aprile 2019

periodico di cinema, cultura e altro... ©
 

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Reg.1757 (PD 20/08/01)

 
 
 
 
FESTIVAL DI BERLINO

7 - 17 febbraio 2019

  La prima cosa che balzava all’occhio di chi, nei giorni precedenti il festival, avesse scorso l’elenco dei film in concorso era una significativa mancanza dei grandi nomi del cinema mondiale. Completamente assente il cinema nordamericano, per non dire di quello coreano e addirittura rumeno, negli ultimi anni enfant gâté dei selezionatori tedeschi. Niente Sudamerica, né Cile né Messico né Argentina! Certo c’era Ozon, un paio di cinesi importanti, partecipazioni di bandiera come il Fatih Akin di The Golden Glove o nomi invitati per motivi extra cinematografici, come Claudio Giovannesi, alias Roberto Saviano, in rappresentanza dell’Italia. Per il resto tutte figure medie, in genere note per un titolo o una o più partecipazioni precedenti (Agnieszka Holland, la Coixet, lo svedese Hans Piéter Moland). Molti gli esordienti, soprattutto i tedeschi delle "scuola di Berlino". Un festival anomalo dunque, aperto da un simpatico film minore, The Kindness Of Strangers di Lone Scherfig (niente a che vedere con aperture epocali come Grand Budapest Hotel o Isle Of Dogs dell’anno scorso), continuato tra alti e bassi e conclusosi con l’Orso d’oro all’ultimo degli outsiders, l’israeliano Nadav Lapid di Synonymes.
Facile, ma forse un po’ semplicistico, pensare ad un fuggi fuggi generale dei grandi registi e delle grandi produzioni (di Netflix neanche l’ombra!) di fronte ad un direttore dimissionario, quel Dieter Kosslick di cui però sarebbe ingiusto dimenticare i meriti. E stato lui, nei suoi 18 anni alla testa del festival, a portare Berlino allo stesso livello di Cannes e Venezia, a dare visibilità a tanti autori e cinematografie emergenti (la rumena fra tutte), a rendere veramente popolare la manifestazione arrivando a 300 mila biglietti per il pubblico non accreditato, più che in tutti gli altri festival messi assieme!).
E in ogni caso non sono mancati i film belli e importanti (per noi più del vincitore) e meritevoli di segnalazione. Primo fra tutti Grâce à Dieu di François Ozon, Orso d’argento Gran premio della giuria (ma era l'Orso d'oro che ci stava bene!) e poi i due cinesi, l’originalissimo Öndög di Wang Quan’an e
So Long My Son di Wang Xiaoshua che "tiene" le oltre tre ore di saga famigliare (con sullo sfondo l’evolversi della Cina contemporanea) grazie a un'ottima regia e all'interpretazione dei due protagonisti (Orsi d’argento per la miglior interpretazione maschile e femminile). Ancora A Tale of Three Sisters del turco Emin Alper, rivelazione di Venezia 2016 e ormai arrivato quasi al livello e alla maturità del connazionale Ceylan e, per finire, il bel film croato God Exists, Her Name is Petrunya, in odore di Golden bear fino alla fine. Sconfortante invece, per noi, la partecipazione italiana: Piranhas - La paranza dei bambini, pur vincitore dell'Orso d'argento per la sceneggiatura, non ci sembra paragonabile, in sincerità e denuncia, con la precedente presenza alla Berlinale di Fuocoammare di Rosi, Orso d'oro nel 2016...
A chiudere la notizia, ormai certa, della nuova carica di direttore all’italiano (ticinese) Carlo Chatrian, reduce da cinque onorevolissime stagioni alla testa del festival di Locarno. Sembra porterà con sé tutti i suoi collaboratori italiani. Auguri di cuore.

Giovanni Martini

 
 
ALTRE VISIONI

serie TV

 

  Fra il mondo della rete e le piattaforme on demand l'immagine in movimento ha trovato nuovi canali di trasmissione, che ne permettono un flusso pressoché inarrestabile. Ovviamente ciò ha comportato degli enormi mutamenti sia per quanto riguarda la tipologia e il numero dei fruitori, sia per quanto attiene alle modalità del consumo, per non parlare dei modi della rappresentazione.
Senza voler entrare nel merito della diatriba
“film al cinema < film in TV”, e dando per scontata la nostra preferenza per la sala, non possiamo non riconoscere l'importanza assunta dalla serialità televisiva, che ormai si è imposta come nuova arte della narrazione, capace di competere alla pari con il racconto cinematografico, al punto di generare fenomeni di dipendenza (binge watching), che non hanno limiti di età o di genere. Abbiamo perciò pensato di aprire una rubrica dedicata a queste “altre visioni”, aperta anche al contributo dei lettori per segnalazioni, suggerimenti.

