aprile 2020

periodico di cinema, cultura e altro... ©
 

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Reg.1757 (PD 20/08/01)

 
 
 

THE BEATLES                                               

 

cinquantenario

  I cinema sono chiusi da ormai un mese, ma i Beatles sono ormai "chiusi" da cinquant'anni... Era il 10 aprile del 1970 quando Paul McCartney diede l'annuncio di non far più parte della band. Lo scioglimento dei Fab Four fu un fulmine a ciel sereno per i fan (e anche per gli altri tre Beatles che avevano colto il disfacimento, ma che ne presero coscienza proprio dall'esternazione di Paul). Si chiudeva un'epoca: il '68 resta data storica del movimento giovanile, il '69,con l'uscita di Easy Rider, la pubblicazione di Abbey Road e i concerti di Woodstock, Hyde Park (esordio dei King Crimson) e Savile Row (il Rooftop Concert sul tetto della Apple Records), segna una tappa memorabile della rock generation così che il '70 chiude, in fondo definitivamente, un'avventura, musicale e ideale, di cui i Beatles sono statii anima e corpo.

Ci voleva un omaggio e quello che abbiamo scelto è un'originale cover sinfonica di A Day In The Life: per chi non la conosce già una piacevolissima sorpresa, per gli altri (noi compresi), un'emozione, sempre.

Ezio Leoni

 
 

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serie tv

Dracula - Mark Gatiss e Steven Moffat # Gran Bretagna
Netflix
- 2016 (3 episodi)
trailer

  Di fronte ai più di 200 film, di cui alcuni veri capolavori e alle numerosissime serie incentrate sul tema del vampiro era una bella sfida quella che Mark Gatiss e Steven Moffat hanno brillantemente superato con questa mini serie in tre puntate di novanta minuti ciascuna realizzata per BBC One, liberamente ispirata al romanzo di Bram Stoker.
“Il sangue è vita” afferma Dracula nel romanzo, “Il sangue è vite. E' sicuro che abbia detto proprio così?” domanda suor Agatha Van Helsing (Dolly Wells) al povero avvocato Jonathan Harker (John Heffernan) riuscito a fuggire dal castello del Conte, ridotto a cadavere, nel primo episodio della miniserie. “Solo nel sangue troviamo la verità” dirà il Conte Dracula (Claes Bang) alla dottoressa Zoe Van Helsing alla fine dell'ultimo episodio “Tutto è nel sangue se sai come leggerlo”. E il sangue è il veicolo di questo viaggio nel tempo sul tema della conoscenza che scorre nelle vene, attraverso il corpo e i secoli, che la serie, con una sapiente alternanza di registri linguistici diversi, ci propone.



Il primo episodio Le regole della bestia è quello che più si attiene al romanzo, con la forma epistolare sostituita da una lunga confessione che Harper rilascia a una bizzarra suora di un monastero ungherese dopo la sua fuga dal castello di Dracula. Si svolge nel1897 (anno in cui il romanzo di Stoker venne dato alle stampe) e ricostruisce il viaggio in Transilvania e la conoscenza col vampiro, di cui rapidamente Harker diventa preda. Sarà durante un sogno erotico ispirato dalla lettura di una lettera dell'amata Mina, di cui il Conte assume le sembianze, che inizierà il contagio, che permetterà a Dracula di ringiovanire a spese del malcapitato avvocato. Nel morso convergono terrore ed estasi, perché il vampiro, sappiamo, si insinua dove c'è frustrazione sessuale, desiderio, colpa e peccato. “Ha avuto rapporti sessuali col Conte Dracula?” chiede suor Agatha, mentre una mosca si introduce nell'occhio di Harper...

