La mia classe
Daniele Gaglianone - Italia 2013 - 1h 32'

VE 70 - Giornate degli Autori


   È significativo che almeno uno (se non entrambi) gli sceneggiatori di La mia classe, Gino Clemente e Claudia Russo, abbiano alle spalle un'esperienza di insegnamento. Perché il bello del film di Daniele Gaglianone film precedente in archivio è che prova a introdurre lo spettatore dentro il microcosmo multirazziale di una scuola di italiano per immigrati nel modo più autentico possibile. Senza filtri o tirate sociologiche, affidandosi un poco al copione, un poco lasciando spazio alle intrusioni del reale, come quando il mancato rinnovo del permesso di soggiorno a uno degli studenti crea problemi morali e legali mettendo a rischio le riprese. Ne risulta un'opera in bilico fra documentario e finzione che non sempre riesce a trovare un equilibrio, ma l'interesse dell'operazione è indubbio e il maestro Valerio Mastandrea è straordinario per spontaneità, capacita di improvvisazione e umanità.

Alessandra Levantesi Kezich - La Stampa

   Ci racconta una storia in apparenza di finzione, La mia classe, e poi in mezzo vi fa esplodere una realtà che subito ha il sopravvento. La classe del titolo è in una scuola multietnica di Roma dove degli stranieri adulti cercano la sera di imparare l'italiano. Glielo insegna un personaggio che in realtà recita (il nostro bravo Valerio Mastandrea), tutti gli altri invece non recitano o al massimo recitano se stessi, indiani, peruviani, turchi, iraniani, egiziani, senegalesi. Sono lì perché, nelle loro singole realtà, ognuno appunto con origini diverse, per restare in Italia e riceverne i documenti idonei, hanno assoluta necessità di saper parlare la nostra lingua. In mezzo a loro, però, c'è anche un regista, lo stesso Gaglianone, che mentre ci dicono dei loro problemi li riprende con i mezzi del cinema per realizzare, con loro, un film documentario su di loro, anche se loro non fingono mai perché il maestro e il regista li fanno esclusivamente parlare delle loro vite in Italia, ma ecco che, con grande turbamento del maestro che recita e del regista che opera sul vero per poi costruirci un film di finzione, accade un fatto che rischia di bloccare tutto: uno degli studenti si sente dire dalle nostre autorità che non gli verrà rinnovato il permesso di soggiorno perché, anche se lì studia, non ha un lavoro e all'improvviso, così, fatica a partecipare a quelle riunioni dicendo che, per lui, tornare a casa è la morte. Si fermerà allora quella finzione pur interpretata da personaggi-persone che su se stessi si limitano a dire il vero? Un dilemma sia per il regista sia per il maestro, presto risolto però dalla accettazione (forzata ma convinta) di quella nuova realtà. Con cui il film si chiude in cifre dolenti e sconfortate. Un impegno forse arduo che però Gaglianone ha risolto con un senso sicuro delle immagini e della narrazione, dando spazio all'inizio con intelligenza a quell'incontro non ancora scontro fra realtà e finzione e affrontando poi lo scontro con una sensibilità forte ed accesa dove, in filigrana, si può anche leggere la polemica così attuale oggi in Italia sulle strade difficili che ancora debbono percorrere quei coraggiosi onesti che si battono per il principio dell'integrazione. Ringrazio Gaglianone che, alleandosi a loro, l'ha fatto con i mezzi più validi del cinema.

Gian Luigi Rondi - Il Tempo

   Avvertenza: chi non vuol sentir parlare di immigrazione è meglio che resti a casa. Però sbaglia, perché la docufiction di Daniele Gaglianone è ben fatta, pur se ammantata di demagogia. A Roma, quartiere del Pigneto. Il maestro Valerio Mastandrea insegna con pazienza l'italiano a diciassette alunni, provenienti da tutto il mondo. Magari i problemi fossero solo linguistici, il dramma arriva con lo scadere dei permessi di soggiorno. E la solidarietà non fa i miracoli.