   Nell'universo ormai sconfinato delle serie TV la produzione tedesca ha occupato in questi ultimi anni un posto di tutto rilievo, affermando anche una propria connotazione ben precisa, che si può sintetizzare in una particolare attenzione alla propria storia, passata e presente: le vicende raccontate non possono infatti prescindere dal contesto in cui sono inserite. Dopo il successo nella passata stagione di Babylon Berlin e Dark, quest'anno sono uscite due serie altrettanto pregevoli: Das Boot e Dogs of Berlin, una ambientata nel 1942 durante l'occupazione nazista della Francia, l'altra nella contemporaneità di una Berlino multietnica con tutte le contraddizioni di una metropoli di oggi.

Andreas Prochaska - Ger/Fra 2018 - stagione 1 (8 episodi)

Christian Alvart - Germania 2018 - stagione 1 (10 episodi)

  Prodotta da Sky (trailer), è basata sui romanzi Das Boot e Die Festung di Lothar-Gunther Buchheim, Das Boot si ispira al bellissimo film di Wolfang Petersen U-Boot 96 del 1981 ed è diretta da Andreas Prochaska (già montatore di Haneke), che ne ha presentato i primi due episodi al Festival di Torino. Rispetto alle vicende raccontate nel mastodontico lavoro di Peterson (300 minuti di pura claustrofobia), Das Boot si colloca non come remake, ma come sequel; si svolge infatti circa nove mesi dopo quegli eventi e al thriller bellico affianca una spy story.
La tensione claustrofobica del film di Peterson, tutto girato all’interno del sottomarino, improponibile in una narrazione seriale, viene qui interrotta abilmente dal racconto di ciò che avviene contemporaneamente a terra, dove la sorella di uno dei marinai (la bravissima Vicky Krieps de Il filo nascosto) è combattuta tra i rapporti con un gruppo di partigiani e le attenzioni di un capo della Gestapo. La serie è tutta giocata sull’alternanza di questi due mondi paralleli, l’uno terrestre e l’altro acquatico, le cui tensioni si riversano l’una sull’altra, alternanza che riflette la duplice natura dei vari personaggi, ma anche l’origine doppia del progetto. La vita a bordo del sottomarino, con i suoi momenti frenetici di caccia e fuga, le snervanti attese e il terrore silenzioso delle bombe di profondità, con le tensioni e le lotte di potere tra i vari personaggi è ricostruita in modo impeccabile, tale da soddisfare le attese di chi ama il genere, che, da 20.000 Leghe sotto i mari a K-19, ha dimostrato l’efficacia di una rappresentazione che sfrutta tutti gli elementi di uno spazio chiuso.
Un po’ più debole è risultata la parte sulla resistenza, basata su clichè abbastanza scontati. Ma si tratta di un dettaglio minore, all’interno di una narrazione perfettamente riuscita, dove una sceneggiatura di ferro e un cast di tutto rispetto (oltre alla citata Vicky Krieps, l’affascinante Lizzy Caplan di Masters of Sex, Tom Wlaschiha de Il Trono di Spade e Vincent Kartheiser di Mad Man) convivono con una ricostruzione storica accuratissima e con scelte di regia molto efficaci.
 

  Prodotta da Netfix (trailer), diretta da un regista che vanta un’esperienza hollywoodiana, Christian Alvart, e interpretata da ottimi attori, Dogs of Berlin è ambientata in una Berlino, che non è quella turistica, ma quella delle periferie disagiate e presenta i connotati tipici della metropoli tentacolare del noir.
Qui si incrociano due vicende parallele: l’indagine sull’omicidio di un noto calciatore turco, che gioca però per la Germania, alla vigilia di una sfida decisiva proprio tra Germania e Turchia, condotta da un poliziotto (Felix Kramer), trasgressivo sia nel lavoro che nella vita privata e quella su un gruppo di narcotrafficanti turchi guidata da un poliziotto (Fahri Yardim) di origini turche, molto ligio alle regole e omosessuale,. Due personalità diversissime nell’affrontare il lavoro e la vita, le cui strade finiranno per incontrarsi in una città infida e sibillina, dove il confine tra criminalità e giustizia, tra il bene e il male è assai labile.
L’universo descritto da Alvart è nero, costituito da personaggi ambigui, che si trovano a doversi destreggiare fra le pericolose minacce provenienti dall’ambiente esterno (il razzismo, il risorgente nazismo, la mafia, l’emarginazione sociale) e quelle che vengono invece dall’interno, dalla corruzione che non risparmia i luoghi del potere.
Chiunque è vittima di qualcosa di oscuro, da nascondere o da rivelare e nessuno si salva. L’intreccio dei diversi rivoli della narrazione perfettamente costruito e il ritmo adrenalinico, che meglio si prestano a una visione binge, quale quella offerta dalla piattaforma Netfix, ne fanno un’opera degna delle migliore tradizione cinematografica del genere noir.
 


