2004

Marathon - Enigma a Manhattan
Amir Naderi -  [b/n]  USA 2003 - 1h 14'

       Lo sferragliare dell'underground newyokese, la confusione della folla, il brusio dei rumori domestici sono l'insolita cornice in cui si immerge la giovane Gretchen, in gara con se stessa per risolvere 78 cruciverba in 24 ore. Una cornice frastornante e ossessiva così come lo è il film di Naderi, fotografia-sonora iperreale (rigorosamente in bianco e nero) di una realtà urbana dove immagini e suoni hanno lo stesso, dirompente impatto spettacolare. (e.l.)


Soggetto
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Produzione
Distribuzione

Amir Naderi
Amir Naderi
Michael Simmonds
Amir Naderi-Donald O'ceilleachair
Amir Naderi per Alphaville Films
Revolver

Cast

Sara Paul
Trevor Moore

Gretchen
Ben

     Il rumore frastornante. Un’incessante ossessione sonora. La metropoli. La patina sgranata del digitale, mobile e inquieto. Il bianco e nero, sporco e raffermo. Una ragazza, Gretchen, isolata nella moltitudine della massa autistica, in costante movimento tra i cunicoli della metropolitana. La maratona dei sensi, la celebrazione dell’iperrealismo.
L’iraniano Amir Naderi conclude la sua personale trilogia dentro la Grande Mela dopo
Manhattan in cifre e A.B.C. Manhattan, riprendendo i temi ma estremizzando le forme. E’ da sempre uno sguardo inedito quello del regista, esule volontario negli Stati Uniti: poetico e contrastato, lontano dai cliché turistici e dall’ovvietà degli spazi hollywoodiana. Naderi imprigiona e ci mostra tutta la frenesia e la naturale assurdità della città, di cui la protagonista è contemporaneamente vittima e rappresentante. Una città pronta a scoppiare da un momento all’altro, una città che vive dentro il proprio delirio (ed è solo un caso, forse, che di lì a poco si sarebbero viste crollare le torri gemelle).
    Il compito di Gretchen è riuscire a risolvere settantotto cruciverba in ventiquattro ore per battere il suo record personale. Per riuscirci, per trovare la concentrazione ideale, sceglie il trambusto di New York, solo e unico isolante capace di insonorizzare i suoi neuroni. Seguiamo impassibili e interdetti i movimenti della giovane ragazza, le sue corse, le sue crisi attraverso l’underground metropolitano - a volte avendo l’impressione di essere uno tra i tanti, anonimi nella moltitudine - ma soprattutto ascoltiamo il bombardamento sonoro a cui lei stessa è (auto)costretta. Lo stridio dei freni con le rotaie, lo sbattere delle porte dei vagoni, il brusio delle voci, i clacson, le migliaia di passi, l’aria, il vento, sono questi i veri protagonisti del film. I dialoghi sono quasi completamente azzerati: Gretchen non parla se non con se stessa. L’incontro casuale con un amico è solo un fastidioso disturbo da debellare al più presto con pochi gesti. Le uniche parole concesse sono i soliloqui della madre lasciati alla segreteria telefonica di Gretchen. Parole consce di non essere ascoltate, parole di conforto e incitamento a continuare e a non mollare, disarmanti per l’azzeramento comunicativo e l’allucinazione genetica che sembrano drammaticamente trasmettere. Non c’è spazio per il riposo e nemmeno per le funzioni primarie dell’organismo, tutto è una perdita di tempo e dev’essere calcolato. Al sopraggiungere della sera, Gretchen torna a casa in preda al tormento. La calma della casa provoca un affanno distruttivo, tutto va bene per riprodurre il frastornante habitat di esecuzione: i rubinetti aperti, gli elettrodomestici accesi, una cassetta con registrati i rumori della strada, il metronomo. Dopo lo sfogo, nella notte, a sette ore dallo scadere del termine, Gretchen trova la concentrazione e si rimette all’opera con meticolosa caparbietà. All’alba, stremata, l’attenderà una città ricoperta dalla neve, dai rumori ovattati, immobile, malinconica.
Volutamente ridondante,
Marathon può apparire noioso solo a chi, troppo abituato all'accattivante cinema commerciale, si si trova impigliato in un meccanismo di comprensione che non lascia spazio alla sguardo e si limita allo svolgersi degli eventi. Nella regia di Naderi non è secondaria la straordinaria sapienza visiva delle riprese (in 16millimetri e in digitale), l'uso dei teleobbiettivi che sembrano infrangersi sulla protagonista così come su di noi, il senso ipnotico delle caselle bianche e nere, degli intervalli, delle parole crociate. Un'opera matura e affascinante.

