This Must Be The Place
Paolo Sorrentino - Italia/Francia/Irlanda 2011 - 1h 58'

    Il problema è l’accumulo. Di fronte a This Must be The Place l’occhio resta estasiato, ma lo spirito critico è inquieto. Abbiamo a che fare con un personaggio di grottesca depressione, una rock star in disarmo, lontana dalle scene musicali ma anche da una qualche vivacità esistenziale . Cheyenne (interpretazione mastodontica quella di Sean Penn) vive a Dublino, ha una moglie che fa il pompiere e che lo ama-accetta con incongrua tenerezza, trova qualche scintilla di vivacità solo nel rapporto “educativo” con una ragazzina scontrosa e più introversa di lui… La sua immaturità “generazionale” (ah, i cinquantenni che non hanno sovvertito il potere e hanno perso anche l’immaginazione!) esplode nel datato look dark-gothic (trucco pesante, rossetto vermiglio, capelli ispidi e cotonati), nel bagaglio d’insicurezza “a rimorchio” (un carrellino nel preludio irlandese, un trolley nella trasferta USA), nel tormento che lo attanaglia quando deve riconfrontarsi con la figura paterna, rimossa da oltre trent’anni.
Un genitore che muore è sempre un momento forte nella vita di una
persona, per Cheyenne è l’occasione per un viaggio di formazione che lo porta a varcare l’oceano e a raffrontasi con un dramma mai sopito nel cuore del genitore: l’esperienza dell’olocausto, la ricerca dell’aguzzino nazista del campo di Auschwitz non hanno cessato di tormentare la sua esistenza e tale rivelazione, attraverso la lettura che Cheyenne fa dei diari, diventa l’innesco per un atipico road-movie. Le tappe che ne segnano il percorso attraverso l’America sono quelle legate all’indagine tesa a ritrovare quel vecchio tedesco (sarà ancora vivo?) e si estrinsecano in una serie di incontri bizzarri, commoventi, irrisolti… L’ultimo sarà il più spiazzante e figurativamente suggestivo, contrappuntato da un inatteso monologo “etico” su senso di colpa e vendetta…
A seguire
film successivo in archivioSorrentinofilm successivo in archivioe il suo Cheyenne sulle strade d’America si resta affascinati dall’incedere “a strappo” del racconto, dall’abbacinante iperrealtà dei paesaggi (la fotografia al massimo della saturazione cromatica di Bigazzi lascia senza fiato), dalla pulsione avvolgente delle musiche di David Byrne, ma alla distanza il tutto si configura come un affastellarsi di esibizionismi figurativi, un accumulo di inquadrature da pop-cards, di battute sarcastiche stravaganti («La solitudine è il teatro dei risentimenti» - «Ci hai fatto caso che nessuno lavora più e tutti fanno un lavoro artistico?») ed episodi/intrecci improbabili, sostenuti più da un’ambiziosa sceneggiatura intellettual-eccentrica che da un coerente fluire narrativo. Certo quello di This Must be The Place è cinema a tutto tondo, con scelte d’inquadratura impeccabili, una macchina da presa che diventa spesso protagonista con sinuosi movimenti e primi e primissimi-piani impietosi e toccanti; però se questo cinema on the road di compiaciuta raffinatezza rimanda alle esperienze di Lynch e Wenders, il ricordo intrusivo di Zabriskie Point ci fa rimpiangere uno sguardo “americano” più ingenuo e grezzo. Se l’incontro con David Byrne diventa per Cheyenne un momento salvifico, per Sorrentino rischia di estremizzarsi nell’ibrido inviluppo di un registro cinematografico che, guarda caso, funziona magistralmente per la sequenza-concerto, ma che risulta, nel complesso dell’opera, non del tutto convincente.

ezio leoni - La Difesa del Popolo - 13 novembre 2011

promo

Il laconico e stravagante Cheyenne, ex leader di una rock band in voga negli anni ottanta (ricalcato sulle figura goth-punk di Robert Smith e Ozzy Osbourne), depresso e ormai risucchiato nel vortice di una crisi esistenziale-di mezz'età, viene scosso dalla notizia della morte del padre con cui non parla da più di trent'anni. Il viaggio oltreoceano per l'ultimo saluto al genitore, ex deportato nei campi nazisti, lo condurrà anche lungo un percorso di crescita individual-spirituale troppo a lungo rimandato, in un road movie dai colori pieni e brillanti.

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