Cade
quest'anno il centenario della nascita di
Marcello Mastroianni
(28 Settembre 1924 – 19 Dicembre 1996). All'unico vero
Divo del nostro cinema, noto in tutto il mondo, che ha
lavorato con i più grandi registi italiani, da Emmer a
Scola, da Visconti ad
Antonioni, da Ferreri a Bellocchio, ma anche
all'estero, con Polanskj, Michalkov, De Oliveira, La
Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia ha
dedicata una Mostra fotografica (Marcello,
come here...Cent’anni e oltre cento volte Mastroianni
- Venezia, Isola di S. Servolo - 30 agosto '24/ 9
gennaio '25), ma vogliamo qui ricordare l'omaggio organizzato nel 2016 al
cinema Lux
di Padova su un'idea di Franco Pavanello (e a cura di Alessandro Tognolo)
in cui fu proposta una
rassegna di quindici film per ripercorrere la carriera del grande Marcello.
Per l'occasione ci fu, in chiusura, un'intera giornata a
lui dedicata, con
un pomeriggio tutto di proiezioni (altri cinque titoli)
e, in mattinata, una tavola rotonda in cui Antonio
Costa, Mario Serenellini, Mario Canale e lo stesso
Pavanello rievocarono da punti di vista diversi la
figura dell'indimenticabile attore. Così, per ricordare
nella ricorrenza, questa figura ormai iconica del cinema italiano
(nei suoi aspetti professionali, ma soprattutto umani),
riportiamo in questo numero la relazione introduttiva al convegno di
Alessandro Tognolo che si
sofferma sul perché abbia un senso ricordare Marcello e
l'intervento di Franco Pavanello,
che getta una luce personalissima e divertente sull'uomo
Mastroianni.
“La
memoria va alimentata. La memoria di qualsiasi
cosa: di una canzone, di un avvenimento, di un
cibo anche, perché́ poi questo cibo magari ci lega
ad un momento particolare, ad un incontro, ad una
festa. Gli odori. Un paesaggio. Io amo la
fantascienza, persino in un film di fantascienza,
per esempio in
Blade Runner, il replicante soffre,
soffre in una maniera struggente perché, come
replicante, non ha un passato, quindi non ha una
memoria. E questo dà la misura di quanto sia
importante. Io mi ricordo - non so le l’ho letto,
l’ho visto in un film, non mi ricordo dove - un
canto navajo, indiano, che dice: tutto quello che
hai visto, ricordalo, perché tutto quello che
dimentichi, ritorna a volare nel vento.”
Marcello Mastroianni
È
davvero necessario ricordare Marcello
Mastroianni? A partire da questa provocazione,
la cui risposta si presenta eminentemente ovvia
quanto critica e decisamente non scontata, i
relatori della nostra tavola rotonda - ai quali va
un affettuoso ringraziamento per la generosa
partecipazione - tenteranno di dare forma ad un
discorso che vuol essere prima di tutto il
tentativo di sviluppare e analizzare il sedimento
di ricordi, emozioni, suggestioni determinati
dalla vita di un uomo che è divenuto per un
numero pressoché́ incalcolabile di volte il corpo
malleabile del cinema.
Mastroianni così, nelle sue sornione e italiche
peculiarità, è l’occasione, inevitabile, per
parlare di cinema, avendolo egli penetrato come
una radice germinante, un filo elettrico
conduttore di un (dis)incanto volubile, necessario
e in definitiva, appassionato. Il cinema si è
servito di lui così come lui si è sostenuto
grazie ad esso, in un’interdipendenza ossessiva,
rituale, meccanica come l’atto respiratorio:
vivifico e vitale. Che piaccia o meno - gli esiti
del resto sono patrimonio della memoria
collettiva, a volte più̀ (troppo) marcati di altri
- Mastroianni, quasi fino all’ultimo
respiro, si è confrontato con la macchina da
presa di fronte: lontano dal mito, lontano dal
divismo, emerge quel senso di consapevolezza della
finitezza dell’esistenza, proprio di ogni visione,
di ogni rappresentazione, di ogni produzione
dell’immaginario. Da un set all’altro per
procrastinare l’interruzione di un sogno, nel
tentativo di esorcizzare il timore di dover
affrontare un risveglio banale e monotono e
scongiurare quell’aura che gli è stata cucita
addosso, come se fosse un esito che non gli
appartenesse o, addirittura, fonte di dispiacere.
