Come un gatto in tangenziale

Riccardo Milani

 

La storia è quella di Giovanni, intellettuale impegnato e profeta dell’integrazione sociale che vive nel centro di Roma, e Monica, ex cassiera di supermercato residente nella periferia della Capitale. