Katyn
Andrzej Wajda – Polonia 2007 - 1h 57'

  Primavera 1940. L’esercito sovietico, che forte del patto Molotov-Ribbentrop aveva invaso la Polonia nell’agosto 1939, massacra 22.000 ufficiali, soldati e professionisti polacchi nella foresta di Katyn. Lo ricorda con ammirevole lucidità film precedente in archivio Andrzej Wajda in questo film che riesuma una pagina a lungo rimossa e ha avuto in patria 3 milioni di spettatori. Primo merito di Wajda è lavorare solo su fatti certi, rievocando oltre all’eccidio le sue conseguenze. Più che i prigionieri seguiamo le famiglie, mogli, madri, figli, sorelle. Vediamo la propaganda nazista usare il massacro in chiave anti-Urss (la vedova di un generale rifiuta di firmare una deposizione già scritta ed è costretta a guardare un documentario sulla riesumazione dei corpi: uno dei momenti più alti e agghiaccianti del film). Mentre a guerra finita sono i sovietici a costruire false prove per attribuire l’eccidio ai nazisti. Perseguitando per decenni chiunque alludesse a Katyn, come Wajda racconta in un paio di episodi che ci riportano al cinema romantico e travolgente dei suoi inizi. Salvo poi, prima di mostrare la catena di montaggio dello sterminio in tutta la sua terribile efficienza, evocare il problema della memoria del suo uso. Cosa fare, sapendo, ma dovendo vivere sotto i sovietici? Altro nodo delicato che Katyn affronta in chiave individuale, senza giudicare nessuno. Una lezione di storia.

Fabio Ferzetti – Il Messaggero

  Un contributo alla scoperta, alla diffusione della conoscenza di una pagina tra le più buie e per lunghi decenni più negate della storia del Novecento. Un contributo portato dal regista polacco Andrzej Wajda - suoi capolavori come I dannati di Varsavia e Cenere e diamanti, il più grande tra i cineasti che a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta hanno tenacemente lavorato contro l'oppressione sovietica sull'Europa orientale - non solo con la sensibilità della sua statura artistica. In Katyn c 'è qualcosa di più: il conto aperto con una vicenda che lo riguarda da vicino. Quella di suo padre, ufficiale dell'esercito polacco, che fu uno dei quindicimila fucilati gettati nelle fosse della foresta di Katyn nella primavera del 1940. Tutti sanno e ricordano che il primo settembre 1939, dando l'avvio all'immane carneficina della Seconda guerra mondiale, le armate hitleriane invasero la Polonia dal versante occidentale. Ma sono molti di meno, ancora oggi, coloro che ricordano e sanno che due settimane dopo, il 17 settembre, la terra polacca fu invasa in modo speculare da est da parte dell'Armata rossa di Stalin. I ministri degli esteri della potenza nazista e di quella comunista, rispettivamente von Ribbentrop e Molotov, avevano siglato nell'agosto precedente un patto di spartizione dell'infelice nazione cuscinetto che gettò nello sconforto e nello sgomento i comunisti di tutto il mondo, soprattutto quelli che languivano nelle carceri dei regimi fascisti o che, minuscola e disperata minoranza, li combattevano nella clandestinità. Furono subito arrestati a centinaia di migliaia i militari polacchi e rinchiusi in campi di concentramento. E fu su ordine diretto di Stalin e per mano della sua polizia politica - che allora si chiamava Nkvd - che (si stima) circa quindicimila di loro furono ammazzati e i loro corpi fatti sparire. Quando poi la guerra prese un'altra piega e l'Unione sovietica dovette affrontare la Germania che senza alcuna esitazione aveva reso il Patto carta straccia, così diventando uno dei baluardi fondamentali dell'epocale confronto tra dittatura e democrazia, i fatti di Katyn - portati alla luce proprio dall'avanzata germanica - furono dai russi attribuiti ai tedeschi. E questa bugia negazionista venne poi fermamente mantenuta fino alla caduta del muro di Berlino. Con tutte le conseguenze, i riflessi e gli strascichi che si possono immaginare. Durante tutto il tempo che è durato il regime comunista fantoccio di Varsavia instaurato dopo la fine della guerra era proibito e pericoloso dire una verità che tutti sapevano, e alle famiglie dei caduti non solo fu sempre negato qualsiasi riconoscimento ma anche impedita la possibilità di piangere i loro cari. Il film, con la partecipazione e l'emozione che può averci messo un artista riconosciuto per la passionalità del suo cinema e un uomo così intimamente toccato da quanto rievocato, segue le tracce di alcune esemplari storie private, con al centro quella di una donna intrepida - trasparente allusione a sua madre - che mai, fino alla fine dei suoi giorni, si è data per vinta.

Paolo D'Agostini – La Repubblica

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Polonia, primavera 1940, foresta di Katyn. Migliaia di polacchi furono ammazzati, uno per uno, con un colpo di grazia alla nuca. A lungo la strage fu attribuita ai nazisti. Solo nel 1990 Gorbaciov ammise che l'eccidio era stato compiuto dall'Armata rossa... Tutti sono sotto processo, anche l'autore stesso, perché Wayda, con la passionalità che gli è propria, coinvolge la responsabilità della Storia con quella sua personale, di cineasta. La dolente tensione rende il film duro ed emozionante.

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