Cuori (Coeurs)
Alain Resnais
- Francia 2006 - 2h


  Leone per la regia - VENEZIA 63°

   Dissolvenza in neve. Le storie dei “cuori” di Alain Resnais film successivo in archivio si alternano sullo schermo con tagli di montaggio frequenti e sinuosi, in un’armonia di delicate pulsioni che solo il lieve fioccare della neve può raccordare. Cade copiosa la neve su Parigi, sugli ambienti squisitamente francesi che la fiction cinematografica di questa 46a opera del grande maestro francese (Providence, L'anno scorso a Marienbad, Hiroshima mon amour) ricostruisce tutti in studio, come nelle commedie di Lubitsch. Ed è una commedia, radiosa e amara, quella che si dipana sotto i nostri occhi, dopo che un ardito movimento di macchina (ne ha di verve l’ottantaquattrenne Resnais!) ci ha catapultati da un’affascinante veduta d’insieme del quartiere intorno a Bercy agli spazi angusti del bilocale che l’agente immobilare Thierry (André Dussollier) e la cliente Nicole (Laura Morante), stanno trattando. L’obiettivo va a ridosso dei loro volti, si riallarga per dare concretezza alla situazione, si volge verso l’alto per una spiazzante panoramica circolare tesa a dimostrare, seguendo il soffitto, l’intervento di ristrutturazione.

Un incipit di grande suggestione e di arguta sintesi narrativa: una stanza può essere facilmente divisa in due, più arduo è raccordare gli spazi vuoti delle esistenze umane, dare unità ai sentimenti, chiudere i vani che ospitano taciute, profonde solitudini. I personaggi di Cuori sembrano non riuscire a scrollarsi di dosso il bianco pulviscolo che ricopre i loro cappotti, così come non sanno liberarsi da una condizione del vivere incerta, insoddisfatta, incompiuta. Le vicende che Resnais ci narra sembrano destinate a non avere una fine, certo non un lieto-fine. La vita di coppia di Dan (Lambert Wilson) e Nicole ha alle spalle una bella storia romantica, ma ormai è più prossima all’aridità che al matrimonio. Thierry, che sembra finalmente accorgersi del radioso sorriso della sua collega Charlotte (Sabine Azéma), si scontra con l’ambiguità delle apparenze (su VHS): lei gli presta una cassetta su cui ha registrato la sua trasmissione preferita (Ces chansons qui ont changé ma vie), lui non trova nessun interesse nella mistica delle buone azioni, ma rimane turbato dalle scene porno che, a programma finito, compaiono inaspettatamente sul nastro. La sorella Gaëlle (Isabelle Carré) gli esprime la sua disapprovazione quando lo scopre incollato al televisore, ma anche lei ha un suo segreto, quel fiore appassito che si appunta ogni sera sull’abito per andare ad un appuntamento galante (da inserzione sul giornale) che mai non si concretizza. Charlotte, che esibisce una stoica forza morale sorretta da un fervente spirito religioso, sovverte i canoni del perbenismo lanciandosi in un lascivo balletto-striptease per placare (definitivamente!) gli sboccati ardori del vecchio Arture (Claude Rich - solo in voce, se ne colgono i piedi che spuntano dalla porta della stanza), immobilizzato nel suo letto e affidatole “in custodia” dal figlio Lionel (Pierre Arditi) che lavora come barman in un locale. È li che si rifugia Dan, senza lavoro e ormai in crisi con Nicole e sarà Lionel a consigliarlo di dare un break alla sua relazione e di cercare nuove prospettive con un annuncio su un giornale…
Ma non abbiamo a che fare con le contorsioni intellettuali dei moderni film-puzzle di
Altman e Iñarritu, piuttosto con la soavità di una ronde (Ophuls!) e con l’articolata perfezione della commedia inglese. Resnais si affida di nuovo, dopo Smoking/No Smoking, ad un lavoro teatrale di Alain Ayckbourn e fa del suo Private fears in Public Placet un gustoso intreccio cinematografico in cui i cuori dei suoi sette personaggi hanno modo di farsi catturare dalla magia della coincidenze, di sentire il calore di un destino benevolo e l’aria gelida delle contraddizioni del vivere.
Poco importa se il ritmo è senile e la malinconia ovatta, come quei fiocchi di neve, ogni eco di serenità. In
Cuori c’e lo spazio per l’illusione, nella regia di Resnais trova corpo, come in Ayckbourn, la capacità di “dare all’immaginazione l’orgoglio del luogo”, nel suo cinema sanno ancora fondersi, nel turbinio surreale del nevischio, lo smarrimento dell’animo e la sospensione del tempo narrativo.

ezio leoni - La Difesa del Popolo  25 dicembre 2006