settembre 2024

periodico di cinema, cultura e altro... ©
 

n° 95
Reg.1757 (PD 20/08/01)

 
 
 

UN ANNIVERSARIO. MARCELLO MASTROIANNI

 per il centenario della nascita  (28/9/1924)

  Cade quest'anno il centenario della nascita di Marcello Mastroianni (28 Settembre 1924 – 19 Dicembre 1996). All'unico vero Divo del nostro cinema, noto in tutto il mondo, che ha lavorato con i più grandi registi italiani, da Emmer a Scola, da Visconti ad Antonioni, da Ferreri a Bellocchio, ma anche all'estero, con Polanskj, Michalkov, De Oliveira, La Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia ha dedicata una Mostra fotografica (Marcello, come here...Cent’anni e oltre cento volte Mastroianni - Venezia, Isola di S. Servolo - 30 agosto '24/ 9 gennaio '25), ma vogliamo qui ricordare l'omaggio organizzato nel 2016 al cinema Lux di Padova su un'idea di Franco Pavanello (e a cura di Alessandro Tognolo) in cui fu proposta una rassegna di quindici film per ripercorrere la carriera del grande Marcello. Per l'occasione ci fu, in chiusura, un'intera giornata a lui dedicata, con un pomeriggio tutto di proiezioni (altri cinque titoli) e, in mattinata, una tavola rotonda in cui Antonio Costa, Mario Serenellini, Mario Canale e lo stesso Pavanello rievocarono da punti di vista diversi la figura dell'indimenticabile attore. Così, per ricordare nella ricorrenza, questa figura ormai iconica del cinema italiano (nei suoi aspetti professionali, ma soprattutto umani), riportiamo in questo numero la relazione introduttiva al convegno di Alessandro Tognolo che si sofferma sul perché abbia un senso ricordare Marcello e l'intervento di Franco Pavanello, che getta una luce personalissima e divertente sull'uomo Mastroianni.

  “La memoria va alimentata. La memoria di qualsiasi cosa: di una canzone, di un avvenimento, di un cibo anche, perché́ poi questo cibo magari ci lega ad un momento particolare, ad un incontro, ad una festa. Gli odori. Un paesaggio. Io amo la fantascienza, persino in un film di fantascienza, per esempio in Blade Runner, il replicante soffre, soffre in una maniera struggente perché, come replicante, non ha un passato, quindi non ha una memoria. E questo dà la misura di quanto sia importante. Io mi ricordo - non so le l’ho letto, l’ho visto in un film, non mi ricordo dove - un canto navajo, indiano, che dice: tutto quello che hai visto, ricordalo, perché tutto quello che dimentichi, ritorna a volare nel vento.” Marcello Mastroianni

È davvero necessario ricordare Marcello Mastroianni? A partire da questa provocazione, la cui risposta si presenta eminentemente ovvia quanto critica e decisamente non scontata, i relatori della nostra tavola rotonda - ai quali va un affettuoso ringraziamento per la generosa partecipazione - tenteranno di dare forma ad un discorso che vuol essere prima di tutto il tentativo di sviluppare e analizzare il sedimento di ricordi, emozioni, suggestioni determinati dalla vita di un uomo che è divenuto per un numero pressoché́ incalcolabile di volte il corpo malleabile del cinema.
Mastroianni così, nelle sue sornione e italiche peculiarità, è l’occasione, inevitabile, per parlare di cinema, avendolo egli penetrato come una radice germinante, un filo elettrico conduttore di un (dis)incanto volubile, necessario e in definitiva, appassionato. Il cinema si è servito di lui così come lui si è sostenuto grazie ad esso, in un’interdipendenza ossessiva, rituale, meccanica come l’atto respiratorio: vivifico e vitale. Che piaccia o meno - gli esiti del resto sono patrimonio della memoria collettiva, a volte più̀ (troppo) marcati di altri - Mastroianni, quasi fino all’ultimo respiro, si è confrontato con la macchina da presa di fronte: lontano dal mito, lontano dal divismo, emerge quel senso di consapevolezza della finitezza dell’esistenza, proprio di ogni visione, di ogni rappresentazione, di ogni produzione dell’immaginario. Da un set all’altro per procrastinare l’interruzione di un sogno, nel tentativo di esorcizzare il timore di dover affrontare un risveglio banale e monotono e scongiurare quell’aura che gli è stata cucita addosso, come se fosse un esito che non gli appartenesse o, addirittura, fonte di dispiacere. Da qui, con aria indolente, ma sempre piena di ironia, il suo volto si è fatto interprete di quella malinconia di chi vede tutto quel mondo di cui fa oramai parte come qualcosa di decadente ed effimero.
Ricordare Marcello è prima di tutto celebrare la potenza incessante che percorre il dispositivo cinematografico.
E la forma che si è voluta dare a questa giornata in sua memoria e prima ancora alla rassegna che l’ha preceduta, tiene conto dell’eterogeneità, del conflitto, e della mutevolezza dei generi, e degli sguardi, ironici, appassionanti, politici, visionari, poetici e realistici che restituiscono quel gioco - a volte anche serio - che ci incanta seduti su una - spesso scomoda - poltroncina in sala.
«I paradisi migliori sono i paradisi perduti. Ma per me i paradisi migliori sono quelli che non abbiamo ancora vissuto». Mastroianni amava citare Proust e queste parole sono un invito a privilegiare la vita e non rimpiangere ciò che ineluttabilmente non c’è più.

