Fortunata

Sergio Castellitto


Fortunata ha una vita affannata, una bambina di otto anni e un matrimonio fallito alle spalle. Fa la parrucchiera a domicilio, parte dalla periferia dove abita, attraversa la città, entra nelle case benestanti e colora i capelli delle donne. Fortunata combatte quotidianamente con determinazione per conquistare il proprio sogno: aprire un negozio di parrucchiera sfidando il suo destino, nel tentativo di emanciparsi e conquistare la sua indipendenza e il diritto alla felicità: per questo è pronta a tutto, ma non ha considerato la variabile dell’amore… Un film che rifiuta vistosamente il realismo: non vuole essere verosimile, ma appassionante. La (ri)scoperta è Jasmine Trinca di un’aggressività stupefacente, tra Julia Roberts e Anna Magnani.

 

 


Italia 2017 – 1h 43’

A ben pensarci, Fortunata potremmo quasi considerarla la figlia della sventurata Italia di Non ti muovere, anche lei femmina di bassa estrazione sociale che sfiora per un istante l’esistenza un po’ monotona di un medico e anche lei nata dall’immaginazione di Margaret Mazzantini, che ama scrivere dei poveri disgraziati perché nella miseria i contrasti sono più forti e gli scenari più incisivi. E tuttavia, Fortunata è più spavalda e solare della derelitta protagonista del romanzo del 2001 (e della sua trasposizione cinematografica del 2004). Meno umiliata e offesa, cammina a testa alta e sicura sulle zeppe, gridando forte il suo diritto di essere felice. E poi è meno sporca, così come meno sporco, nel senso di meno “brutale”, è il film che il regista le costruisce intorno, ritratto sì di un’umanità proletaria che non esiste più, ma non affresco neorealista con stereotipati ragazzi di vita per protagonisti e nemmeno melò, perché stavolta, in mezzo ai rovesci di fortuna e alle esplosioni e implosioni interiori, non sempre c’è tempo e spazio per lo struggimento e per i rimpianti, anche se il “sommerso drammaturgico” è moltissimo. Fra chatouche, valigette piene di spazzole, ristoranti cinesi pacchiani, pelli abbronzate e versi dell’Antigone recitati da una vecchia attrice con l’alzheimer, “le beau Serge” preferisce infatti lasciarsi andare a suggestioni altre e così sceglie i modi e l’estetica quasi della favola: una favola kitsch dal sapore amaro e a tratti poetico in questo caso, una rappresentazione felicemente sgangherata della realtà che diventa un esercizio di libertà affidato ­ in una Roma “di confine” a suo modo suggestiva – a personaggi magnifici: ora sanguigni, ora folli, ora più malinconici. Il tutto condito da dialoghi niente affatto letterari che spingono continuamente all’azione…

Carola Proto – comingsoon.it

 

È come se Castellitto non avesse il coraggio di percorrere con coerenza la strada che si è proposto di seguire, cioè quella del melodramma, genere poco popolare oggi e per questo teoricamente interessante. (…) in Fortunata tutto sembra codificato e previsto, anche le (ridondanti) sottolineature letterarie, con la tragedia di ‘Antigone’ che diventa l’inevitabile lezione-premonizione di quello che sta succedendo. Finendo così per sprecare sull’altare dell’eccesso la voglia di raccontare una storia fuori dalla norma, lontana dal realismo cronachistico di certo cinema d’autore (…)

Paolo Mereghetti – Il Corriere della Sera

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