La vendetta di un uomo tranquillo

Raúl Arévalo

Madrid, agosto 2007. Curro è l’unico di una banda di quattro criminali a essere arrestato per una rapina in una gioielleria. Otto anni più tardi, la sua fidanzata Ana e il figlio lo attendono all’uscita dal carcere.
José è un uomo solitario e riservato che sembra non adattarsi in nessun luogo. Una mattina si reca nel bar dove Ana lavora con il fratello e ben presto la sua vita inizia a intrecciarsi con quella delle altre persone che frequentano il posto, facendolo sentire come uno di loro. Soprattutto Ana, che vede il nuovo arrivato come una valvola di sfogo per la sua vita dolorosa… Su queste “tranquille” basi narrative l’esordiente Raúl Arévalo sa calibrare un gioco di tensioni che prevedono l’alternarsi di punti di vista in apparenza divergenti, ma infine perfettamente convogliati in un giudizio inesorabile sui comportamenti umani. Un thriller convincente e coinvolgente, ben costruito, diretto, teso ad una inaspettata, impietosa vendetta.?

 

PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE ATTRICE A RUTH DÍAZ ALLA 73. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2016)

 

Tarde para la ira
Spagna 2016 – 92’

VENEZIA – L’esterno di una gioielleria. Un uomo in auto che attende i suoi complici. Scatta l’allarme, la polizia interviene, i rapinatori si dileguano, l’autista è costretto alla fuga. L’inseguimento mozzafiato per le strade di Madrid, poi la cattura. Un inizio degno dei migliori film d’azione per Tarde para la ira, presentato a Venezia nella sezione Orizzonti, opera prima dell’attore spagnolo Raúl Arévalo. Dopo questo movimentato antefatto, la storia procede suddivisa in veri e propri capitoli (El Bar, La Familia, Ana, Curro), nei quali ci vengono presentati i personaggi in gioco e il loro ruolo. Facciamo così la conoscenza di un gruppo di amici le cui vite ruotano attorno alla caffetteria di uno di loro, Sanjo, e tra i quali viene accolto il timido e modesto José. Conosciamo Ana e suo marito Curro, l’autista della prima scena, l’unico catturato dell’intera banda di rapinatori, che sta scontando 8 anni di carcere. Sola e con un figlio piccolo, la donna è indecisa se accettare o meno l’impacciato corteggiamento di Josè. E quando tutti i pezzi sono disposti sul tavolo, ecco che si apre il lungo capitolo finale, quello in cui il film mostra la sua vera natura: La Ira.
Da qui in poi, è un susseguirsi di rivelazioni, di tensione, di violenza. Josè non è affatto il riservato corteggiatore che con la sua dolcezza ha conquistato il cuore di Ana, ma è un uomo macerato dal dolore che, da quando la moglie è stata uccisa durante la fatidica rapina alla gioielleria, vive solo per compiere la sua vendetta. Sequestrata Ana e suo figlio, José minaccia Curro, appena uscito dal carcere, di non farglieli più rivedere, e lo costringe a rivelargli i nomi dei complici e a seguirlo mentre, con spietata freddezza, va a eliminare ogni componente della banda.
Dire che Raúl Arévalo (che è anche co-sceneggiatore) confeziona il solito, stravisto, action-movie sul tema della vendetta, sarebbe fargli un torto. È vero che il soggetto non brilla per originalità, ma la cura della sua esecuzione e la presenza di alcuni elementi originali lo differenziano dai prodotti distribuiti nelle multisale. La sceneggiatura, pur seguendo i canoni del genere, mitiga l’ordinarietà della storia rivelando le sue mosse poco alla volta e arricchendola di colpi di scena e di un finale che è tutto tranne che banale.
Le scene delle uccisioni sono girate prediligendo la soggettività del protagonista in preda al furore, piuttosto che essere mere esibizioni di violenza. Arévalo ci trascina nella testa di Josè nel momento in cui la sua umanità cede il posto all’ira e, pur facendolo con strumenti classici (esclusione parziale del sonoro, primi piani alternati sull’arma e sui volti dei protagonisti), riesce a coinvolgere lo spettatore, che sente crescere la tensione, intuisce che sta per scatenarsi la furia e si trova a sperare che l’inevitabile non accada… o che accada il prima possibile.

 

Da notare, inoltre, che il tema espresso nel titolo emerge lungo tutto il percorso di vendetta intrapreso da José. Le sue vittime, infatti, sono persone ben diverse dai malviventi che tanti anni prima hanno compiuto la rapina, sono uomini che si sono rifatti una vita, che hanno un lavoro, una famiglia, che si sono pentiti o che non sono direttamente responsabili dell’omicidio della moglie. La sensazione che la vendetta sia ormai fuori luogo, che sia davvero troppo “tardi per l’ira”, si fa sempre più pressante man mano che l’escalation procede.
Infine, molto particolare è l’attenzione posta sul rapporto che si instaura tra José e Curro, un incontro silenzioso tra due uomini soli, quello a cui è stato portato via tutto e quello che, dopo aver fatto otto anni di carcere senza tradire i suoi complici, sta conducendo il vendicatore sulle loro tracce. I due, costretti a stare insieme da José per le esigenze della caccia, e forse perché Curro è l’ultimo sulla sua lista, sembrano loro malgrado aver bisogno l’uno dell’altro per riuscire a sopportare la violenza e la morte di cui sono l’artefice e il testimone impotente.

 

Tarde para la ira si differenzia, quindi, dai prodotti di matrice hollywoodiana pur conservandone la struttura di base e il ritmo incalzante (risparmiandoci, però, eroi palestrati e battute scadenti!). Una Buona prima prova da regista per Raúl Arévalo, che lascia la sua impronta personale su un genere abusato. E bravissimo Antonio de la Torre, che interpreta José rendendolo credibile sia nelle vesti del timido corteggiatore che in quelle dello spietato vendicatore.

Marta Ciardella – MCmagazine 41

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