Alessandro Tognolo

  Io ricordo bene che in gioventù eravamo in molti ad apprezzare questo attore e con una motivazione peraltro semplice e cioè che, pur essendo diventato famoso nella cinematografia internazionale, manteneva quella sua aria semplice e amichevole che ce lo faceva sentire dei nostri. Ci somigliava insomma, era uno dei tanti antieroi italioti. È necessario calarsi nel ceto medio dell'epoca, che non si nutriva certo di grandi aspirazioni, oh Dio, per quello neanche oggi. Quel ceto medio attendeva ai bisogni quotidiani, lavorava al decoro, intrecciava il genere dignità. Cose che ormai vanno a scomparire. Nel merito, un esempio che mi sembra significativo è “il cappotto di cammello” e Mastroianni ne è l'esempio più importante, l'esponente più titolato.
Cosa voglio dire? Di certo al cinema i cappotti di cammello più noti sono stati quello di Brando in L'ultimo tango a Parigi e quello di Delon in La prima notte di quiete. Ce n'è uno anche in letteratura, quello di Bassani definito da Arbasino “il primo cappotto di cammello della letteratura italiana”. Ma sono comunque altro. Quello vero, l'autentico rappresentante del decoro borghese è quello di Mastroianni. Perchè? Perchè solo lui lo indossa anche quando non lo indossa affatto! Al di là di alcuni aneddoti e osservazioni, nel mio intervento leggerò qualche breve brano da Mi ricordo, sì, io mi ricordo, che è stato filmato nel Settembre del 1996 nel nord del Portogallo, dove l'attore stava girando quello che diventerà il suo ultimo film Viaggio all'inizio del mondo diretto dal longevo Manuel De Oliveira. Mastroianni ha potuto vedere il materiale, è lui a desiderare il titolo. In pratica i testi sono una trascrizione della sua voce.

Mi ricordo

Mi ricordo quel tegamino di alluminio senza un manico. Mia madre ci friggeva le uova.
Mi ricordo Clark Gable molto giovane, in bianco e nero, di schiena, poi si volta e sorride così. Un mascalzone irresistibilmente simpatico. Che film era? Accadde una notte forse.
Mi ricordo Cechov, specialmente il capitano Solenj, che nelle Tre Sorelle fa: “Pio, Pio, Pio....”
Mi ricordo
perfettamente il sapore e l'odore della minestra con i ceci. E mi ricordo che si giocava a Tombola la notte di Natale.
Mi ricordo il silenzio che avvolse il ristorante Chez Maxim's quando apparve Gary Cooper in smoking bianco.
Mi ricordo un viaggio in treno durante la guerra: il treno entra in un tunnel, si fa un grande buio, e allora, nel silenzio, una sconosciuta mi bacia sulla bocca.