L'umorismo nero e la fisicità dell'orrore che caratterizzano il primo episodio, lasciano il campo, nel secondo, Veliero di sangue, alla sfida intellettuale tra il Conte e la sua avversaria, suor Agatha, il cui personaggio acquista una centralità come antagonista nella lotta tra il vampiro e l'”umano”, il soprannaturale e la Ragione, preannunciata già dalla prima scena attraverso la partita a scacchi, che si svolge tra i due, ora a bordo del veliero Demeter diretto a Londra. Un gioco in cui si sfidano due intelligenze e che fa emergere i caratteri dei personaggi: un Dracula aristocratico e “bestiale”, edonista e colto e soprattutto abile scacchista (ammirabile l'interpretazione multiforme di Claes Bang) e una suora capace di tenergli testa sul piano intellettuale e del gioco con un approccio disincantato nei confronti della fede, espresso attraverso battute taglienti: “Come molte donne della mia età sono intrappolata in un matrimonio senza amore..”

Preannunciato da un finale dell'episodio precedente, che è un vero coup de theatre, spiazzante e perturbante, il terzo episodio, La bussola oscura, è ambientato in Inghilterra centoventitrè anni dopo. L'avversaria di Dracula è questa volta una scienziata, Zoe Van Helsing, felice trasposizione al femminile del professor Van Helsing, interpretata sempre da Dolly Wells. Nel rapporto tra i due si inserirà un terzo personaggio, Lucy Westenra, una vivace ragazza di colore londinese (ben lontana dal pallore usuale delle fanciulle vampirizzate), amante dei party, dedita unicamente al culto dell'apparenza, ma ciononostante desiderosa di offrirsi interamente al Conte, che le succhierà la vita. Il tono ironico che caratterizza l'episodio, inevitabile data l'ambientazione che vede un vampiro alle prese con la vita del XXI secolo, sfuma nell'elegiaco e poi nel tragico nel finale in cui Zoe Van Helsing avrà la sua vendetta a prezzo della vita. Amore e morte. La coppia diviene l'emblema di un doppio sacrificio: come suor Agatha nell'episodio precedente aveva bevuto il sangue del vampiro da una provetta, impossessandosi di lui, così ora Dracula baciando Zoe e bevendone il sangue malato morirà. Dopo una dissolvenza in bianco, il rosso purpureo del sangue, dell'amore invade lo schermo, ponendo la parola fine a questa serie, che riesce a coniugare in maniera brillante la tradizione del romanzo di Bram Stoker e l'omaggio ai classici del cinema (“I never drink wine”: è una delle prime battute di Dracula) con un' estetica postmoderna e contemporanea, dimostrando ancora una volta l'intramontabilità di un mito capace di sopravvivere nei secoli proprio grazie al suo essere metamorfico.
 

Gli sceneggiatori Mark Gatiss e Steven Moffat già si erano cimentati con la trasposizione da romanzi famosi con le serie Sherlock e Jekill.

Cristina Menegolli

 
 

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serie tv

The Terror - David Kajganich # USA
AMC - Amazon Prime Video

stagione 1
- 2018 (10 episodi) trailer
stagione 2 Infamy - 2019 (10 episodi) trailer

  Quando i contorni delle cose e dei paesaggi a noi usuali vengono modificati e resi quasi irriconoscibili da un bianco manto di neve, il disorientamento produce svariate reazioni a livello emotivo, che possono andare dall'allegria, alla nostalgia, al senso di smarrimento, al panico, come tanta letteratura e soprattutto poesia ha raccontato. Ciò che ricorre più spesso è comunque il mistero che con la neve sembra avvolgere il paesaggio, mistero che spesso al cinema ha assunto una connotazione di minaccia incombente.
Forse nessun film è riuscito a rappresentare questo senso di impotenza dell'uomo nei confronti di un mondo che ha perso ogni segno di riconoscibilità come l' indimenticabile La cosa (1982) di Carpenter. Se gli ambienti artici hanno fatto da sfondo ad altre serie televisive, The Terror è forse l'unica che rimanda alla complessità riflessiva del film.