Alessandro Tognolo - the MOVIE Connection

      Metropolitana e cruciverba: nel cuore di questa doppia ossessione viaggia Marathon, ultimo film di Amir Naderi, iraniano ma da molti anni «cittadino della big city», come ama lui stesso definirsi, da quando cioè a metà degli anni Ottanta (1986) lascia Teheran per trasferirsi a New York. Una sfida la sua più che un esilio, una scommessa personale pagata i primi tempi a prezzo alto, niente soldi, niente casa, vita quasi da homeless, molte porte chiuse lui che peraltro girava film dall'inizio degli anni Settanta - il suo primo Addio amico è datato 1971-72 - che in patria (e ai festival internazionali) era riconosciuto come un cineasta di punta nel cinema iraniano contemporaneo, riferimento ancora oggi per le diverse generazioni di registi. «Un maestro e un fondatore del cinema iraniano» dice di lui Mohsen Makhmalbaf, e Naderi è autore duro, tagliente di realtà e insieme di potenza visuale (il debutto insieme a Kiarostami è da fotografo di scena), censurato poi dal governo di Khomeini proprio per questa lucidità in forma di poesia, provocatoria consapevolezza fuori controllo che è l'essenza stessa di ogni suo film. Del resto la sfida fa parte da sempre della vita di Naderi, che prima di approdare nella capitale iraniana è cresciuto da solo, senza famiglia, facendo di volta in volta il lustrascarpe o il venditore di ghiaccio, fino a scoprire la fotografia e la passione per il cinema, Godard, Antonioni i riferimenti dichiarati e poi la pittura o gli scatti di Cartier Bresson, una cultura distante se non antagonista a ogni tradizione iconoclasta, che però nell'esaltazione della visualità sa miscelare quella di segno opposto, che appartiene intimamente al suo paese. Marathon, bianco e nero, girato in super16 millimetri e in video, è il terzo capitolo della NEW YORK TRILOGY cominciata con Manhattan by numbers, poi A.B.C Manhattan, e dovrebbe essere l'ultimo anche se Naderi ha in progetto un altro film con set newyorchese, Naked Radio. Ed è Marathon, che esce oggi grazie all'indipendente e combattiva Revolver con il sottotitolo di «enigma a Manhattan», un film magnifico, dove il regista come negli altri due, e come in tutto il suo percorso distilla l'esperienza personale e privatissima con quella grazia lieve che la rende materia e piacere del cinema. Perché le sue storie, i frammenti di vissuto impressi nello sguardo e poi restituiti agli spettatori non hanno mai il tono dell'invadenza, del narcisismo cercano invece l'apertura, il coinvolgimento dell'altro, con lo stesso sorriso un po' incantato che è la prima cosa che ti colpisce di Naderi quando lo incontri... Pure se poi esplorano solitudine, violenza, angosce presenti e future, la fatica di misurarsi con il proprio tempo. La sfida allora. Quella di un film girato in sei mesi, nei quali la troupe è stata arrestata tre volte, di notte in metropolitana, quindi con grossi rischi, totalmente indipendente - Naderi scrive anche soggetto e sceneggiatura, cura il montaggio insieme a Donald O'Ceilleachair, ed è produttore con la Alphaville Films Nyc. E quella della protagonista, Gretchen (Sara Paul) in gara con se stessa per risolvere 78 cruciverba in 24 ore. La vediamo riempire caselline frenetica mettendo alla prova i limiti umani di stanchezza, concentrazione, angoscia, saltando da un vagone all'altro della metropolitana senza meta se non centrare l'obiettivo. Follia? Nevrosi? Di Gretchen non sappiamo nulla, qualche dettaglio progressivo, appartamento minuscolo, fogli con le caselline bianconere ovunque, anche nella vasca da bagno, la voce della madre che la insegue dalla segreteria telefonica dandole consigli, visto che lei pure ha giocato con record personale di 87 cruciverba risolti. Dice Naderi sul film: «senza pensare a quanto devo perdere per arrivare al mio obiettivo, sono convinto di dover rispondere con la pazienza e con il cuore». Era già nello sguardo finale del ragazzo corridore (The Runner, ultimo film girato in Iran) che vola oltre l'orizzonte dietro a un aereo, come il lavoro di Naderi e il suo viaggio dentro New York. Che ama, è molto più di un luogo, è personaggio dei suoi film, vive in Marathon nell'ossessione della ragazza, quindi anonima, sempre uguale, suono rapido, sferragliare di binari e vagoni di nuova sinfonia metropolitana, eppure in questa assenza di definizione - catturata con sensibilità esplosiva dalla fotografia di Michael Simmonds - presente per temperatura e irrequietezza. É che poi la maratona è anche una sfida all'anonimato dentro se stessi, è il tentativo di esistere fuori dai binari diritti del metrò in un altrove segreto, insondabile, nel quale l'uniformità non può entrare. E che però stranamente, o forse no perché vissuto senza piacere, provoca annullamento proprio come i riti collettivi obbligati... Siamo due mesi prima dell'11 settembre e a seguire la ragazza e il suo cruciverba molto si intuisce su altre ossessioni, quelle dell'America che scoppieranno insieme alle Twin Towers e sul loro opposto, la «compassione» di resistenza all'aggressività, la riscoperta dell'essere insieme... New York claustrofobica rinasce all'improvviso nella «sconfitta» (o è vittoria?) di Gretchen, diventa morbida, ovattata nella neve all'alba. Fuori da se stessa e dalla gara, in uno spazio finalmente di libertà e di piaceri, città e singolo si ridisegnano con eccentrica bellezza. Come il cinema di Naderi, che sa arrivare diritto al cuore.

Mariuccia Ciotta - Il Manifesto


filmografia di
Amir Naderi
(Abadan/Iran - 15 August 1946)

2011 Cut
2008 Vegas: Based on a true story
2005 Sound Barrier
2002 Marathon
1997 A, B, C... Manhattan
1993 Manhattan by Numbers
1989 Aab, baad, khaak (Water, Wind, Dust)
1985 Davandeh (The Runner)
1984 Barandeh (The Winnere)
1981 Jostoju-ye dovvom (Second Search)
1980 Jostoju (Search)
1978 Marsieh (Elegy)
1978 Sakhte Iran (Made in Iran)
1974 Entezar (Waiting)
1974 Saz Dahani (Harmonica)
1974 Tangsir (Tight Spot)
1973 Tangna (Strait)
1971 Khodahafez rafigh (Goodbye Friend)

TORRESINO ottobre-dicembre 2004