Da qui, con aria indolente, ma sempre piena di
ironia, il suo volto si è fatto interprete di
quella malinconia di chi vede tutto quel mondo di
cui fa oramai parte come qualcosa di decadente ed
effimero.
Ricordare Marcello è prima di tutto celebrare la
potenza incessante che percorre il dispositivo
cinematografico.
E la forma che si è voluta dare a questa giornata
in sua memoria e prima ancora alla rassegna che
l’ha preceduta, tiene conto dell’eterogeneità,
del conflitto, e della mutevolezza dei generi, e
degli sguardi, ironici, appassionanti, politici,
visionari, poetici e realistici che restituiscono
quel gioco - a volte anche serio - che ci incanta
seduti su una - spesso scomoda - poltroncina in
sala.
«I paradisi migliori sono i paradisi perduti.
Ma per me i paradisi migliori sono quelli che non
abbiamo ancora vissuto». Mastroianni
amava citare Proust e queste parole sono un invito
a privilegiare la vita e non rimpiangere ciò che
ineluttabilmente non c’è più.
Alessandro Tognolo |
Io ricordo bene che in gioventù eravamo in
molti ad apprezzare questo attore e con una
motivazione peraltro semplice e cioè che, pur
essendo diventato famoso nella cinematografia
internazionale, manteneva quella sua aria semplice
e amichevole che ce lo faceva sentire dei nostri.
Ci somigliava insomma, era uno dei tanti antieroi
italioti. È necessario calarsi nel ceto medio
dell'epoca, che non si nutriva certo di grandi
aspirazioni, oh Dio, per quello neanche oggi. Quel
ceto medio attendeva ai bisogni quotidiani,
lavorava al decoro, intrecciava il genere dignità.
Cose che ormai vanno a scomparire. Nel merito, un
esempio che mi sembra significativo è “il cappotto
di cammello” e Mastroianni ne è l'esempio
più importante, l'esponente più titolato.
Cosa voglio dire? Di certo al cinema i cappotti di
cammello più noti sono stati quello di Brando in
L'ultimo tango a Parigi e quello di Delon
in
La prima notte di quiete. Ce n'è uno anche
in letteratura, quello di Bassani definito da
Arbasino “il primo cappotto di cammello della
letteratura italiana”. Ma sono comunque altro.
Quello vero, l'autentico rappresentante del decoro
borghese è quello di Mastroianni. Perchè? Perchè
solo lui lo indossa anche quando non lo indossa
affatto! Al di là di alcuni aneddoti e
osservazioni, nel mio intervento leggerò qualche
breve brano da
Mi ricordo, sì, io mi
ricordo, che è stato filmato
nel Settembre del 1996 nel nord del Portogallo,
dove l'attore stava girando quello che diventerà
il suo ultimo film
Viaggio all'inizio del mondo diretto dal
longevo Manuel De Oliveira. Mastroianni ha
potuto vedere il materiale, è lui a desiderare il
titolo. In pratica i testi sono una trascrizione
della sua voce.
Mi ricordo
Mi ricordo
quel tegamino di alluminio senza un manico. Mia
madre ci friggeva le uova.
Mi ricordo
Clark Gable molto giovane, in bianco e nero, di
schiena, poi si volta e sorride così. Un
mascalzone irresistibilmente simpatico. Che film
era? Accadde una notte
forse.
Mi ricordo
Cechov, specialmente il capitano Solenj, che nelle
Tre Sorelle fa: “Pio, Pio, Pio....”
Mi ricordo
perfettamente il sapore e l'odore della minestra
con i ceci. E mi ricordo che si giocava a Tombola
la notte di Natale.
Mi ricordo il
silenzio che avvolse il ristorante Chez Maxim's
quando apparve Gary Cooper in smoking bianco.
Mi ricordo un
viaggio in treno durante la guerra: il treno entra
in un tunnel, si fa un grande buio, e allora, nel
silenzio, una sconosciuta mi bacia sulla bocca.
Marcello Mastroianni dava l'impressione di non
aver mai voluto essere altro che un uomo medio.