Creata nel 2018 da David Kajganich (cosceneggiatore di Suspiria e A Bigger Splash) e visibile sulla piattaforma Prime Video, è tratta dal romanzo di Dan Simmons (uscito in Italia con il titolo La scomparsa dell'Erebus) e co-prodotta da Ridley Scott. Ambientata nel 1845, racconta la spedizione al Circolo Polare Artico alla ricerca del passaggio a Nord-Ovest di due navi della Marina Britannica, la Erebus e la Terror, che rimangono bloccate in mezzo ai ghiacci, costringendo l'equipaggio a tre anni di permanenza in quell'ambiente ostile, dal quale nessuno tornerà vivo. Il romanzo e la serie si ispirano a fatti realmente accaduti, rimasti avvolti nel mistero fino ad anni recenti, quando sono stati trovati i relitti delle navi e alcuni corpi sui quali sono state effettuate delle autopsie. Sulla base di questi ritrovamenti e delle interviste rilasciate da alcuni Eschimesi a una delle spedizioni mandate nell'800 a cercarle, si è potuto ricostruire a grandi linee quanto successo. La spedizione guidata dall'ammiraglio Franklin è incappata in una serie di sfortunate combinazioni: estati particolarmente rigide che hanno impedito lo scioglimento dei ghiacci che imprigionavano le navi, un errore nell'innovativo metodo con cui erano sigillate le provviste, che ha causato un grave avvelenamento da piombo, l'impossibilità di raggiungere a piedi qualche landa abitata dell'Artico canadese. Per cui fame, freddo, malattie, avvelenamento e anche casi di cannibalismo non hanno lasciato scampo ai membri della spedizione.

La serie si attiene a quanto è stato storicamente dimostrato, ma è proprio questa ricostruzione realistica che dà forza all'inserimento del soprannaturale che accompagna il progressivo deteriorarsi dei rapporti tra i personaggi costretti claustrofobicamente in situazioni estreme. Grazie a una messa in scena attenta a non trascurare i più piccoli rumori e i gelidi dettagli atmosferici: il vento, gli scricchiolii, i gemiti sinistri delle due navi, i solitari pezzi di ghiaccio che galleggiano sopra l'acqua grigia, la natura appare di per se stessa ostile e feroce, fino ad assumere la forma “reale” di una creatura della mitologia nordica, simile ad un enorme orso, Tuunbaq, che assale gli uomini per impossessarsi delle loro anime. Ma la minaccia esterna non fa che amplificare quella interna, ancora più grande, che si impossessa delle menti dei personaggi, chiusi nelle soffocanti navi claustrofobiche, col cibo avvelenato, con le malattie, tra conflitti, intrighi, impossibilità di comunicare in modo trasparente per l'inflessibile gerarchia militare. La disperazione collettiva condurrà i malcapitati passo passo verso la follia, ben sottolineata da una regia molto abile nel costruire e approfondire i caratteri dei personaggi e l'intrecciarsi dei rapporti fra questi, supportata dalle perfette interpretazioni di attori come Jared Harris (The Crown, The Ward) ,il capitano Crozier, Tobias Menzies (Games of Thrones, Outlander) il comandante Fitzjames e Ciaran Hinds, l'ammiraglio Franklin.
La serie, retta da una suspence che non dà tregua allo spettatore, ha la capacità di porlo nel contempo di fronte all'interrogativo: è la Natura che, quando si sente violata dall'uomo, reagisce facendosi “matrigna” capace di trascinarlo attraverso lo smembrarsi del corpo e della mente verso una lenta discesa all'inferno o è l'uomo che proietta sull'ambiente esterno le sue peggiori pulsioni e paure?

La seconda stagione, Infamy, è ambientata a San Francisco in un campo di prigionia, dove vennero rinchiusi i Giapponesi dopo Pearl Harbour. L'ambientazione è interessante e lo sviluppo narrativo presenta buoni spunti, pur attenendosi in questo caso all'interno del genere horror, nel complesso però non ha il respiro e la complessità della prima.

