Il
film di |
Malcom Pagani - Il Fatto Quotidiano |
Ecco la Roma del
benessere inquieto ed esibito, quella del frenetico presenzialismo, che si
arrocca nei suoi riti faticosi e nervosi; quella che non vuole più saperne
del resto del mondo, essendo lei stessa il mondo, e guai da quel mondo
essere scartato, dimenticato, lasciato solo con le proprie macerie, tra
gli altri che non contano. Oggi quel che conta per chi conta è
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Natalia Aspesi - La Repubblica
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Che sia difficile da afferrare - la bellezza ma anche la città - lo dirà verso la fine del film il protagonista, con una di quelle frasi che risuonano come eco di situazioni già viste e che il regista (autore anche della sceneggiatura con Umberto Contarello) usa con incontrollata frequenza, finendo per mortificare un po' quella magia visiva che a tratti sa regalare. Perché il nodo di un film ambizioso e misterioso insieme, a volte affascinante nella sua visionarietà, è proprio questo, di un dialogo fin troppo ricercato La grande bellezza di Paolo Sorrentino con Toni ServilIo e Sabrina Ferilli nella sua letterarietà e che finisce per apparire ridondante e persino sentenzioso. Come se lo sceneggiatore non fosse al servizio del regista ma in gara con lui, alla ricerca di un attestato di bravura doppia (scritta e visiva) che però fatica ad arrivare. Lo sguardo che Sorrentino getta su Roma è quello di una specie di alter ego/avatar, Jep Gambardella, affidato alla bravura di Toni Servillo. (...) Inutile far finta che il modello di partenza non sia La dolce vita, a cui regala alcune citazioni e di cui riprende la struttura narrativa disarticolata, senza avere coordinate temporali. Ma il paragone con Fellini (che lo stesso regista giudica «improponibile» per «manifesta superiorità» dell'originale) finisce quasi subito di fronte a un diverso sguardo sulle cose, ieri cosciente di trovarsi a un momento di svolta, dove i valori del passato stavano crollando travolti dalla fine di tante illusioni, oggi invece meno lucido e severo rispetto a uno squallore che sembra senza responsabilità e senza colpe. (...) Nonostante gli sforzi del Sorrentino regista (e degli attori) il Sorrentino sceneggiatore dà l'impressione di voler percorrere una strada diversa, fatta di troppe citazioni letterarie (Céline, Flaubert due volte, Bellow, Dostoevskij) [...] e di facili giochini (Romona, Roman, Roma... Era proprio necessario?) alla fine dei quali ti sembra di ritrovarti al punto di partenza, senza aver capito molto della bellezza (e della bruttezza) di Roma. |
Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera |
promo |
Sullo sfondo di una Roma bella e indifferente sfilano dame dell'alta società, parvenu, politici, criminali d'alto bordo, giornalisti, attori, nobili decaduti, alti prelati, artisti e intellettuali veri o presunti intenti a tessere trame di rapporti inconsistenti, fagocitati in una babilonia disperata che si agita nei palazzi antichi, le ville sterminate, le terrazze più belle della città. Ad osservarli c'è Jep Gambardella, 65enne scrittore e giornalista, dolente e disincantato testimone di questa sfilata di un'umanità vacua e disfatta, potente e deprimente… Sorrentino non giudica. Fotografa. Polaroid che raccontano un'epoca. Accumula cose e persone, aneddoti e maschere, per offrirci una (sacra e profana) rappresentazione del nulla, di una Roma che esiste solo nel ricordo di ieri. Una magnificenza declamata, ma scomparsa. E la macchina da presa non sembra avere pace, gira, avanza, vola, squadra, intrappola i suoi personaggi, non cerca di aggiungere o moltiplicare, ma di accompagnare, illuminare, la densità della scena, e poi scivola all’improvviso verso un qualche altrove, un mare sul soffitto, un giardino silenzioso, una statua, un pezzo di cielo… Un film ambizioso e misterioso insieme, a volte affascinante nella sua visionarietà, in cui il “tanto” e il “troppo” sono insieme lo strumento e il senso. |
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LUX - febbraio 2014 |
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