Marcello Mastroianni dava l'impressione di non aver mai voluto essere altro che un uomo medio. Viene alla mente Truffaut quando in una intervista sbotta: "ho combattuto l'intera vita per diventare l'uomo medio, ma non ce l'ho fatta". E c'è del disappunto in Truffaut. Mastroianni al contrario nel medio ci nuotava come un pesce nell'acqua. Famose le sue sortite nei concessionari d'auto romani, dove ogni qualche mese o settimana cambiava macchina sotto lo sguardo compiacente, complice e invidioso dell'italiano medio.

Mi ricordo: Ho fatto film nel Congo, in Brasile, in Algeria, in Marocco, in Ungheria a Budapest, meravigliosa città, film non riuscito, ma che importa? - I film brutti non li vede nessuno, ma Budapest era molto bella: quando mi sarebbe capitato di passare due mesi lì? - In Argentina ho girato un film diretto da Marialuce Bemberg, in questo film mi sposo con una nana, una nana vera! L'ho fatto anche per demolire questa sciocca immagine di latin lover. (Evidentemente Mastroianni non conosceva le Memorie di Casanova dove al contrario fra le conquiste non sfugge nemmeno la nana).
Mi ricordo: Questo ridicolo titolo di latin lover mi ha sempre disturbato. Fu una fortuna fare Il Bell'Antonio, questo giovane siciliano impotente. Lo considero un film molto bello. C'è un simpatico aneddoto che dimostra il successo, la popolarità internazionale che ottenne quell'insolito personaggio. Non ricordo se in Brasile o in Argentina, uno o due anni dopo l'uscita del film, comprarono dagli Stati Uniti una nave da guerra usata, che non funzionò mai: allora questa nave da guerra fu soprannominata “El Bello Antonio”! El Bello Antonio non funzionava!
Mi ricordo: Ma voi li conoscete i cestini? Eh, a Cinecittà il cestino rappresenta proprio il cinema. All'ora di pausa tutti lo aspettano e lui è sempre in ritardo. Che poi di questo cestino l'unica cosa buona in fondo è il formaggino. Abbiamo avuto un cinema importantissimo, eppure siamo l'unico paese al mondo in cui ancora si distribuiscono cestini come quelli che si comprano dal finestrino del treno fermo in stazione.

Qualcuno ha detto che Mastroianni è stato il nostro migliore attore per mezzo secolo perché recitava con quel misto di gioia e malinconia che è nella nostra natura. Con lui si ha l'impressione che il sentimento fondamentale verso la vita dovesse essere stare a guardarla, recitandola. Questo ci conduce al suo autore preferito, Cechov. Io voglio immaginarlo che gira 170 film sempre in cappotto di cammello e accompagnandosi a braccetto del dottor Cechov.

Mi ricordo: Forse amo Cechov in modo così speciale perché i suoi personaggi, i suoi racconti somigliano alla vita. O forse corrispondono meglio alla mia natura, anche alla mia natura d'attore. Mi piace quel piccolo mondo sommesso, fatto di personaggi perdenti, sempre, e pieni di entusiasmi, di sogni, di illusioni “A Mosca, a Mosca, dove non andarono mai. E Vanya che dice: lavorare, lavorare, è l'unica risorsa che ha l'uomo.” Le loro meschinerie, le loro gelosie, il loro ridicolo: perché secondo me Cechov è l'autore della commedia alla russa. Difatti, non a caso, ha sempre scritto agli attori, alle attrici, a chi rappresentava le sue commedie: “Ricordatevi che sono commedie.” Invece in Europa, da quest'altra parte, Cechov è stato sempre rappresentato in chiave piuttosto drammatica. C'é il dramma, certo che c'é, ma un dramma che rasenta il ridicolo, che fa anche ridere. E' questa credo la grandezza di questo autore sommesso. Shakespeare è grande, è enorme, ma i mezzi toni di Cechov, almeno per me, sono più emozionanti. Questi personaggi fantasiosi, inconcludenti, immersi in un'eterna cialtronesca vaghezza, creature strane, al tempo stesso vittime e complici del mondo che le circonda e proprio per questo testimoni scettici e sarcastici, cioè degni di fede. Cechov suggerisce che nel teatro, come nella vita, non esiste l'assoluto: lo stesso personaggio può essere negativo o positivo, così come la stessa scena può essere considerata tragedia o commedia. Tutto dipende dal punto di vista da cui si osserva.