Cristina Menegolli

 
 

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serie tv

La fantastica signora Maisel
The Marvelous Mrs. Maisel
 Amy Sherman-Palladino # USA
Amazon Prime Video
stagione 1
- 2017 (8 episodi)
  stagione 2 - 2018 (10 episodi)
 stagione 3 - 2019 (8 episodi)
trailer

  La città archetipo di tutte le storie, la rappresentazione del teatro-mondo in cui tutto avviene e tutto si consuma, almeno nell’immaginario dell’uomo spettatore di se stesso del XX e XXI secolo. È New York, il vaso di pandora degli amori e dei delitti del nostro tempo, l’ombelico dell’universo in cui ciascuno può trovare il proprio punto di osservazione. Nelle visioni domestiche di questo momento irripetibile marchiato dalla pandemia, è impossibile dunque non accostare La fantastica signora Maisel a The Deuce, di cui ci siamo occupati nello scorso numero: perché la città – protagonista, più che semplice sfondo – è la stessa, sia pure una ventina di anni prima, e perché in entrambe le narrazioni le vicende più significative prendono corpo all’interno di un locale, l’Hi-Hat per la serie con James Franco e il Gaslight – realmente esistito negli anni ’50 e ’60 – per quella ideata da Amy Sherman-Palladino.
Le analogie forse finiscono qui: perché The Deuce, ispirato da un leit motiv gravoso (la prostituzione e i suoi baratri), è una storia straziante di vocazioni e di delitti, di crimini sentimentali insufflati dalle droghe e dall’aids, dell’abisso senza fondo della mercificazione sessuale, ma in realtà narra del bruciarsi della giovinezza e finisce con l’essere un malinconico inno all’amicizia e all’anelito di libertà che continuano a fiorire nel sudiciume del quotidiano; La signora Maisel invece è di tutt’altro tenore e con leggerezza, senza essere mai banale, percorre i binari sicuri della commedia sofisticata, si riveste dei colori pastello (fintamente) ingenui dell'Upper West Side, ricostruendo non già il brulichio di sordidi bassifondi, ma l’ennesima, luccicante e fantasmagorica rappresentazione del self-made man (anzi, self-made woman, visto che qui si tratta di una emancipazione femminile coraggiosa e per molti versi precoce) condita da un irresistibile sense of humour che ricorda le vertiginose pellicole dei fratelli Marx e, più di recente, le opere di Woody Allen. Il ritmo narrativo e i dialoghi della signora Maisel e del suo entourage somigliano piuttosto a quelli di Friends, altra leggendaria serie profondamente newyorchese che non a caso per una decina d’anni ha vissuto di gloria, pur nell’asfissia di riprese confinate quasi sempre in interni, proprio grazie allo speech e alle sagaci invenzioni – di chiara ispirazione yiddish – di Marta Kaufman e David Crane. Perché La fantastica signora Maisel non solo racconta le vicende e le esibizioni di una comica ebrea, ma è completamente intrisa di spirito yiddish. La serie televisiva statunitense creata da Amy Sherman-Palladino  dal 2018 – con un anno di ritardo rispetto all’uscita sul mercato Usa – fa parte del bouquet video di Amazon Prime Italia. Finora sono 3 le stagioni realizzate e trasmesse, ma già si annunciano una quarta serie e forse anche una quinta, quella conclusiva.

La storia è quella di Miriam “Midge” Maisel (la deliziosa e frizzante Rachel Brosnahan), una giovane donna ebrea che fino a un certo momento della vita percorre con dedizione – alla famiglia, ai canoni religiosi, alle consuetudini borghesi – tappe regolarmente programmate: il college, il matrimonio con Joel (Michael Zegen), due figli, una sapiente e coltivata dedizione alla cura di sé e alla cucina secondo le tradizioni (la punta di petto è il suo piatto seduttivo e catartico). Fino alla svolta, che ne segna la metamorfosi da casalinga, moglie e figlia esemplare (irresistibili le interpretazioni di Tony Shalhoub, scorbutico docente di matematica nonché padre di Miriam, e Marin Hinkle, la madre) a beniamina dei comedy club dell'East Village: a determinarla è il marito Joel, manager di giorno e di notte aspirante cabarettista di poco successo, che con leggerezza le confessa il classico tradimento con la segretaria da cui desume la fine del loro matrimonio. Da qui in poi, esplode l’hellzapoppin' rutilante di Miriam Maisel, che travolge tutto e tutti e che qui non sveliamo in nulla per non togliervi il piacere della visione.

