Across the Universe

Julie Taymor # USA 2007  (131′)

Si può raccontare la vita, l’amore, il sogno di una generazione attraverso le canzoni? Si può costruire un film musicale attraverso un ininterrotto flusso di parole e musica che ne costituiscono l’essenza narrativa, ne strutturano l’ispirazione, ne configurano la messa in scena? Tutto è possibile se le canzoni sono quelle dei Beatles!


Il progetto che porta a Across the Universe vede alla regia Julie Taymor (TitusFrida, la versione teatrale di The Lion King) ed al suo fianco, nel prezioso lavoro di “sceneggiatura sonora”, il suo compagno di vita, Elliot Goldenthal, apprezzato compositore. La loro idea è in verità tanto semplice quanto ambiziosa: creare un film in cui lo sviluppo dell’azione trovi sostanza in 33 canzoni di Lennon-McCartney (“resta” solo una mezzora di recitazione tradizionale) e dove il tema, il testo di ogni canzone diano il senso narrativo, illustrino il contesto, supportino i dialoghi, si rigenerino nell’evolversi della trama stessa. Perché, attenzione, il fascino di Across the Universe sta nel fatto che non siamo di fronte ad un bizzarro maxi-videoclip, bensì ad una vera storia, allusiva ed ingenua quanto si vuole, ma coerente con il messaggio musicale dell’epoca, di un’immediatezza e di una soavità memorabili.

“Is there anybody going to listen to my story?” – “C’è qualcuno che voglia sentire la mia storia?”. Sulla spiaggia, solitario, Jude, il protagonista (Jim Surgess, simpatica sintesi fisiognomica dei Fab Four) si affida alle battute iniziali di Girl per accendere la miccia di un viaggio cinematografico di esplosiva espressività, vibrante delle melodie e delle pulsioni degli anni ’60. Jude lavora in fabbrica a Liverpool (!), ma decide di imbarcarsi per l’America allo scopo di ritrovare il padre che non ha mai conosciuto. In Inghilterra lascia la fidanzata (promette di “spedirle tutto il suo amore”- All my Loving) ma viene travolto dall’atmosfera effervescente di New York, trova l’amicizia e l’aiuto di Max (With little help from my friends, ovviamente), si innamora a prima vista della sorella di lui, Lucy (I’ve Just Seen a Face – “ho appena visto un viso”). Situazioni e canzoni ricontestualizzate (il riferimento, più che il musical classico, è Parole, parole di Resnais), personaggi dai nomi “eloquenti” (c’è anche l’appassionata Prudence, la cantante Sadie – sul modello di Janis Joplin -, il chitarrista Jo Jo – su quello di Hendrix): l’operazione Across the Universe non è fatta solo di nostalgia ma di una ricchezza figurativa e di un impatto emotivo originalissimi e travolgenti.


E ogni canzone, al di là della sua identità mitica, riacquista vita, senso, nuova emblematicità. Come Together si trasforma in un inno aggregante per la poliedrica fauna umana della metropoli (impeccabili yuppies in giacca, cravatta e 24 ore accanto ad un variopinto gruppo di squillo al seguito di un ricco magnaccia – interpretato da Joe Cocker), Let it Be diventa un gospel sulle labbra di un ragazzino nero vittima degli scontri razziali di Detroit, I am the Warlus (con il cameo di Bono-Dr.Robert) e Being for the Benefit of Mr. Kite (con Eddie Izzard) testimoniano la verve mistico-psichedelica della beat-generation. C’è spazio per le contraddizioni delle istanze di pace di fronte alle tragedie delle violenza (dalla guerra del Vietnam all’assassinio di Martin Luther King), c’è l’estasi della sublimazione sentimentale (suadente il kitsch acquatico di Because) e l’impeto passionale di fronte a un impegno politico estremizzato (Revolution “recitata” per evidenziare il gap d’ideali non condivisi), c’è il mesto rientro di Jude nel vecchio continente e l’irrefrenabile abbraccio musicale di Max quando, spinto dall’amore per Lucy, l’amico riapproda negli USA (Hey Jude“don’t let me down, you have found her now gow and get her” – “non mi deludere, l’hai trovata ora vai a prenderla”).
C’è l’utopia che “Nothing’s gonna change my world” (Across the Universe, titolo di perfetta sintesi per questo affresco vintage), c’è l’estro creativo dello scenografo Mark Friedberg (quella composizione materica di fragole sanguinanti appese al muro ha il sapore di una nuova strofa, proprio “da Lennon-McCartney”, per Strawberry Fields Forever) e quello del coreografo Daniel Ezralow: quando, a rievocare l’esibizione dei Beatles sui tetti della Apple, tutti i protagonisti si ritrovano nel finale per un concerto di love & peace “sopra” gli occhi stupefatti dei passanti, l’emozione ha un sapore antico. All you Need Is Love canta Jude alla sua Lucy; non c’è neppure il tempo per lasciarsi andare ad una lacrima romantica, il caleidoscopio sonoro e visivo di Lucy in The Sky With Diamonds invade lo schermo, chiude e perpetua il sogno.

ezio leoni –  La Difesa del Popolo (dicembre 2007)