A volte penso a Mastroianni in Liuba nel Giardino dei ciliegi, quando, in una scena perfetta: “Io amo questa casa, senza il giardino dei ciliegi io non capisco più niente della mia vita, e se è proprio necessario venderlo, allora vendete anche me insieme al giardino.”  Io non ho conosciuto di persona Mastroianni, ma ricordo bene un episodio che vi voglio raccontare. Una sera nei primi anni settanta invito a cena quella che poi diventerà mia moglie ad Asolo all'hotel Cipriani. È fine estate, si cena nello splendido giardino. Poco dopo il nostro arrivo, scende per la cena una panciuta Catherine Deneuve accompagnata da Mastroianni. Il caso mi vuole vicino ad uno dei miei attori preferiti. Elegante come al solito, indossa una camicia di lino verdina su un vestito chiaro anch'esso di lino. All'epoca andavo con frequenza da amici a Bologna e, sfoggiando l'episodio, uno di loro, un elegantone, mi informa che quelle camicie di gran classe se le faceva fare a Bologna da un noto camiciaio, in via Indipendenza, che si chiamava Minarelli. Vado a vedere. Tessuti di alta qualità, taglio eccellente, ma prezzi troppo alti per la mia borsa. Per quei cechoviani richiami alla vita e per i giochi del destino, non molto dopo il mio amico improvvisamente si ammala e muore. La moglie, qualche settimana dopo, mi regala tre delle sue camicie. Una è di lino, verdina. Indossata, per qualche ora mi sentii Marcello Mastroianni...

Di Marcello si è anche detto:
La mamma prepara fagioli e cotiche al figlio già famosissimo e per Federico Fellini, e, mentre scodella, chiede sospirando al regista: “Che dice dottò, combinerà qualcosa sto' figlietto mio?”
A Parigi Giamola Nonino va a trovare Tognazzi che recitava in un teatro e che conosceva bene per averlo ospitato durante una sua Tournée friulana. Nell'atrio vede Marcello e si presenta, con un po' di batticuore, ma lui, a sentire il cognome Nonino chiede “Nonino grappa? Ma sono io che mi inchino
Giorgio Gaslini racconta: “Lavoravo alla casa discografica La Voce del Padrone, un giorno venne Nicola Arigliano nella mia stanza: ti presento un grande attore – disse - e fece entrare Marcello Mastroianni. Bellissimo, timido, persino impacciato. Conversammo e alla fine gli regalai il disco che era appena uscito e che stava sul mio tavolo. Lui ringraziò. Io avvertii: guarda che è musica d'avanguardia. E lui, con un sorriso : siamo stati tutti avanguardisti."
Maria Josè de Lancastre, la moglie di Antonio Tabucchi, racconta: "Il successo ottenuto da Sostiene Pereira travolse un po' le nostre vite. Ricordo che Marcello Mastroianni si innamorò del romanzo a tal punto che telefonò ad Antonio dicendogli: «Pereira sono io”. Era un uomo delizioso, spontaneo e semplice. Dopo il film ci frequentammo, soprattutto a Parigi."
Andrea Ferraol in una scena spinta ne La Grande Abbuffata sostiene che Marcello ebbe una erezione spontanea a cui lei rispose con nonchalance, fingendo di non accorgersene. Sono quei magici momenti in cui vita e cinema si fondono.


Si dice che l'angelo della morte dia agli uomini il permesso di ripercorrere in pochi istanti la vita prima del congedo. Se così fosse, a Marcello Mastroianni avrà dovuto concedere un supplemento di tempo per ripassare i 170 film girati!

Franco Pavanello

 

Questo numero è anche l'occasione per un pensiero affettuoso  all'amico Franco,
che non c'è più e che amava il cinema come tutti noi.

 
 

in rete dal 28 settembre 2024

 
 

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