Le passeggiate al campo di
Marte
(Le
promeneur du champ de Mars) |
da L'Unità (Dario Zonta) |
Robert Guédiguian fa con
Le
passeggiate al campo di Marte
un ritratto di Francois Mitterrand negli ultimi momenti della sua vita e
carriera. Ispirato al libro
Le dernier Mitterrand
di Georges-Marc Benamou, il film tratta il rapporto che ha realmente
legato l'autore del libro e il presidente francese. La storia vuole che
Mitterrand, alla fine del secondo settennato, stretto dalla malattia
mortale, abbia eletto un giovane giornalista politico come suo biografo di
memorie e confessioni.
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da Il Manifesto (Roberto Silvestri) |
Ed è anche un testamento all'arte di Michel Bouquet. Lo stupendo attore (di Chabrol, soprattutto) non imita ma attraverso lo svuotamento di segni e espressioni lascia che sia lo spettatore a farsi il suo Mitterrand, a mettere nella forma voluta la «sostanza di quell'uomo» che cancellò dalla Francia la pena di morte e certo inventò la «festa della musica», ma iniziò anche a sbriciolare lo stato sociale, utilizzando una sostanza conoscitiva ricca, stipata in due ore dagli sceneggiatori, Gilles Taraund e lo stesso Georges-Marc Benamou. C'è quasi tutto: il socialismo post Sfio, le lotte e le conquiste sociali; le nazionalizzazioni («ma Jospin e Rocard rovineranno tutto»), la vita d'oggi («senza Rimbaud, indecifrabile»), l'amore («consiglio le nordiche, sono più profonde, e le brune: le bionde esistono solo sulle copertine dei settimanali. Meglio ancora, le attrici»); Petain, Vichy & il mistero Bousquet («avevo 26 anni...» ma fa capire che Vichy poteva anche incarnare lo spirito malato di Francia, ma il Velodromo d'inverno, di certo, no. Strano che abbia però sempre protetto Bousquet, che delle retate di ebrei fu impunito regista), De Gaulle, la moglie («lei adora, dei libri, soprattutto le copertine»); la letteratura (Balzac, Stendhal), il centrismo («si vince solo dando una alternativa di sinistra»), l'antisemitismo («che ho sempre combattuto»: ma non quando simpatizzava per la Cagoule?), il tradimento («i nemici mi odiano perché sono un borghese di cultura cristiana che ha tradito la propria classe. La destra non vede l'ora di riprendersi il potere che considera naturalmente suo»), il pessimismo («il sogno socialista non è più credibile. Dopo la mia generazione non si tutelerà più il lavoratore, ma il profitto, globale nel più breve tempo possibile»). Bousquet interpreta con precisione millimetrica i mille toni e sottotoni del «florentien», del più machiavellico uomo politico transalpino, che non solo a Charkes Peguy e Leon Blum si ispirò ma anche all'attore, alla sua tecnica di simulazione e alla sua «passione per l'indifferenza», per ascendere al potere e restarci per un tempo record. |
TORRESINO
- marzo 2005