Massimo Bertarelli - Il Giornale

  ...La mia classe di Daniele Gaglianone, opera civile, politica e felicemente sbilenca, irrisolta, eppure audace, coraggiosa, spudorata nella propria voglia di sbattere la testa contro il muro di tutto quanto la società civile nasconde sotto il tappeto della falsa coscienza, delle buone maniere, dell'impegno di facciata (...) Il film, realizzato in due settimane di riprese, è un film d'urgenza rara. Come un demo punk di una band che incide tutto in diretta e in una sola session. Volume a palla, cuore gonfio e tante cose da dire. Ma se anni di cinema son serviti a qualcosa, Gaglianone sa ormai come contenere furia e passione e articolare il proprio dire. Come gli Husker Du in musica, ha imparato a gestire l'urgenza e la rabbia intrecciandola nella pratica di un cinema che s'interfaccia con il rischio rifiutando di percorrere i sentieri noti. La mia classe, per dirla con formule note, è un «docu-fiction», ossia un film di finzione che accoglie nel proprio tessuto elementi di cinema del reale. Valerio Mastandrea è un maestro che insegna l'italiano a una classe di studenti «extra-comunitari» rendendosi conto della propria lotta vana. Gli studenti s'aggrappano a lui come a uno dei pochi barlumi di umanità di un paese che, invece, nonostante i buoni propositi, non ne vuol sapere niente di loro. Il momento della verità giunge sotto forma di un permesso di soggiorno non rinnovato. La troupe e il cast si trovano di fronte a una scelta vitale: continuare o abbandonare tutto? Ed è in questo snodo che il film di Gaglianone tocca con chirurgica precisione il nervo scoperto del cosiddetto cinema d'impegno civile (e si vedono dei soldi, dettaglio non secondario...). Si fa cinema dalla parte della legge o si resta dalla parte della giustizia? Assumendo in pieno le responsabilità del limite del suo fare, Gaglianone esplode il fare nel limite, accogliendolo come perimetro scomodissimo del suo agire. Quasi mai il cinema civile italiano è giunto a ragionare a tale prossimità dei limiti dei propri propositi. Gaglianone non si fa illusioni, e mostra, letteralmente, le contraddizioni di chi interviene con il cinema nel reale. Gli scambi fra il regista e Mastandrea (un miracolo di economia del segno, quest'uomo) sono esemplari nel mettere in scena la disperazione di chi è costretto a notare il mare che separa l'abisso delle intenzioni dall'efficacia del proprio agire. Film potente, scabro, severo e dolente, La mia classe, nel confermare la «giustezza» del talento di Gaglianone, ne conferma anche la... grande bellezza.

Giona A. Nazzaro - Il Manifesto

promo

Roma, quartiere multietnico del Pigneto. In una scuola, un attore interpreta un professore che impartisce lezioni di italiano a una classe di stranieri, anch'essi attori. La loro condizione di extracomunitari, necessita del permesso di soggiorno, unica via per l'integrazione, unica possibilità per trovare lavoro e vivere in Italia. Mondi, culture e storie diverse si incrociano nel microcosmo della classe. Mentre si stanno girando alcune scene, lo "stop" del regista apre a qualcosa di inaspettato: la realtà prende il sopravvento sulla finzione. L´intera compagnia entra in campo; tutti diventano attori di un´unica vera storia, la storia della vita, dove ciascuno è chiamato a distinguere ciò che è recitazione e ciò che è dura realtà. Così La mia classe è un amalgama docu-fiction non solo nelle premesse ma anche e soprattutto nel suo sviluppo, così come si è svolto durante le riprese e così come dal film finito viene riproposto allo spettatore.Non è un facile film politico sull’immigrazione, ma un film che si chiede come agire politicamente nel mondo, come affrontare un problema preciso, e come filmarlo. Non è la versione italiana di La classe di Cantet o un aggiornamento del Diario di un maestro di De Seta. È una visione preconfezionata che si mette cupamente in discussione come in un Godard settantesco...

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