "meno Destro per tutti" ha dato sorprendenti frutti ), ci attendono ora altri responsi: quello delle elezioni provinciali e quello degli europei di calcio. Delusioni in arrivo?

   Il Far East Film di Udine (per gli amici FEF, quest’anno si trattava della sesta edizione) non è mai stato un festival da grandi riflettori. I giornalisti che ci vanno non hanno il dente avvelenato, attori e registi fraternizzano col pubblico di loro spontanea iniziativa, il pubblico stesso non è trattato come bestiame (viene chiamato in prima persona a votare i film!) e ultimo, ma non meno importante, l’organizzazione è impeccabile e “amichevole”.    Altra cosa fondamentale, al FEF nessuno cerca il capolavoro: ci si va per aprire gli occhi su cinematografie lontane, e che spesso non trovano posto (o ne trovano poco) nei festival, maggiori o minori. Tralasciando Hong Kong e Corea del Sud, ormai sotto i riflettori da anni, visti anche i moltissimi premi conquistati da quest’ultima in giro per l’Europa (ultimi il Gran Premio della Giuria a Cannes per Oldboy di Park Chan Wook e il Premio per la Regia a Berlino per Samaria di Kim Ki Duk), gli spettatori della manifestazione udinese, l’ultima edizione si è svolta dal 23 al 30 Aprile, hanno potuto dare un’occhiata ad alcune perle giapponesi (come The Twilight Samurai di Yamada Yoji, candidato all’Oscar, e il demenziale Kisarazu Cat’s Eye), qualche exploit filippino (niente male Keka, una specie di La sposa in nero virato in commedia, poca cosa gli altri due prodotti presenti), qualcosa dalla Thailandia (tra cui l’applaudito, ma non eccelso, Beautiful Boxer di Ekachai Uekrongtham, visto nel Panorama di Berlino 2004) e una interessante selezione di film cinesi, che mostra come questo Paese conosca oggi una piccola serie di nuove leve da tenere d’occhio: Nuan di Huo Jianqi e The Coldest Day di Xie Dong si sono rivelati due dei migliori film del Festival, assieme al discusso Baober in Love, un’eloquente metafora della modernizzazione selvaggia in atto in Cina in questo momento. Accanto alle sezioni dedicate ai vari paesi (grande assente di quest’anno è stata Taiwan), due retrospettive, accanto ad un piccolo omaggio al cinese Zhang Yuan attraverso i suoi tre ultimi lavori.

La prima mini-personale ha riguardato Ichikawa Jun, maestro giapponese praticamente sconosciuto in Occidente, di cui sono stati proposti quattro lavori: se nei primissimi giorni non sono stati molto apprezzati Busu (1987) e Tokyo Marigold (2001), piccole storie di una società urbana timida e piccolo borghese, in seguito il pubblico del FEF ha salutato con grande calore lo straordinario Dying at the Hospital (1993), che incrocia microstorie in campo lungo di pazienti che stanno morendo all’ospedale, e lo scioccante Tadon & Chikuwa in cui un tassista prima e un delirante intellettuale poi apprendono di essere arrivati al capolinea di una mediocre esistenza.

     Ma la retrospettiva più succosa interessava Chor Yuen, maestro dei generi di Hong Kong, dalla produzione sterminata (oltre 100 pellicole che spaziano dalla commedia sociale al gangster movie passando per tutto l’esistente, e con preferenza per il melodramma), di cui erano presenti 11 opere esemplificatrici: dal personalissimo giallorosa The Black Rose (1965) al capolavoro The Winter Love (1968, senza dubbio il film più bello dell’intera manifestazione), alla commedia sociale House of 72 Tenants, per arrivare al wuxiapian (film di cappa e spada) Killer Clans (1976), e soprattutto allo splendido Intimate Confessions of a Chinese Courtesan (1972): chi pensa che Tarantino sia un genio dovrebbe guardarselo e riguardarselo, per capire quanto il regista americano abbia da qui scopiazzato, per non dire bassamente plagiato, nel suo Kill Bill (compreso il finale sulla neve del volume 1, identico!).
      L’evento conclusivo è stata la proiezione di Tae guk gi di Je-gyu (Jackie) Kang, il film coreano più costoso (e più visto) di tutti i tempi: un war movie ambientato durante la guerra di Corea che ha scosso la platea, tanto da guadagnarsi, subito dopo la proiezione, il secondo Premio del pubblico (il primo è andato a The Twilight Samurai). Il film di Kang, che già nel 1999 battè ogni record d’incasso locale con Shiri, è la dimostrazione che si può coniugare spettacolo e personalità di sguardo senza alcuna svendita al gusto corrente, anche se la regia si ispira chiaramente a Salvate il soldato Ryan di Spielberg.