Viene alla mente
Truffaut quando in una intervista sbotta:
"ho combattuto l'intera vita per diventare l'uomo
medio, ma non ce l'ho fatta". E c'è del
disappunto in Truffaut. Mastroianni al
contrario nel medio ci nuotava come un pesce
nell'acqua. Famose le sue sortite nei
concessionari d'auto romani, dove ogni qualche
mese o settimana cambiava macchina sotto lo
sguardo compiacente, complice e invidioso
dell'italiano medio.
Mi ricordo: Ho
fatto film nel Congo, in Brasile, in Algeria, in
Marocco, in Ungheria a Budapest, meravigliosa
città, film non riuscito, ma che importa? - I film
brutti non li vede nessuno, ma Budapest era molto
bella: quando mi sarebbe capitato di passare due
mesi lì? - In Argentina ho girato un film diretto
da Marialuce Bemberg, in questo film mi sposo con
una nana, una nana vera! L'ho fatto anche per
demolire questa sciocca immagine di latin lover.
(Evidentemente Mastroianni non conosceva le
Memorie di Casanova dove al contrario fra
le conquiste non sfugge nemmeno la nana).
Mi ricordo:
Questo ridicolo titolo di latin lover mi ha
sempre disturbato. Fu una fortuna fare Il Bell'Antonio,
questo giovane siciliano impotente. Lo considero
un film molto bello. C'è un simpatico aneddoto che
dimostra il successo, la popolarità internazionale
che ottenne quell'insolito personaggio. Non
ricordo se in Brasile o in Argentina, uno o due
anni dopo l'uscita del film, comprarono dagli
Stati Uniti una nave da guerra usata, che non
funzionò mai: allora questa nave da guerra fu
soprannominata “El Bello Antonio”! El Bello
Antonio non funzionava!
Mi ricordo: Ma
voi li conoscete i cestini? Eh, a Cinecittà il
cestino rappresenta proprio il cinema. All'ora di
pausa tutti lo aspettano e lui è sempre in
ritardo. Che poi di questo cestino l'unica cosa
buona in fondo è il formaggino. Abbiamo avuto un
cinema importantissimo, eppure siamo l'unico paese
al mondo in cui ancora si distribuiscono cestini
come quelli che si comprano dal finestrino del
treno fermo in stazione.
Qualcuno ha detto che Mastroianni è stato
il nostro migliore attore per mezzo secolo perché
recitava con quel misto di gioia e malinconia che
è nella nostra natura. Con lui si ha l'impressione
che il sentimento fondamentale verso la vita
dovesse essere stare a guardarla, recitandola.
Questo ci conduce al suo autore preferito, Cechov.
Io voglio immaginarlo che gira 170 film sempre in
cappotto di cammello e accompagnandosi a braccetto
del dottor Cechov.
Mi ricordo:
Forse amo Cechov in modo così speciale perché i
suoi personaggi, i suoi racconti somigliano alla
vita. O forse corrispondono meglio alla mia
natura, anche alla mia natura d'attore. Mi piace
quel piccolo mondo sommesso, fatto di personaggi
perdenti, sempre, e pieni di entusiasmi, di sogni,
di illusioni “A Mosca, a Mosca, dove non
andarono mai. E Vanya che dice: lavorare,
lavorare, è l'unica risorsa che ha l'uomo.” Le
loro meschinerie, le loro gelosie, il loro
ridicolo: perché secondo me Cechov è l'autore
della commedia alla russa. Difatti, non a caso, ha
sempre scritto agli attori, alle attrici, a chi
rappresentava le sue commedie: “Ricordatevi che
sono commedie.” Invece in Europa, da quest'altra
parte, Cechov è stato sempre rappresentato in
chiave piuttosto drammatica. C'é il dramma, certo
che c'é, ma un dramma che rasenta il ridicolo, che
fa anche ridere. E' questa credo la grandezza di
questo autore sommesso. Shakespeare è grande, è
enorme, ma i mezzi toni di Cechov, almeno per me,
sono più emozionanti. Questi personaggi
fantasiosi, inconcludenti, immersi in un'eterna
cialtronesca vaghezza, creature strane, al tempo
stesso vittime e complici del mondo che le
circonda e proprio per questo testimoni scettici e
sarcastici, cioè degni di fede. Cechov suggerisce
che nel teatro, come nella vita, non esiste
l'assoluto: lo stesso personaggio può essere
negativo o positivo, così come la stessa scena può
essere considerata tragedia o commedia. Tutto
dipende dal punto di vista da cui si osserva.
