ottobre 2017

periodico di cinema, cultura e altro... ©

43
Reg.1757 (PD 20/08/01)

 

    In assenza di un favorito, di un vincitore predestinato come in recenti edizioni (basti pensare a The Tree of life di Malick nel 2011 o La vie d'Adele di Kechiche nel 2013), la giuria presieduta da Pedro Almodovar si è barcamenata con grande equilibrio tra le diverse tendenze della critica e del pubblico.
Relegato ad un ex-equo per la miglior sceneggiatura The Killing of a Sacred Deer di Yorgos Lanthimos, il regista greco ormai lanciato in una sua personale deriva dì horror, nonsense, citazioni cinefile e mitologiche, al posto d'onore del Grand Prix della Giuria si è piazzato 120 battiti la minuto di Robin Campillo, uno sguardo sulle lotta negli anni 80 di Act Up Paris in difesa dei diritti dei malati di AIDS. Film impeccabile, necessario si sarebbe detto una volta, estremamente politically correct, e ciononostante un po' datato, retrò, nel tema e nella realizzazione. Straordinario invece l'interprete, il giovane argentino Nahuel Perez Biscayat, che avrebbe ben meritato il premio per il miglior attore, andato invece a Joaquim Phoenix.
Altra attribuzione discutibile quella del premio per la miglior regia a The Beguiled (L'inganno) di Sofia Coppola, algido e scontato remake al femminile di un famoso film degli anni '70.
Ma che fare con quello che era in assoluto il miglior film della rassegna, quel Loveless di Andrej Zyaguintsev, ritratto di incredibile profondità della Russia contemporanea? Almodovar si è inventato un ulteriore non meglio identificato premio della giuria...
E la Palma? Con grande coraggio e tra la generale sorpresa, la Palma d'oro è andata all'outsider The Square, geniale commedia dello svedese Bjorn Ostlund; finalmente un film colto,ben girato ma divertente,che sprizza energia cinematografica!

E ad onore del presidente va un'altra presa di posizione (estremamente audace ,visto che è probabile saranno loro insieme ad Amazon, i futuri padroni del mercato cinematografico (e non solo!). Ancora prima dell'inizio del festival, ha escluso che potesse essere attribuito alcun premio ai film Netflix in concorso (nella fattispecie erano due, il coreano Okja e The Mejerovitz Stories di Baumbach) in quanto prodotti destinati alla sola fruizione televisiva, senza passaggio nelle sale!

Giovanni Martini

 
 

Tornano in calendario le tradizionali  rassegne: la seconda edizione del Festival del cinema Spagnolo (LUNEDÌ), i recuperi al MERCOLEDÌ (Second Life) e i nuovi Eventi (GIOVEDÌ).

 

Quando l'eco della Mostra risuona più di commenti di generale ottimismo (nel confronto con Cannes) piuttosto che della soddisfazione per il film giusto da archiviare nella storia del Festival c'è il rischio di un'opacità di comodo nella visione d'insieme. Certo l'ultima vetrina della Croisette è stata valutata “debole”, ma da questo a dire che quella del Lido è stata di ottimo livello ce ne passa.
La media dei film da buttare è sicuramente bassa ma visioni da dimenticare, anche in concorso, non sono mancate. Ha deluso le attese Human Flow; mother!, pur con la sua schiera di estimatori, ha riportato Aronofsky al livello di The Fountain, la verve originale di Downsizing non ha retto per più di metà durata, Una famiglia deborda in coerenza: orrida vicenda umana in orrido film!
E ciò che resta, in fondo è l'occasione mancata. Mancata dalla giuria che ha preferito cogliere il guizzo fantastico di The Shape of Water (film certo bellissimo, ma il Leone...) confinando nell'Osella per la sceneggiatura il fantastico Three Billboards Outside Ebbing, Missouri. Era questo il film che poteva fissare nel tempo la 74a edizione della Mostra! Non per niente di lì a una settimana ha vinto il premio del pubblico a Toronto e resterà “il film di Toronto” mentre, con la forza della regia, la perfezione della sceneggiatura e la straordinaria interpretazione di Frances McDormand, doveva essere “il film di Venezia”. Accidenti!

     
 
 

i PREMI ufficiali

forse meglio questi... (e.l.)

THE SHAPE OF WATER di Guillermo del Toro

Leone d’Oro: il miglior film

THREE BILLBOARDS OUTSIDE EBBING, MISSOURI
di Martin McDonagh

FOXTROT di Samuel Maoz

Leone d’Argento: Gran Premio della Giuria

FIRST REFORMED di Paul Schrader

JUSQU’À LA GARDE di Xavier Legrand

Leone d’Argento: migliore regia

MEKTOUB, MY LOVE: CANTO UNO Abdellatif Kechich

Charlotte Rampling nel film HANNAH

Coppa Volpi: migliore interprete femminile

Charlotte Rampling nel film HANNAH

Kamel El Basha nel film L’INSULTO

Coppa Volpi: migliore interprete maschile

Adel Karam e Kamel El Bash nel film L’INSULTO

Martin McDonagh per il film
THREE BILLBOARDS OUTSIDE EBBING, MISSOURI

Premio per la Migliore Sceneggiatura

THE SHAPE OF WATER di Guillermo del Toro

SWEET COUNTRY di Warwick Thornton

Premio Speciale della Giuria

FOXTROT di Samuel Maoz

Charlie Plummer nel film LEAN ON PETE

Premio M. Mastroianni - attore emergente

Charlie Plummer nel film LEAN ON PETE

JUSQU’À LA GARDE di Xavier Legrand

Leone del futuro
Premio Opera prima “De Laurentiis”

