Argo
Ben Affleck - USA 2012 - 2h

miglior FILM
miglior sceneggiatura non originale (CHRIS TERRIO)
miglior montaggio (WILLIAM GOLDENBERG)

 Una folla mediorientale inferocita che assedia una sede diplomatica americana, una Casa bianca messa alle strette dagli Ayatollah iraniani mentre è preoccupata dalle elezioni, una crisi internazionale che scoppia intorno a un film che forse non esiste nemmeno nelle sua interezza... No, non è l’autunno 2012 ma quello del 1979. E il teatro della crisi non è Bengasi ma Tehran. Alla sua terza regia (dopo Gone Baby Gone e The Town), Ben Affleck racconta un fatto inedito della crisi esplosa tra l’Iran gli Stati uniti nell’era Carter, venuto alla luce solo qualche anno fa. quando Bili Clinton ha autorizzato la declassificazione dei documenti Cia che lo riguardavano. Ispirato a un articolo apparso sul la rivista Wired, e al libro dell’ex agente Cia Tony Mendez Master of Disguise, Argo si muove tra la dimensione del thriller politico in stile I tre giorni del Condor (di Sydney Pollack 1975) e una commedia dell’assurdo. Gli anni sono i Settanta, gli stessi in cui si ambientano Patty Hearst di Paul Schrader (1988) e Carlos (2011) di Olivier Assays, ma il riferimento di fondo è invece tra il cinema di Lubitsch e quello di Mel Brooks. Più di tutto Argo riflette quell’idea di «spettacolo» hollywoodiano politico/intelligente portata avanti dal suo produttore George Clooney (con il suo collaboratore di sempre, Grant Heslov) in film come Three Kings (tuttora uno dei migliori film sugli americani in Iraq), Syriana e L’uomo che fissa le capre.
Argo si apre tratteggiando (in una striscia fumetto, quasi a giustificare mettendola in scena, la semplificazione/stilizzazione dei fatti) il quadro politico del momento - dal colpo di stato in Iran, organizzato dai servizi segreti britannici e americani contro Mossadegh nel 1953, al ritorno dello Scià pilotato dall’Occidente, alla rivoluzione khomeinista.
«Cut» e una folla inferocita davanti all’ambasciata americana chiede la riconsegna di Reza Pahlavi alla giustizia iraniana. E questione di minuti prima che i manifestanti inizino a scavalcare il cancello e a forzare gli ingressi del complesso di edifici. Al loro interno regna la paura e impazzano i tritacarte: tutti i documenti devono essere distrutti prima che gli iraniani ci mettano le mani sopra. La «presa» dell’ambasciata, nel 1979, segnò l’inizio della nota crisi degli ostaggi che, durata oltre quattrocento giorni, costò la rielezione a Jimmy Carter e aprì le porte all’era di Ronald Reagan. Nel film vediamo che, oltre ai cinquantadue diplomatici americani che rimasero in mano iraniana fino al 1981, ce n’erano altri sei che riuscirono a scappare e a rifugiarsi nella residenza dell’ambasciatore canadese, poco distante. Come tirarli fuori? Si chiedono i cervelli a Washington. La prima idea proposta vedrebbe i sei arrancare verso il confine più vicino (trecento miglia), in mezzo alla neve, a bordo di biciclette provviste dalla Cia. Poi si parla di fingere che siano insegnanti, o parte di un progetto di ricerca agricola.. Ma l’esperto di «estrazioni» Tony Mendez (Affleck, con parrucca nera taglio seventies, per darsi un look ispanico) ha una proposta ancora più ridicola, e cioè quella di nascondere la rischiosissima missione dietro all’ipotetica produzione di un film da girarsi nei deserti iraniani. L’immagine di Hollywood che arrivando come la cavalleria in un film di
John Ford risolve con geniale creatività, e senza spargimenti di sangue, una crisi internazionale deve essere piaciuta molto all’attivista liberal Clooney. Come anche l’idea che cinema e politica siano, dopo tutto, entrambe delle «fiction» (tema tra l’altro esplorato nel suo, più cupo, ultimo film da regista). Partendo dallo stesso pensiero, Argo (sceneggiato da Chris Temo) è una provocazione/riflessione più light.
Così, in barba a Cyrus Vance, Mendez/Affleck va a Hollywood, dove recluta John Goodman (nella parte di John Chambers, l’effettista speciale di Il Pianeta delle Scimmie) e Alan Arkin (in quella di un produttore immaginario). Il finto film deve essere plausibile, anche se magari non da Oscar: ripescato da una pila di sceneggiature impresentabili,
Argo. è infatti uno Star Wars per poveri. Che però serve egregiamente al trucco. Spacciandosi per il produttore canadese della trash-saga-stellare, Mendez riuscì difatti a «estrarre» i sei diplomatici americani facendoli passare per la sua troupe.