A
volte penso a Mastroianni in Liuba nel
Giardino dei ciliegi, quando, in una scena
perfetta: “Io amo questa casa, senza il
giardino dei ciliegi io non capisco più niente
della mia vita, e se è proprio necessario
venderlo, allora vendete anche me insieme al
giardino.”
Io non ho conosciuto di persona Mastroianni,
ma ricordo bene un episodio che vi voglio
raccontare. Una sera nei primi anni settanta
invito a cena quella che poi diventerà mia moglie
ad Asolo all'hotel Cipriani. È fine estate, si
cena nello splendido giardino. Poco dopo il nostro
arrivo, scende per la cena una panciuta Catherine
Deneuve accompagnata da Mastroianni. Il
caso mi vuole vicino ad uno dei miei attori
preferiti. Elegante come al solito, indossa una
camicia di lino verdina su un vestito chiaro
anch'esso di lino. All'epoca andavo con frequenza
da amici a Bologna e, sfoggiando l'episodio, uno
di loro, un elegantone, mi informa che quelle
camicie di gran classe se le faceva fare a Bologna
da un noto camiciaio, in via Indipendenza, che si
chiamava Minarelli. Vado a vedere. Tessuti di alta
qualità, taglio eccellente, ma prezzi troppo alti
per la mia borsa. Per quei cechoviani richiami
alla vita e per i giochi del destino, non molto
dopo il mio amico improvvisamente si ammala e
muore. La moglie, qualche settimana dopo, mi
regala tre delle sue camicie. Una è di lino,
verdina. Indossata, per qualche ora mi sentii
Marcello Mastroianni...
Di Marcello si è anche detto:
La mamma prepara fagioli e cotiche al figlio già
famosissimo e per Federico Fellini, e, mentre
scodella, chiede sospirando al regista: “Che
dice dottò, combinerà qualcosa sto' figlietto
mio?”
A Parigi Giamola Nonino va a trovare Tognazzi che
recitava in un teatro e che conosceva bene per
averlo ospitato durante una sua Tournée friulana.
Nell'atrio vede Marcello e si presenta, con un po'
di batticuore, ma lui, a sentire il cognome Nonino
chiede “Nonino grappa? Ma sono io che mi
inchino”
Giorgio Gaslini racconta: “Lavoravo alla casa
discografica La Voce del Padrone, un giorno venne
Nicola Arigliano nella mia stanza: ti presento un
grande attore – disse - e fece entrare Marcello
Mastroianni. Bellissimo, timido, persino
impacciato. Conversammo e alla fine gli regalai il
disco che era appena uscito e che stava sul mio
tavolo. Lui ringraziò. Io avvertii: guarda che è
musica d'avanguardia. E lui, con un sorriso :
siamo stati tutti avanguardisti."
Maria Josè de Lancastre, la moglie di Antonio
Tabucchi, racconta: "Il successo ottenuto da
Sostiene Pereira
travolse un po' le nostre vite. Ricordo che
Marcello Mastroianni si innamorò del romanzo a tal
punto che telefonò ad Antonio dicendogli: «Pereira
sono io”. Era un uomo delizioso, spontaneo e
semplice. Dopo il film ci frequentammo,
soprattutto a Parigi."
Andrea Ferraol in una scena spinta ne
La Grande Abbuffata
sostiene che Marcello ebbe una erezione spontanea
a cui lei rispose con nonchalance,
fingendo di non accorgersene. Sono quei magici
momenti in cui vita e cinema si fondono.
Si dice che l'angelo della morte dia agli uomini
il permesso di ripercorrere in pochi istanti la
vita prima del congedo. Se così fosse, a
Marcello Mastroianni avrà dovuto concedere un
supplemento di tempo per ripassare i 170 film
girati!
Franco Pavanello |
Questo
numero è anche l'occasione per un pensiero
affettuoso all'amico Franco,
che non c'è più e che amava il cinema come tutti
noi. |
|