Due spazzacamini che vivono in matrimoni monogami ed eterosessuali finiscono entrambi in situazioni che mettono in discussione le loro opinioni sulla sessualità e sui ruoli di genere.
Sexo
Film edito solo in Versione Originale Sottotitolata
Norvegia 2024 (125′)


Due amici e colleghi spazzacamini, entrambi etero e sposati, si trovano a vivere esperienze inattese che mettono in discussione la loro percezione della sessualità e dell’identità. Uno di loro ha un incontro sessuale casuale con un altro uomo, senza interpretarlo come un segno di omosessualità o infedeltà, ma quando lo confida alla moglie, la loro relazione entra in crisi. L’altro è turbato da sogni ricorrenti in cui viene percepito come una donna coinvolta in una relazione con David Bowie, portandolo a interrogarsi su quanto la sua identità sia influenzata dallo sguardo altrui. Insieme a Dreams e Love Sex costituisce la Trilogia delle relazioni. In questo film, Haugerud parte da racconti intimi e situazioni quotidiane per indagare i codici sociali e culturali che ancora oggi influenzano il modo in cui viviamo la sessualità. Una riflessione potente e profonda sull’indecifrabile natura dell’attrazione e dell’identità personale.
press-book
“Credo che uno degli obiettivi del cinema non sia solo riflettere lo stato attuale delle cose, ma anche mostrare come potrebbero essere. Introdurre un’idea coinvolgente nella mente del pubblico, un nuovo modo di pensare che potrebbe portare a ulteriori riflessioni e conversazioni molto tempo dopo la fine del film. Questo è ciò che considero il vero potenziale del cinema.” Dag Johan Haugerud.
Osservandolo anche alle prese con le altre due opere che, insieme a questa, compongono una trilogia, abbiamo imparato a conoscere le dinamiche sulle quali vuole far riflettere l’autore norvegese e soprattutto il modo in cui le mostra al pubblico e le elabora. Elemento indispensabile e imprescindibile è il dialogo, al quale Dag Johan Haugerud conferisce un potere quasi unico, permettendo a ogni personaggio in scena di raccontare e raccontarsi attraverso le parole piuttosto che attraverso le azioni. L’apparente dinamicità che si può evincere dalla trama del film è solo raccontata. Il regista sceglie volontariamente di non mostrare niente (in questo senso il più esplicito dei tre è forse Love), ma di far arrivare le questioni allo spettatore tramite i racconti, con dovizia di dettagli e particolari che permettono di vivere quasi in prima persona la situazione in questione. E il piano sequenza a camera fissa iniziale, subito dopo la panoramica sulla città, è forse l’esempio migliore e più utile per comprendere appieno questo atteggiamento. Il dialogo tra i due protagonisti che si confidano tra loro rappresenta, però, soltanto il punto di partenza di una riflessione ben più grande: quella sulla sessualità e sul rapporto che essa ha nella società attuale. Definire Sex come un film sulla sessualità o come una riflessione sul genere è limitativo, in quanto il film di Dag Johan Haugerud prende, in realtà, spunto da questo aspetto per ampliare la questione e aiutarci a riflettere su quanto questa tematica possa influenzare la vita di ognuno di noi. E se da una parte lo fa portando sulla scena due esempi particolari, dall’altra c’è anche un’ulteriore riflessione e un ulteriore livello di conoscenza. Perché i racconti e le confidenze dei due amici vanno considerati non solo in relazione alle rispettive famiglie e situazioni quotidiane, ma vanno anche contestualizzate in uno spazio, quello cittadino, che influenza continuamente il nostro essere e il nostro agire. Ed ecco che con il suo Sex Dag Johan Haugerud dimostra ancora una volta quanto l’essere umano è indefinito e vincolato a dei confini, anche involontari, dai quali, però, non può prescindere in alcun modo. Confini che spariscono, sia fisicamente che metaforicamente, all’inizio, nel momento in cui i due amici si sentono al sicuro, da soli, nonostante siano al centro della scena e alla mercé di chiunque, visti i vetri che li circondano, ma con la tranquillità di potersi confidare e fidare l’uno dell’altro. Cosa che, invece, non avviene quando sono costretti a parlare con le rispettive mogli. In quei momenti sono entrambi alle strette, sia perché non si sentono liberi di poter raccontare dettagliatamente il tutto, sia perché fisicamente ingabbiati, o in un angolo o al muro. In questo diventa protagonista la mano del regista che, come un anziano saggio, decide di intervenire e mostrare il racconto in maniera diversa, aiutando in questo modo sia i personaggi che lo spettatore.
Veronica Ranocchi – taxidrivers.it
…La vicenda si mette in moto subito, con una lunga conversazione fra due spazzacamini, anche se i camini sono modernissimi e non dobbiamo pensare, appunto, a personaggi coperti di fuliggine come era il ragazzo di Mary Poppins. I due uomini, che non si rivolgono mai l’un l’altro chiamandosi per nome (anche nei credits i loro nomi non risultano) a occhio e croce un po’ sopra i quaranta, hanno qualcosa di strano da raccontarsi: l’uno, sposato con due figli, ha ceduto alle avances di un cliente e ha avuto un rapporto, il primo in assoluto, omosessuale di una vita fin qui all’insegna dell’eterosessualità e della monogamia. Dichiara che la cosa gli è piaciuta, ma afferma che l’episodio non ha aperto chissà quali squarci nella sua identità sessuale, non era gay, e non lo è diventato all’indomani di questa singolare avventura. L’altro è visitato da un sogno ricorrente nel quale David Bowie gli riserva delle occhiate particolarmente sensuali, mettendolo in crisi e facendolo sentire alla stregua di un essere, appunto, desiderato, come se fosse una donna; nessuno, dice, lo aveva fino ad allora guardato così. Le rivelazioni, soprattutto la prima (qualitativamente, forse, un po’ più sconvolgente) avviano una conversazione molto approfondita fra i due, capaci di insospettabili capacità introspettive. Lo spettatore ha qua e là la sensazione di essere un po’ preso per i fondelli, sia perché, a torto o a ragione, non viene spontaneo collegare agli spazzacamini una capacità analitica siffatta, ma forse è soltanto un pregiudizio (…) Non si sa mai se prenderli davvero sul serio i due maschietti, se le considerazioni a cui pervengono lasceranno una traccia nella loro vita oppure no. Questa sospensione fra due tonalità di fondo: commedia e apologo (tra l’altro a più riprese, ma anche qui non si capisce bene se sul serio oppure no, con riferimenti di natura morale e, ancor più religiosa), funziona molto bene nel film e rende oltremodo giustificabile il premio ricevuto. A interrompere l’una e l’altra modalità, il film si sofferma reiteratamente su placide inquadrature dello skyline della città, con un compiaciuto gusto della simmetria e evidente interesse nei confronti dell’architettura, di cui si parla a più riprese. Insomma: un bel film.
Matteo Galli – close-up.info