Giulia D’Agnoio Vallan - Il Manifesto

   Affleck si dimostra sempre più un cineasta che vuole inserirsi tra Redford e Eastwood: più tecnico e poetico del primo anche se amante delle storie civili e delle imprese impossibili come il primo, meno assoluto e più commerciale del secondo. Un regista americano impegnato classico, che però mostra di padroneggiare così bene sia l'arte che l'industria, da aver la lucidità di comporre opere solidissime e appassionanti. Qui, non a caso è prodotto da Grant Heslov e George Clooney. Argo è il nome di un film. Non solo di questo, ma di uno che non ebbe mai neanche un set, se non quello di Teheran e un'ispirazione per lo storyboard, Lord of Light di Jack Kirby. Ben Affleck è andato a ripescarsi una storia scono9sciuta, declassificata dalla Cia 15 anni fa, dei tempi della rivoluzione islamica di Khomeini. Tutti sanno che per quasi 15 mesi 50 nordamericani rimasero in ostaggio nella capitale iraniani, pochi però ricordano che altri sei, fuggiti prima che la folla invadesse l'ambasciata statunitense e rifugiatisi in quella canadese, furono tratti in salvo da un lucido e fantasioso agente Lonyley, Tony Mendez. Per risolvere il problema - i sei, se scoperti, sarebbero stati sicuramente giustiziati come spie -, attiva un contatto a Hollywood e finge di essere a capo di una troupe che cerca location in medioriente per un film di fantascienza. Argo, appunto. Da questo spunto quasi surreale nasce una spy-story che tiene sempre alta la tensione emotiva e cinematografica, e Affleck, che interpreta proprio l'agente, mette su un'altra storia corale in cui lui si ritaglia il ruolo di protagonista spalla, nascosto dietro una folta barba e uno sguardo dolente. E' così bravo come regista, insomma, che sapendo che ha per le mani un attore non eccelso -se stesso. lo usa con parsimonia. Il resto è passione e talento visivo e narrativo. Al Teatro Victoria Eugenia della cittadina basca, sulla scena finale dell'aereo, tutti allungavano il collo come a voler decollare con lui. E l'applauso finale d'approvazione era anche liberatorio.

Boris Sollazzo - Pubblico

promo

La mattina del 4 novembre 1979, all’ambasciata Usa di Teheran, in seguito alla fuga negli Stati Uniti dello Scià iraniano Mohammad Reza Pahlavi, la rivoluzione iraniana tocca un punto di non ritorno quando la folla abbatte i cancelli e cattura 52 persone. La crisi degli ostaggi dura così 444 giorni, fra negoziati falliti, un disastroso tentativo d’intervento armato e problemi crescenti per la presidenza di Jimmy Carter. Intanto la Cia si occupa di un’operazione particolare: finge la produzione di un inesistente film di fantascienza così da poter ottenere dal Ministero della cultura iraniano il permesso di entrare ed uscire dal paese e, nel fare questo, poter portare via i sei ospiti dell'ambasciatore canadese spacciandoli per maestranze del film.
In questo straordinario esempio di modernità cinematografica c'è tutta l'esperienza del cinema politico, teso e aggressivo della Hollywood degli anni '70.

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