giugno 2021

periodico di cinema, cultura e altro... ©
 

n° 66
Reg.1757 (PD 20/08/01)

 
 

Anche stavolta è il western a fare da padrone, ma anche il cinema muto si è ormai trovato una sua periodicità e il network non manca di riservare piacevoli sorprese. In più questo numero ospita un breve intervento di cronaca & architettura, un amaro sguardo prospettico.

 
 

  PILLOLE WESTERN                                         

 

la trilogia della Cavalleria

  Con la trilogia della Cavalleria vengono individuati tre film di John Ford, Il massacro di Fort Apache, I cavalieri del Nord Ovest e Rio Bravo, datati rispettivamente 1948, 1949, 1950. L'attenzione del regista è rivolta all''istituzione militare, nodo cruciale della storia americana, nello specifico di quella del West (e del western).
Nel primo rivolge uno sguardo amaro e critico alla follia bellica del colonnello Thursday, nel secondo descrive con nostalgica partecipazione l'ora del pensionamento del capitano Brittles di stanza a Fort Starke, nel terzo entra nella dimensione familiare del colonnello Yorke che, nel campo ai confini del Messico, reincontra il figlio arruolatosi come recluta e la moglie che non vedeva da 15 anni.
Per Ford le tre opere sono complementari, tre tasselli di uno stesso mosaico, tre occasioni per mettere in luce come il Forte sia un sistema sociale stabile, una comunità solidale, un microcosmo dove i soldati forgiano le loro personalità di uomini e di "eroi" scoprendo valori quali l'amicizia, il rispetto e l'onore.

Fort Apache, She Wore a Yellow Ribbon e Rio Grande (questi i titoli originali) non sono narrativamente un tutt'uno (anche se le date d'ambientazione sono susseguenti: 1864, 1876, 1879) e non hanno l'un l'altro un preciso collegamento, ma la regia suggerisce analogie e rimandi: i Forti, che sono in ogni racconto avamposti a ridosso dei territori indiani - la presenza attoriale di John Wayne che nel suo personaggio sa invecchiare in saggezza e sentimento - il cognome del suo protagonista che dal primo al terzo film passa da York a Yorke e che in entrambi trova come spalla il soldato Tyree (Ben Johnson) - la figura del sergente "alcolico", interpretato da Victor McLaghen, che si ritrova in ognuno dei tre film (e che negli ultimi due mantiene anche lo stesso nome, Quincannon).
E poi, ovviamente la continuità musicale (da She Wore a Yellow Ribbon a Dixie) e il fascino comune dei paesaggi della Monument Valley, fotografati in bianco e nero nel primo e terzo "episodio", a colori nel secondo.

Ezio Leoni

NOTE
Le tre pellicole sono tutte tratte dai racconti di James Warner Bellan.
Una discontinuità "fastidiosa" si ritrova nel doppiaggio italiano di John Wayne: solo nell'ultimo di questi tre film il tenente colonnello Kirby Yorke ha la voce di Emilio Cigoli (già presente in Ombre rosse e  Il fiume rosso e che ritroveremo in Sentieri selvaggi), nel primo è il turno di Mario Pisu che, per il capitano York, ha comunque un timbro simile, mentre l'abbinamento capitano Brittles-Sandro Ruffini appare decisamente "stonato".

 
 

  ALTRE VISIONI                                      

 

visioni online

Vincenzo
 Park Jae-bum e Kim Hee-wonder # Corea del Sud 2021
(Netflix
- 20 puntate)
trailer

“Adesso che hanno visto Parasite tutti pensano di conoscere la Corea” è la battuta pronunciata da un personaggio del k-drama coreano Vincenzo, da maggio su Netflix. L'ironia sottintende che non è tanto al cinema “d'autore”, quello più conosciuto all'estero, che gli sceneggiatori fanno riferimento, quanto alla vasta offerta di film popolari, di genere, che la Corea produce e che in Italia sono ben noti ai frequentatori di festival come il FarEast di Udine.
La serie gode di grande successo in patria, al punto che alle 16 puntate previste, a grande richiesta del pubblico, ne sono state aggiunte altre 4, per arrivare a 20 di circa un'ora ciascuna. Interpretata dal “Di Caprio” coreano, Song Joong-ki, racconta la storia di un giovane avvocato italo-coreano, adottato da piccolo da un mafioso italiano, che, dopo la morte del padre, torna al suo paese di origine, per recuperare un tesoro in lingotti d'oro a suo tempo nascosto sotto le fondamenta di un edificio a Seul.



La notorietà di Vincenzo in Italia è dovuta prevalentemente al fatto che le origini italiche del protagonista danno adito a tutta una serie di stereotipi spesso esilaranti sul nostro paese visto con gli occhi dei Coreani, a partire dalle difficoltà dei vari personaggi a pronunciare il nome stesso del protagonista, Vincenzo Cassano (Binsenjo), declinato in tutte le varianti possibili, per concentrarsi sui vari vezzi attribuiti al personaggio: l'eleganza nel vestire, il gusto per la buona cucina, la passione per il calcio (al piccione frequentatore abituale del suo davanzale verrà dato il nome Inzaghi), il ricorrere a metodi tipicamente mafiosi, il parlare in Italiano soprattutto nei momenti di rabbia (Korea di mmmerda!) (va vista ovviamente in lingua originale).
Questo aspetto per noi Italiani costituisce sicuramente un valore aggiunto per la godibilità della serie, ma sarebbe limitativo concentrarsi unicamente su esso. Gli autori infatti si muovono agilmente tra i vari generi che caratterizzano il cinema coreano pop, dall'azione al melò, dal sentimentale al thriller, dal drammatico al demenziale, alternandoli in una costruzione narrativa perfettamente controllata, in cui dalla storia principale si dirama tutta una serie di sottotrame, che permettono di tenere sempre desta l'attenzione dello spettatore: il rapporto ambivalente con la giovane rampante avvocatessa (una bravissima Jeon Yeo-been) e con suo padre, difensore degli ultimi, il ritrovamento della madre naturale, la mafia locale, la corruzione dei poteri, la speculazione edilizia, l'amicizia e la complicità che un po' alla volta si vengono a creare con gli abitanti del palazzo che dovrebbe essere abbattuto.

