Louise-Michel
Benoît Delépine e Gustave de Kervern – Francia 2008 - 1h 30'

  Costa-Gavras ce l'aveva mostrato nell'ultimo film in cui aveva dato libero sfogo al suo genio rabbioso: il capitalismo è il Male disumanizzante, una sorta di virus sociale che muta il Dna delle classi sociali per poi demolire codici e valori dei singoli individui. Cos'era Cacciatore di teste, infatti, se non una vendetta geniale di una vittima del sistema contro altre vittime? E persino Lars Von Trier aveva intuito nel suo cinema sentenzioso quanto il modello economico stratificato e speculativo moderno abbia devastato ogni schema, cosicché è rimasto l'odio ma è irrintracciabile il conflitto tra sfruttatori e sfruttati. Cos'era, infatti, Il grande capo, se non una grottesca dimostrazione che la prevaricazione ha sempre un colpevole, che ora però non ci mette la faccia ma agisce solo per delega dei suoi kapò? E potremmo andare avanti ancora molto, citando anche film italiani diversi e a loro modo complementari come Cover boy o Tutta la vita davanti. Cinema precario e ribelle che fotografa con dolce ferocia le difficoltà di un mondo che non ha più anticorpi contro i poteri forti, e che insegna la lotta orizzontale (contro i propri simili) e mai verticale (contro i padroni). In verità, almeno in Europa, c'è chi tenta di non rimanere soggiogato da queste sabbie mobili, e tra banlieues e intermittenti, la Francia continua a combattere frontalmente la crisi mondiale, morale e materiale. Ed era inevitabile che da qui arrivasse un film grottesco e incendiario come Louise-Michel, che fin dal titolo dichiara la sua rabbia, la sua ansia di lotta, giustizia e libertà. I due protagonisti, uniti, formano il nome di un'anarchica femminista che ha fatto la storia, una che prima e più di altri aveva saputo intuire lo stretto legame che passava tra maschilismo, repressione sociale e di genere e capitalismo liberista. E così per i due attori-registi televisivi Benoit Delépine e Gustave de Kervern film successivo in archivio Louise-Michel è diventato un simbolo, una parola d'ordine, da scomporre, letteralmente, e ricomporre nell'età moderna. Louise (Yolanda Moreau) è un'operaia brutta, sporca e anche un po' cattivella. Difficile darle torto, la mole e la qualità del suo lavoro sono inversamente proporzionali alla sua paga infame. Michel (Bouli Lanners, già regista e protagonista del bel Eldorado Road, altro film sociale e surreale) è una sorta di grande Lebowski europeo, precario che vive di espedienti improbabili. Li lega un contratto: lei, a nome di tutte le sue colleghe operaie, l'ha assoldato come sicario per uccidere il padrone che le ha licenziate il giorno dopo aver regalato loro un grembiule nuovo, rassicurandole sul futuro. L'ha fatto all'americana: delocalizzazione da un giorno all'altro, fabbrica vuota, il (loro) mondo che crolla. Da qui comincia uno spassoso e allo stesso tempo atroce viaggio in un orrore assurdo: il politicamente scorretto, visivo e narrativo, diventa il veicolo per raccontare in anticipo quello che ora si sta realizzando con i sequestri dei manager, proprio in Francia. L'arte, che sa essere estrema ed estremista, ha anticipato il male estremo e anche il suo estremo rimedio. Il film che ha fatto impazzire i festival di San Sebastian e Sundance nel 2008, anticipava la bolla economica e la sua esplosione, i suoi meccanismi e i suoi corto circuiti. (illuminante e avvilente, in questo senso, la riunione delle donne liquidate con 20mila miseri euro, alla ricerca di un investimento che possa salvarle)
Delépine e Kervern, in un film in crescendo, ci mettono di fronte ai nostri desideri reconditi e inconfessabili: insaziabili cinefili citano Bunuel, Gilliam, persino i Monty Python, rimasticando lo stile dei Coen. Non cercano reti di protezione, lo si capisce quando si scopre che le armi scelte per ammazzare il grande capo sono dei malati terminali, persino felici di essere utili allo scopo, kamikaze precari, vittime assolute che cercano di diventare carnefici, o meglio giustizieri. La sospensione del giudizio morale, dai dialoghi all'immagine, è immediata, e questo dice molto del coraggio dei registi ma anche dell'esasperazione degli spettatori.
 

Boris Sollazzo - Liberazione

    Quando uscì in Francia non sequestravano i manager come in questi giorni. Però il malcontento aveva già superato il livello di guardia, se a Benoit Delépine e Gustave Kervern era venuto in mente di raccontare la congiura di un gruppo di operaie che, licenziate, investono la liquidazione per far ammazzare il padrone. Guida le manovre la tosta Louise, che ingaggia un killer inetto. La coppia di registi-sceneggiatori è celebre in area francofona per prendersela con chicchessia: obesi, handicappati, disoccupati e quanto c'è di più politicamente scorretto. Nell'universo di Louise-Michel, dove tutti sono pazzi, nessuno è quel che appare: a cominciare dalla corpulenta Louise, che in origine si chiamava JeanPierre. Un farsa nerissima un po' tirata via nella forma. La morale: forse ci si può liberare "di un" padrone; "del" padrone, è impossibile.

Roberto Nepoti - La Repubblica

promo

Il padrone della fabbrica in Piccardia sbaracca tutto e fugge beffando le sue operaie. Ma non ha fatto i conti con la grossa Louise, la più arrabbiata, che è pronta ad affittare un killer pur di avere giustizia. Grotteschi e beffardi, i due registi scherzano con ferocia sulla disperazione contemporanea, anticipando l'ira collettiva contro i manager troppo rampanti. Western sociale? Farsa nera politicamente scorretta? Certo una commedia perfida che funziona grazie anche ad attori strepitosi: sembra Loach che abbia sposato lo stile di film precedente in archivio Kaurismaki con sospetto beckettiano-ioneschiano, ma visivamente potrebbe essere un Magritte più Bacon.

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