La grande bellezza
Paolo Sorrentino - Italia/Francia 2013 - 2h 22'

DAVID DONATELLO 2013

 Il film di film precedente in archivioPaolo Sorrentinofilm successivo in archivioha un titolo che punta all'assoluto: La grande bellezza e si rivela un viaggio nell'insensatezza della cornice sociale. Nell'ipocrisia. In un'ansia di apparire senza mai domandarsi davvero chi si stia diventando. Così tra una festa e l'altra, in un'asfissia sentimentale che trancia il respiro, scorre il tramonto di una filosofia. Un nulla che deforma volti e plasma ambizioni per restituire un epocale, sinistro, mai moralistico autoscatto dei tempi correnti. Sorrentino non giudica. Fotografa. Polaroid che raccontano un'epoca. Non ci sono più vite dolci, sogni felliniani o monumenti e fanciulle visti da un elicottero. Esiste solo il ricordo di ieri. Una magnificenza declamata, ma scomparsa. Offesa dalla sazietà di intenti e prospettive. Roma è una cartolina ingiallita. (...) Davanti alle rovine reali e metaforiche di un'enclave in frantumi, nell'assenza di domande, pulsa un edonismo senza gioia. Una fatica. Una malinconica 'corvèe' di sottomissioni in cui anche la gestione del potere, nel suo luogo deputato, appare relativa. Le anime in pena di Sorrentino difettano in autoanalisi...

Malcom Pagani - Il Fatto Quotidiano

   Ecco la Roma del benessere inquieto ed esibito, quella del frenetico presenzialismo, che si arrocca nei suoi riti faticosi e nervosi; quella che non vuole più saperne del resto del mondo, essendo lei stessa il mondo, e guai da quel mondo essere scartato, dimenticato, lasciato solo con le proprie macerie, tra gli altri che non contano. Oggi quel che conta per chi conta è l'esibizionismo, il brusio della conversazione, della battuta, del pettegolezzo, il cinismo malinconico dei rapporti, il catering stravagante, l'ospite impensabile; per esempio il cardinale gourmet che sa come si soffrigge la lepre, la santa centenaria che mangia solo radici, il più grande poeta vivente che non parla mai, Un personaggio di lancinante genialità capace di giudicare e giudicarsi la bodyartista nuda che sbatte la testa contro le mura dell'acquedotto romano, la bambina che fa action painting coi secchi di colore su una tela, il lanciatore di coltelli che li infilza attorno al corpo della ricca padrona di casa. Sarà davvero così straziante, spaventoso, inutile, essere ricchi e apparentemente fortunati, almeno oggi a Roma? Con La grande bellezza (...) Paolo Sorrentino sembra voler convincere che sì, quella che racconta è davvero 'una Babilonia disperata' nel cuore oscuro e invidiato della capitale: e sembra riuscirci con la forza delle immagini e i virtuosismi visivi (di Luca Bigazzi), con il montaggio implacabile (di Cristiano Travaglioli), la colonna sonora (di Lele Marchitelli), che stordisce con la disco music e incanta con la musica sacra, una sceneggiatura (di Sorrentino, che è un vero scrittore, e Umberto Contarello) veloce e crudele. Non è più il tempo, 1960, della Roma di La dolce vita di Fellini, con il suo ormai perduto paradiso di confusione e peccato, né quello, 1980, della Roma di La terrazza di Scola, in cui politica e cultura erano già un pretesto di vite intaccate da indifferenza e corruzione.

Natalia Aspesi - La Repubblica

   Che sia difficile da afferrare - la bellezza ma anche la città - lo dirà verso la fine del film il protagonista, con una di quelle frasi che risuonano come eco di situazioni già viste e che il regista (autore anche della sceneggiatura con Umberto Contarello) usa con incontrollata frequenza, finendo per mortificare un po' quella magia visiva che a tratti sa regalare. Perché il nodo di un film ambizioso e misterioso insieme, a volte affascinante nella sua visionarietà, è proprio questo, di un dialogo fin troppo ricercato La grande bellezza di Paolo Sorrentino con Toni ServilIo e Sabrina Ferilli nella sua letterarietà e che finisce per apparire ridondante e persino sentenzioso. Come se lo sceneggiatore non fosse al servizio del regista ma in gara con lui, alla ricerca di un attestato di bravura doppia (scritta e visiva) che però fatica ad arrivare. Lo sguardo che Sorrentino getta su Roma è quello di una specie di alter ego/avatar, Jep Gambardella, affidato alla bravura di Toni Servillo. (...) Inutile far finta che il modello di partenza non sia La dolce vita, a cui regala alcune citazioni e di cui riprende la struttura narrativa disarticolata, senza avere coordinate temporali. Ma il paragone con Fellini (che lo stesso regista giudica «improponibile» per «manifesta superiorità» dell'originale) finisce quasi subito di fronte a un diverso sguardo sulle cose, ieri cosciente di trovarsi a un momento di svolta, dove i valori del passato stavano crollando travolti dalla fine di tante illusioni, oggi invece meno lucido e severo rispetto a uno squallore che sembra senza responsabilità e senza colpe. (...) Nonostante gli sforzi del Sorrentino regista (e degli attori) il Sorrentino sceneggiatore dà l'impressione di voler percorrere una strada diversa, fatta di troppe citazioni letterarie (Céline, Flaubert due volte, Bellow, Dostoevskij) [...] e di facili giochini (Romona, Roman, Roma... Era proprio necessario?) alla fine dei quali ti sembra di ritrovarti al punto di partenza, senza aver capito molto della bellezza (e della bruttezza) di Roma.

Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera

promo

Sullo sfondo di una Roma bella e indifferente sfilano dame dell'alta società, parvenu, politici, criminali d'alto bordo, giornalisti, attori, nobili decaduti, alti prelati, artisti e intellettuali veri o presunti intenti a tessere trame di rapporti inconsistenti, fagocitati in una babilonia disperata che si agita nei palazzi antichi, le ville sterminate, le terrazze più belle della città. Ad osservarli c'è Jep Gambardella, 65enne scrittore e giornalista, dolente e disincantato testimone di questa sfilata di un'umanità vacua e disfatta, potente e deprimente… Sorrentino non giudica. Fotografa. Polaroid che raccontano un'epoca. Accumula cose e persone, aneddoti e maschere, per offrirci una (sacra e profana) rappresentazione del nulla, di una Roma che esiste solo nel ricordo di ieri. Una magnificenza declamata, ma scomparsa. E la macchina da presa non sembra avere pace, gira, avanza, vola, squadra, intrappola i suoi personaggi, non cerca di aggiungere o moltiplicare, ma di accompagnare, illuminare, la densità della scena, e poi scivola all’improvviso verso un qualche altrove, un mare sul soffitto, un giardino silenzioso, una statua, un pezzo di cielo… Un film ambizioso e misterioso insieme, a volte affascinante nella sua visionarietà, in cui il “tanto” e il “troppo” sono insieme lo strumento e il senso.

cinélite giardino BARBARIGO: giugno-agosto 2013

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