DUNDIR TRÉNU di Hafsteinn Gunnar Sigurõsson

 


 

 
Ezio Leoni

  
Alessandro Tognolo


Cristina Menegolli


Licia Miolo


Giovanni Martini


Pietro Liberati


Valentina Torresan


Maria Cristina Nascosi

   
 
 

Ci si può sbilanciare dicendo che il cinema d'essai gioca le sue carte migliori più nell'ansia che nel sorriso? La rassegna della XVII edizione degli INCONTRI FICE ha messo sul piatto commedie vivaci  (Victoria e Abdul, 50 primavere, La battaglia dei sessi, My Name is Emily) o intriganti (Un amore sopra le righe, Finché c'è prosecco c'è speranza), sapendo rasserenare con il tocco nostalgico di Mr. Ove e Addio Christopher Robin.

Ma hanno forse lasciato un segno più deciso e spiazzante lavori di forte tensione e originalità.
L'insulto non risparmia un crescendo di scontri socio-politici che incombono sui due protagonisti e il viaggio nell'incubo notturno di Robert Patterson in Good Time si fa ricordare per il ritmo vertiginoso del racconto e dei movimenti della macchina da presa. Sarà curioso vedere come reagirà il pubblico agli stupri e alle teste mozzate di Marlina: Omicida in quattro atti (pseudo-western al femminile, made in Indonesia) e alla disperata notte d'angoscia di una giovane studentessa che si dipana nei 9 piani sequenza di Beauty and the Dogs.

 

Più "accessibili" le proposte di Sámi Blood (il "ritorno a casa " dell'anziana protagonista fa esplodere nel presente le sofferte dinamiche interrazziali che hanno segnato la sua infanzia) e di L'atelier in cui Cantet fotografa le "intromissioni" della violenza e del terrorismo nella crescita psicologica delle nuove generazioni.
Ansia e gradimento massimo (si presume) per i nuovi lavori di
Michael Haneke e Roman Polanski. Di inesorabile ironia e cinismo il primo (Happy End), furbescamente accattivante il secondo, Da una storia vera, che con il torbido faccia a faccia di Eva Green e d Emmanuelle Seigner ribadisce il marcato protagonismo al femminile in queste anteprime mantovane.

 
 

 

Gli Incontri del Cinema d'Essai di Mantova hanno fatto da trampolino di lancio per un nuovo accordo distributivo che vede convergere in un progetto unitario due case di distribuzione indipendenti, Cineclub Internazionale e Tycoon Distribution, insieme ad un nuovo partner, CineMAF, che le affianca nell'uscita di Sàmi Blood, film tra i finalisti del premio Lux 2017 del Parlamento europeo, che arriverà nelle sale il 30 novembre. Tycoon Distribution si appoggia poi a CineMAF anche per la distribuzione di My name is Emily, in uscita il 1° novembre.
Due opere prime. Sàmi Blood è firmata dalla svedese Amanda Kernell, già vincitrice di numerosi riconoscimenti in importanti festival internazionali, narra di Elle Marja, una ragazzina sámi della comunità di nativi làpponi dell'estremo nord svedese, cresciuta nella sua infanzia tra gli allevatori di renne. Esposta alla discriminazione degli anni Trenta e alla certificazione della razza per frequentare la scuola, Elle Marja inizia a sognare una vita diversa. Per ottenerla dovrà però allontanarsi dalla famiglia e dalla cultura della sua gente. Un ritorno a casa in età adulta evidenzierà tesioni e rancari mai sopiti.
My Name is Emily (scritto e diretto da Simon Fitzmaurice) è invece una commedia adolescenziale dal tono leggero ma con una decisa deriva di introspezione personale. La Emily del titolo è infatti una sedicenne, orfana di madre, che nel giorno del suo sedicesimo compleanno decide di partire per “liberare” suo padre dall’istituto psichiatrico in cui è rinchiuso. La accompagna Arden, un compagno di classe appena conosciuto, e i due iniziano un viaggio che attraversa l’Irlanda e che porterà Emily a scoprire se stessa e i valori dell’amicizia e degli affetti familiari.
Due film profondamente diversi ma entrambi in linea con l'idea culturale che Cineclub Internazionale e Tycoon Distribution perseguono da sempre nei loro listini. La svolta, per entrambi le distribuzioni, sta nell'offrire stavolta al pubblico non solo la versione originale sottotitolata, ma anche quella doppiata. Nel supporto DCP saranno presenti entrambe le versioni, starà agli esercenti scegliere quale proporre al loro pubblico.
    

 
 

in rete dal 16 ottobre 2017

 

 

redazione!
redazione