André Masson, specialista in arte moderna, riceve una lettera secondo la quale a Mulhouse, nella casa di un giovane operaio, sarebbe stato scoperto un dipinto di Egon Schiele. Inizialmente scettico scopre che si tratta di un’opera autentica, creduta scomparsa dal 1939,tra quelle trafugate dai nazisti. Il ritrovamento potrebbe rappresentare l’apice della sua carriera, ma presto emergono dubbi, pressioni e pericoli legati alla provenienza del quadro…

Le Tableau Volé
Francia 2024 (91′)


Il quadro rubato di Pascal Bonitzer induce, innanzitutto, a una riflessione. Cosa distingue un bel film? La scelta stilistica del regista, la recitazione degli attori, i dialoghi, la fotografia, i costumi, la colonna sonora? Non solo. Credo che a decretarlo sia, soprattutto, la capacità del regista di infondere nello spettatore il desiderio che il film non abbia mai fine. É quello che accade nel corso della visione de Le tableau volè (titolo originale) del film, diretto in maniera esemplare dal regista parigino, ex critico dei Cahieurs du cinema e co-sceneggiatore di Techinè, Rivette, Ruiz e Fontaine, che alla sua nona regia realizza una dissacrante analisi del mercato dell’arte.
Martin Keller (Arcadi Radeff), giovane operaio, vive con la madre a Mulhouse, un paesino della Francia. Scopre, per caso, che nella casa dove vive, acquistata alcuni anni prima, campeggia I girasoli, dipinto nel 1939 dal pittore austriaco Egon Schiele, per tutti, ormai, perduto. Tramite un’avvocatessa, contatta Andrè Masson (Alex Lutz), banditore della famosa casa d’asta Scottiie’s che, credendolo un falso, si reca svogliatamente a casa sua, in compagnia di Bertina (Léa Drucker), collega, esperta d’arte, ed ex moglie. Con loro grande sorpresa, i due scoprono che il capolavoro è autentico e Andrè si attiva immediatamente per organizzare un’asta milionaria.
Si scopre però che i vecchi proprietari della casa dove vive Martin, avendo collaborato con i nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, avevano avuto in dono il quadro, giudicato dai tedeschi, “arte moderna degenerata”.
Il dipinto trafugato dai tedeschi, è quindi di proprietà di Walhberg, un ebreo, mercante d’arte, i cui eredi, scoperto il ritrovamento del dipinto, reclamano la totale paternità dell’opera. Masson vede così sfumare il colpo della sua vita, ma Aurore (Louise Chevillotte), la sua stagista, ha forse un asso nella manica.
Bonitzer, autore anche delle musiche, impagina una vicenda appassionata e appassionante, tratta da una storia vera, e fa luce sul mondo delle prestigiose case d’aste e del mercato internazionale delle opere d’arte.Come è noto, Schiele dipinse I girasoli, in omaggio al famoso quadro di Van Gogh, ma li raffigurò come morenti, perché era in corso la Seconda Guerra Mondiale. Rispetto all’impareggiabile La migliore offerta di Giuseppe Tornatore (2012), il regista parigino sposa in qualche modo i toni del thriller e, non a caso, lascia che il quadro simboleggi lo stato d’animo dei personaggi. Martin sbarca il lunario, lavorando come operaio di notte. Vive con la madre, vedova, ed è un ragazzo timido e impacciato. L’inquieta e problematica Aurore, bugiarda patologica, ha un rapporto conflittuale con il padre, vecchio mercante di libri antichi, caduto in miseria, dopo essere stato truffato da un socio in affari. Andrè, banditore d’asta affermato, solo e tormentato, poco amato dai colleghi, affoga le frustrazioni nell’alcol e, burbero e tagliente, è incapace di relazionarsi con chi gli sta attorno. L’unica che sembra aver trovato un certo equilibrio è Bertina che, sul finale, inizia una love story con l’avvocatessa di Martin. Più che una riflessione sulla bellezza, ne Il quadro rubato il regista parigino punta il dito sulla mercificazione dell’arte ad opera di mercanti senza scrupoli. A dire il vero, Andrè e Bertina si commuovono vedendo I girasoli e sono conquistati dal dipinto, ma, di fatto, anche loro alimentano il lucroso mondo delle aste…
Ignazio Senatore – taxidrivers.it
Quella tela dai colori funerei, un mazzo di girasoli scheletrici, Martin se l’era ritrovato con il resto dell’arredo: un divanetto liso, qualche sedia spaiata, il tavolo da pranzo e da lavoro. E così, pur se sconsolatamente malinconici, i girasoli erano rimasti lì, unico elemento decorativo della casa frugale di un operaio. Che, forse per rianimarli, accanto a loro aveva sistemato un bersaglio per tirare le freccette. Grande lo stupore quindi quando alla sua porta bussano un uomo e una donna di eleganza inedita da quelle parti, arrivati da Parigi fino nei sobborghi di Mulhouse, per vedere quel dipinto. E giunti davanti sbarrano gli occhi e scoppiano in una risata nervosa. Perché sì, quel quadro appeso alla spoglia parete è senza dubbio uno Schiele. «Autentico, rarissimo, confiscato dai nazisti a un collezionista ebreo, dato per perso e ritrovato là dove mai si poteva immaginare, in una casa di gente semplice, incredula di avere un simile tesoro» racconta Pascal Bonitzer, regista de Il quadro rubato. Ispirato a una storia vera, il film tiene il ritmo di una commedia gialla sullo sfondo seducente ma anche oscuro dei mercanti d’arte e delle case d’aste. «La pittura e il denaro come motore di narrativa sono due temi che mi affascinano — prosegue il regista francese —. L’idea di parlare del mondo dei banditori d’aste, raramente raccontato al cinema, mi è parsa seducente. E la storia rocambolesca dello Schiele ritrovato era quasi una sceneggiatura in sé». A fronteggiarsi nella vicenda da un lato l’astuto André Masson (Alex Lutz), squalo della casa d’aste Scottie’s con la complicità dell’ex moglie Bertina (Léa Drucker) e dall’altro il giovane Martin (Arcadi Radeff), la cui dirittura morale non viene meno davanti l’improvvisa prospettiva di una simile fortuna.
«La sua scelta di non volere accampare diritti su un’opera sottratta da criminali nazisti e accontentarsi solo di una piccola quota lasciando il resto ai legittimi eredi è un segno di saggezza e onestà incomprensibili per chi del denaro ha fatto l’unico valore. Martin non vuole diventare ricco, non vuole sconvolgere la sua vita, tradire la sua classe sociale. Un po’ di soldi possono aiutare, troppi possono distruggere. È saggio e perbene, è l’eroe della mia storia. Una figura morale in un mondo cinico e disonesto. Un segno di speranza, che si può resistere alla tentazione della ricchezza esagerata». Il prezzo dell’arte è un altro dei temi che entrano di lato nel film. «L’arte ha sempre un prezzo, ma non sono gli artisti a decidere il valore delle loro opere. La mercificazione dell’arte è diventata frenetica negli ultimi due secoli, affidata a personaggi spietati, a volte corrotti, a volte mafiosi. Pensiamo al Salvator Mundi attribuito a Leonardo, venduto per 350 milioni di euro a un principe arabo dopo esser stato acquistato per 1500 dollari a New Orleans. Non è il caso del mio personaggio, André Masson punta al valore commerciale dell’opera ma la apprezza anche dal punto di vista estetico». Ma lei a un’asta c’è mai stato? «Mi è capitato di partecipare, e anche di andare al casinò. Amo la casualità, e in questa storia il caso ha un ruolo importante».
Giuseppina Manin – corriere.it