    Forse quest’anno sono mancati nuovi grandi film (l’edizione 2003 si era conclusa con un capolavoro assoluto, PTU di Johnnie To film successivo in archivio), ma la qualità media è stata sicuramente buona, anche se con qualche piccola delusione, come i due film di Johnnie To proiettati in apertura e chiusura, Running On Karma e Turn Left Turn Right, sicuramente due prodotti non all’altezza del grande regista hongkonghese, o come il pompato Legend of the Evil Lake, wuxia coreano costoso quanto mediocre. Niente che non faccia venire la voglia di tornare a Udine anche l’anno prossimo, comunque...

Pietro Liberati
 

 

 Ventidue sono gli anni che ha compiuto quest’anno Anteprima per il Cinema Indipendente Italiano, Film Festival di Bellaria. Dopo varie fortune – è sopravvissuto all’infausto accorpamento di AdriaticoCinema che, riunendo tre cine-festival, il Mystfest di Cattolica, Riminicinema e, per l’appunto, Bellaria, è riuscito a far scomparire i primi due – è approdata alla tri-gestione di Morando Morandini, Antonio Costa e Daniele Segre da tre anni realisatéurs del loro mandato con rigore ed apertura mentale (anche pragmatica) davvero encomiabili.
     Attento alla cinematografia indipendente e giovane, il festival presenta ogni anno pellicole e video in concorso, oltre ad eventi specifici di rilievo. Tra questi piace ricordare quello attuale, dedicato all'originale, straordinaria filmografia di
Michele Emmer, matematico, docente universitario, giornalista, cineasta, attore e molto altro, insomma uno degli ultimi eclettici...
    Nato a Milano nel 1945, si è laureato in matematica col massimo dei voti presso l’Università di Roma con una tesi su di un lemma di Caccioppoli, il protagonista – segno del destino? – di Morte di un matematico napoletano di Martone.
Ordinario dal 1986 alla Sapienza di Roma, ha insegnato in tutta Italia (Venezia, Viterbo, Sassari, Ferrara, Trento) ed è stato professor visiting a Parigi, Barcellona, Princeton.
     Il suo curriculum è di straordinaria ricchezza. Presidente, per tre anni, della Associazione Italiana di Cinema Scientifico Michele Emmer si segnala come regista ed autore di film e documentari per la RAI, per altri networks ed Istituzioni estere, vincendo numerosi premi in vari festival del cinema scientifico.
       Con un esordio cinematografico  come attore nel 1954 (Camilla di Luciano Emmer, su sceneggiatura di Flaiano) arriva a collaborare, come aiuto-regista, a La ragazza in vetrina, sempre di Emmer (1961).
Se i suoi film vantano traduzioni in francese, inglese, spagnolo e giapponese, sono state organizzate diverse rassegne sui suoi lavori, tra cui al Museo del Cinema di Torino, al Parc de la Villette, a Parigi, in Giappone, in Francia.
      Dal 1997, presso Ca’ Foscari di Venezia, organizza i convegni “Matematica e Cultura” a cui, negli anni, partecipano, tra i tanti, Peter Greenaway, Mario Martone, Roman Vlad, Paolo Portoghesi, Luca Ronconi, Bustriç ed altri. Nemmeno la parola scritta manca alla sua multiforme e congeniale professionalità e nel 2002 pubblica “Matematica, arte, cinema” per la Springer Verlag italiana e, in edizione ampliata, per quella statunitense.
         Tra le sue opere per il cinema la scelta di Bellaria è caduta su: Bolle di sapone, Clerici e Mozart, El Lissitsky, Flatlandia ed Il mondo fantastico di Mauritius Cornelius Escher, del 1994, quest’ultima riguardante il noto genio olandese di cui Emmer s’è occupato più volte con altri testi audiovisivi.

Nel cinema di Michele Emmer le cifra stilistiche e contenutistiche ricorrenti sono la ricerca metodologica ed il senso dell’insegnamento che pervadono ed impreziosiscono tutto il suo percorso creativo: una metodica accattivante, lucida, semplicemente geniale o genialmente semplice.

Maria Cristina Nascosi


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in rete dal 23 giugno 2004


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