La perfetta costruzione drammaturgica si basa anche su una accurata caratterizzazione dei personaggi, anche minori, con i quali Vincenzo entra in contatto, in particolare i variegati abitanti dell'edificio, sotto cui è nascosto l'oro: il cuoco di un improbabile ristorante italiano, la giovane insegnante di pianoforte, che sembra uscita da uno dei tanti film horror coreani (e infatti la troviamo che si esercita nella camminata da zombie per il casting de Il treno per Busan 2), il sarto con un passato di gang, il fanatico di arti marziali, i due bonzi...
A ciò si aggiunga una notevole dose di ironia, anche autoreferenziale, nei riferimenti agli stereotipi sul cinema e sulle serie coreane e su come si suppone vengano recepite all'estero. Una serie dunque godibilissima e coinvolgente, la cui lunghezza non si fa certo sentire e che, anzi, alla fine delle più di 20 ore di visione, lascia un certo rimpianto.

Cristina Menegolli

 
 

  PERLE SILENZIOSE                                           

 

alla riscoperta del CINEMA MUTO

Proseguiamo il nostro viaggio nel cinema muto con altri due film del 1920. Se la scorsa volta l’horror e il melodramma, entrambi venati di più o meno ricercate introspezioni psicanalitiche, avevano guidato la nostra esplorazione dei generi, vogliamo dedicare alla commedia questo nuovo appuntamento. Una commedia, sia detto dal principio, non esente da sfaccettature tragiche, da punte di dramma che se da un lato – il lato del Sumurun di Lubitsch – entrano direttamente nel canovaccio dell’opera e ne determinano la natura ibrida di tragicommedia sul modello shakespeariano, dall’altro – il lato de Gli zaffiri di Kim – lasciano la pellicola allegra e immacolata per riverberarsi, invece, sulle vicissitudini di chi quel film lo ha interpretato.

Sumurun >>

Gli zaffiri di Kim >>

Matteo Pernini

 
 

  SGUARDI PROSPETTICI                                         

 

la triste fine dell'ex-stabilimento Diemme

In un cassetto custodisco ancora lo scritto stilato con la sua vecchia Olivetti Lettera 32 da mio zio, l'architetto Renzo Menegazzo, dove - durante la mia frequentazione dello I.U.A.V. tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli ‘80 - mi suggeriva quali “matite e quali mine” era preferibile utilizzare per realizzare un disegno piuttosto che un altro. Oggi zio Renzo cosa potrebbe suggerire di fronte allo sfregio, alla vera e propria violenza che ancora una volta la "sua" Padova subisce: la demolizione del "suo" stabilimento Diemme di via Caprera.

Siamo infatti dinnanzi ad “un condannato a morte” senza alcuna possibilità di salvezza, ma queste poche righe assumono per me  l’accezione di un atto moralmente dovuto, in fondo un mio “atto d’amore” nei confronti dello zio Renzo, dell’Architettura, della Cultura e del Bello; un atto d’amore nei confronti delle scelte compiute da “molti” nell’intraprendere studi volti al coraggio, alla sperimentazione, alla ricerca.
Erano anni, quelli di Renzo Menegazzo, in cui le “occasioni” erano permeate dal sapere e dal rigore, anni nei quali tali aspetti potevano concretizzarsi nella “forma”, nella “composizione” o nell’uso dei materiali; anni in cui una committenza illuminata, anch’essa coraggiosa e audace, offriva opportunità e possibilità.

Già di molte architetture padovane degli anni ‘50/‘60 non rimane traccia, ora un’altra se ne aggiungerà! Che dire? Certamente verrebbero spontanee molte considerazioni, ma una le sovrasta tutte: perché, con “un colpo di ruspa”, cancellare, senza rispetto, senza ritegno, senza vergogna la memoria storica? Perché? Ovvia la risposta!: il mondo è cambiato! Ed è questo il cambiamento? Credo fermamente nella possibilità di realizzare nuove architetture di qualità partendo da realtà capaci di trasudare storia (rimanendo all’interno di quanto progettato e realizzato da mio zio, penso all’ampliamento dell’Hotel Mediterraneo di Jesolo Pineta) ma, evidentemente, tale modus operandi risulta più “faticoso”, impegnativo e poco... conveniente! Quindi meglio radere al suolo, meglio... “bombardare”! Risultato? Una netta umiliazione dell’intelligenza e del sapere.
Con la consolazione che mio zio Renzo è troppo “lontano” per vedere tutto questo, vorrei qui condividere la speranza di un futuro “colpo di coda” della Cultura, del Bello e dell’Armonia...

Massimo Magagnin

 
 
 

in rete dal 7 giugno 2021

 
 

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