 

Cristina Menegolli

 

 
 
concerti BEATLES

8 febbraio / 14 marzo 2019

  Strana la febbre-Beatles, la temperatura sembra restare bassa, poi si alza all'improvviso e approfitta di anniversari e ricorrenze per scaldare l'animo dei musicisti e l'entusiasmo degli spettatori. Tra febbraio e marzo le sonorità legate ai mitici fab-four hanno echeggiato tra a Treviso e Padova.
La prima  location  è stata al
  Teatro Astori di MOGLIANO (8 febbraio) con lo spettacolo I Beatles al cinema: la Magical Mistery Orchestra ha scandito sul palco le tappe cinematografiche della band di Liverpool dalle regie di Richard Lester (A Hard Days Night, 1964 - Help!, 1965) all'azzardo cineautoriale degli stessi Beatles con Magical Mistery Tour (1967). A seguire, l'animazione di Yellow Submarine (1968) ed infine il documentario-epitaffio Let It Be del 1970. Per ogni momento storico lo schermo si è illuminato di alcune sequenze significative che sono diventate pretesto per la band per eseguire svariati brani ricollegabili stilisticamente o cronologicamente alle cinque storiche pellicole: da And I Love Her a I Wanna Hold Your Hand, da A Day In The Life a Get Back, per chiudere con un trascinante Twist and Shout.



Pregio della serata? La verve multicolore di scenografie e sonorità che bene hanno reso l'atmosfera beatlestina. Una pecca è forse rintracciabile nella gestione dei brani video, taluni di qualità davvero mediocre (Magical Mistery Tour soprattutto), altri (Yellow Submarine) troppo prolungati per riuscire a mantener vivo l'interesse dei fan più "marginali".

  A PADOVA,  al centro San Gaetano (14 marzo) per il  Concert for George Harrison La Banda del Sottomarino Giallo ha cercato subito di allargare l'orizzonte sonoro facendo aprire la serata al gruppodi meditazione Self-Realisation Fellowship: tabla, cembali ed harmonium per introdurre lo spirito di introspezione meditativo/trascendentale che George abbracciò sull'onda della scoperta delle musiche di Ravi Shankar e con le quali contagiò le sonorità (e le spiritualità) di tutta la band. Ecco allora che a partire dalla leggerezza di Norwegian Wood fino ad arrivare all'astrazione di The Inner Light ha fatto la sua comparsa sul palco il sitar di Silvia Morbiato.Suggestive le immagini a corredo che hanno illuminato la scena, precise le esecuzioni, piacevolmente scanzonata la verve dei musicisti che hanno furbescamente allargato il tiro addentrandosi nel mare magnum della produzione beatlestiana, da Yesterday e Eleanor Rigby (con il violino di e il violoncello di Alessandra Iuvarra), da Lady Madonna a Across the Universe.



Ci sarebbe  stato altro  Harrison da  proporre  oltre  a While My Guitar Gently Weeps,  Here Comes The Sun,  Something e  “dopo” My Sweet Lord, ma la serata nel complesso è stata davvero elettrizzante. Ma, giusto per cavillare, possibile che la simpatica Banda del sottomarino giallo non abbiano nel cuore e nel proprio bagaglio musicale la dichiarazione d'amore di George ai fan di Apple Scruffs?

