Le assaggiatrici

Silvio Soldini

Rosa Sauer, insieme ad altre sei donne, viene costretta per anni a sedere a tavola per assaggiare il cibo destinato ad Adolf Hitler con lo scopo di verificare che non sia avvelenato. Tra le sette donne, che ogni giorno potrebbero perdere la vita, si intrecciano rapporti che implicano sia la solidarietà che il possibile tradimento.

Italia/Belgio/Svizzera 2025 (123′)
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      Poteva essere un aiuto per sopravvivere e invece rischiava di diventare una sfida con la morte. Le assaggiatrici racconta la storia di sette ragazze obbligate a verificare che il cibo destinato al Fuhrer non fosse avvelenato. Una storia vera, raccontata una decina di anni fa dall’unica sopravvissuta: Rosella Postorino ne ha preso spunto per il suo fortunatissimo romanzo (Premio Campiello nel 2018) e Silvio Soldini ne ha tratto un film dove ritrova una forza che sembrava appannata. Nel 1943, Hitler si trasferisce nella Prussia orientale, nel quartier generale «La tana del Lupo», per seguire da vicino l’invasione della Russia, ma teme di essere avvelenato e così costringe sette giovani donne ad assaggiare pranzi e cene. Un obbligo che le trasforma in collaboratrici involontarie e che, se assicura loro quel cibo quotidiano che altrove scarseggia, mette anche a rischio ogni volta la loro vita. Il film diventa così una riflessione che non concede alibi sull’istinto di sopravvivenza, sui compromessi, ma anche sulla forza vitale che spinge verso atti che non avrebbero mai immaginato di fare. Perché Sara, una delle assaggiatrici, che ha lasciato Berlino per cercare protezione dai poveri suoceri mentre il marito combatte in Russia, finisce per accettare la corte di un ufficiale nazista che di notte va a cercarla? Perché lascia che il desiderio vinca sul dovere? La sua condizione di presunta vedova (suo marito è stato dichiarato «disperso») basta a farle superare l’antipatia se non proprio la ripugnanza per uno dei suoi aguzzini? Soldini filma il suo destino e quello delle altre donne — ognuna con una paura da nascondere o ostentando una certezza dietro cui difendersi — con fredda imparzialità. Solo nell’ultima inquadratura, fermando l’immagine su un paio di mani sporche di sangue, libera l’emozione, ma dopo averci accompagnato lungo il calvario quotidiano di queste ragazze, costrette a fare i conti con l’umiliazione e l’obbedienza.

Paolo Mereghetti – corriere.it

   Premesso che non esistono film “necessari”, Le assaggiatrici è un film importante che merita di essere visto. Tratto da un romanzo di Rosella Postorino risalente al 2018, segna il ritorno di Silvio Soldini alla regia quattro anni dopo 3/19 e non somiglia molto ai precedenti lavori del cineasta milanese. L’ambientazione è storica, per così dire “in costume”: tutto si svolge nell’arco della Seconda guerra mondiale nel paesino di Gross-Partsch, nella Prussia Orientale, oggi in Polonia. Lì si ritira Rosa Sauer, giovane berlinese il cui marito è in guerra, sul fronte russo. Rosa è solo alla ricerca di un posto tranquillo in attesa di sapere se il marito è vivo o morto, ma ignora che a due passi da Gross-Partsch c’è la famosa “tana del lupo”, il quartier generale di Hitler più vicino al fronte orientale. E un giorno lei e altre sei donne vengono brutalmente “reclutate” per un lavoro davvero insolito: devono assaggiare i piatti preparati per il Führer e per i suoi accoliti, per essere sicuri che non siano avvelenati. Le assaggiatrici non è strettamente un film di guerra (il conflitto rimane sullo sfondo) ma mostra come la guerra si insinui nella vita quotidiana delle persone, trasformando donne ignare in cavie al servizio del potere; e facendo paradossalmente scoprire a queste donne (tranne una…) la mostruosità del regime che opprime il loro Paese e condiziona le loro vite. Film da camera ben girato e benissimo interpretato dalle sette attrici, fra le quali spicca ovviamente Elisa Schlott nel ruolo di Rosa. Da vedere, se possibile, in tedesco con sottotitoli: è un vero film internazionale, a dimostrazione che il nostro cinema sa anche guardare al di là dei confini.

Alberto Crespi – repubblica.it

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