Due parole però ancora sulle altre figure chiave della serie. Controcanto sboccato della protagonista è la muscolare e sanguigna manager Susie Myerson, interpretata da Alex Borstein, esempio forse ancora più irriverente di emancipazione femminile ante litteram. E poi ci sono i genitori di Joel, irrefrenabile concentrato di sagacia, intraprendenza e follia ebraiche che trovano nell’interpretazione di caratteristi di razza come Kevin Pollak (Moishe Maisel) e Caroline Aaron (Sharon Maisel) due fantastiche impersonificazioni.

Una connotazione precisa della serie è il trascorrere delle stagioni, nitide e riconoscibili, e dunque rassicuranti come solo nella New York cinematografica possono essere: marciapiedi lucidi di pioggia e costellati di foglie giallo-ocra in autunno, strade e vialetti candidi di neve d’inverno, tripudi di teneri verdi in primavera, accecanti chiaroscuri d’estate. Il tutto percorso dagli immancabili taxi gialli, che scivolano silenziosi da una stagione all’altra conducendo le sovraeccitate Midge e Susie a un’audizione televisiva, a uno spot radiofonico o a una delle tante scorribande alla volta del dinner preferito (il Kettle of Fish Bar, che esiste davvero al Greenwich Village), covo di agenti teatrali squattrinati e intrallazzatori di ogni tipo, per uno spuntino a base di junk-food.

Un precipitato di archetipi estetici e situazionali che, nel susseguirsi degli episodi, funziona benissimo anche per le feste comandate, siano il Natale impudentemente consumistico della Grande Mela oppure il più rigoroso, ma solo in apparenza, Yom Kippur. O magari nelle trasferte fuori New York: come a Parigi (seconda serie), un distillato più vero del vero, con i suoi bistrot, i romantici abbaini, i mercatini rionali da percorrere basco in testa e baguette sottobraccio; o come l’incredibile villaggio-vacanza alle Catskills, dove le famiglie vivono in cattività sotto l’occhiuta e ipercomunicante sorveglianza della direzione.



In ogni snodo narrativo, la serie si caratterizza per la cura nei dettagli dell’ambientazione. Tutti elementi dell’american way of live alla metà del Novecento, come l’abbigliamento (gran lavoro della costumista Donna Zakowska, che per gli abiti di Midge si è ispirata ai modelli indossati da Audrey Hepburn e Grace Kelly), i dispositivi e gli apparecchi (panciuti televisori, elettrodomestici bombati), le lucide cromature delle automobili. Diner, ristoranti, cocktail bar, sale da concerti, reparti dei più noti grandi magazzini della città sono rigorosamente ricostruiti secondo lo stile dell’epoca, con profusione di acciaio e bachelite. A completare il tutto, una colonna sonora di classe (Ella Fitzgerald, Nina Simone, Frank Sinatra, Dean Martin e molti altri, con in più le melodie composte per l’occasione da Curtis Moore e Tom Mizer) e la modernità della regia e di un montaggio rapido e sempre funzionale alla narrazione. Per non dire dei dialoghi, il cui ritmo è spesso vorticoso: vale la pena ascoltare qualche sequenza dell’originale versione non doppiata, che naturalmente è infarcita di calembour intraducibili e saliscendi linguistici degni dell’otto volante di Coney Island.

In definitiva, la fantastica signora Maisel, nel modo più dilettevole possibile, ci insegna due cose, profondamente americane e per questo universali: che nella vita conviene sempre esibirsi con coraggio e sincerità, e che vale sempre la pena, se li si riconosce, di assecondare e nutrire i propri talenti, anche quando tutto sembra portare in un’altra direzione. Di questi tempi, non è poco.

  Marco Bevilacqua

 
 
 

in rete dal 10 aprile 2020

 
 

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