Massimo Bellio (tastiere e voce)
Roberto Cecchetti (chitarre e voce)
Eddy De Fanti (chitarre, percussioni e voce)
Andrea Ghion (basso)
Matteo Ramuscello (batteria)
Michele Vallerotonda (chitarra e voce)
Antonio Micheli (chitarra e voce)
Andrea Pedrotti (chitarra e voce)
Stefano Marzari (basso e voce)
Guido Rosa (tastiere)
Diego Vergari (batteria)

ezio leoni

 
 
MUSEO NIVOLA DI ORARI (NU)

6-23 aprile 2019

   Il progetto che alimenta la personale di Sarah Revoltella You May Say I Am a Dreamer punta lo sguardo su una contemporaneità in cui le logiche del conflitto e dall’imposizione risultano totalizzanti nel nostro contemporaneo, tese a cancellare le diversità in nome di un modello unico di pensiero. Contro questa visione che impoverisce la molteplicità del reale, la mostra presenta tre momenti.
In primis il grande arazzo
Stelle e conflitti realizzato in collaborazione con le tessitrici di Nule (sotto la guida della textile designer Eugenia Pinna). Il sovrapporre la mappa celeste dei buchi neri elaborata dalla NASA con quella terrestre che visualizza le guerre attualmente in corso in tutto il mondo, allude provocatoriamente all’energia negativa sprigionata dai conflitti in una spirale di violenza che assume dimensioni cosmiche. A questa negatività si contrappone la forza positiva del lavoro umano e dello sforzo condiviso. La collaborazione fra artiste e artigiane vuole realizzare “un progetto collettivo, nel quale ogni punto di tessitura diventa anche un atto simbolico volto al disarmo, attraverso la consapevolezza che noi siamo anche quello che produciamo”. Lo stesso tema si ritrova nell'installazione Polarizzazione (statuine in ceramica colorata di un'umanità che rifiuta una classificazione in identità standardizzate) e nello "schieramento video" che riprende la performance di Io Combatto.

L’arte come uno strumento di analisi, di riflessione e di resistenza!

 
 

gennaio-maggio 2019   

    

 
 
VERSO IL CENTENARIO. FEDERICO FELLINI. 1920-2020

14 aprile-1 settembre  2019

   Nulla si sa, tutto si immagina”. Lo diceva Federico, l’ha dimostrato il suo cinema, prova a ribadirlo la mostra padovana Verso il centenario. Federico Fellini. 1920-2020, ai Musei Civici agli Eremitani di Padova.
Un’esposizione che ha l’obiettivo di far entrare il visitatore nel mondo magico e onirico del grande regista riminese attraverso l’affastellarsi (mai casuale, ma sapientemente coreografato) di testimonianze di lavorazione (contratti e sceneggiature, modellini, gli splendidi costumi del Casanova) e di vita (la sua amata copia del Pinocchio di Collodi, le lettere a Giulietta Masina) e oltre 200 bozzetti e disegni di suo pugno: una vera orgia di immagini e colori quella che riempie i pastelli “goliardici” che dalle caricature (da De Sica a Totò) arrivano al sorridente erotismo di Erotomachia, una sezione che nella mostra è posizionata dietro un censorio separé “per non minori di 18 anni”…
E, a corredo, un lussureggiante catalogo e l’appassionata presentazione alla stampa dell’assessore alla Cultura Andrea Colasio, orgoglioso di aver anticipato con questa mostra la commemorazione del centenario della nascita del maestro Federico, “artista della soglia, sempre in bilico tra sogno e reale”.
Entusiasta della location patavina dei Musei Civici anche la nipote Francesca Fabbri Fellini che ha voluto omaggiarlo con un amorevole ricordo: “alla mia nascita disse a mia madre che portavo con me la ruggine di una così lunga attesa” (sono rossi i capelli Francesca ed erano passati dodici anni dal matrimonio!). Tra i curatori mancava l’amico di sempre Francesco Mollica; Alessandro Nicosia non ha mancato di citarlo ricordando come questa “anteprima” padovana sia il punto di partenza per un progetto a dimensione europea (prossima tappa sarà Milano) teso a far conoscere il grande Federico ai più giovani.

In effetti se l’opera felliniana, in un mondo destoricizzato a fronte delle tensioni tecnologiche del cinema del presente, corre il rischio di apparire un reperto cinematografico ormai datato, il suo potere di geniale fascinazione è un’eredità che le nuove generazioni meritano di scoprire e godere. Perché (sono ancora parole sue) “l’unico vero realista è il visionario”.

e.l.

 
 

anteprima al Lux (Padova): 16 maggio   

 

 
 

in rete dal 15 aprile 2019

 

 

redazione!
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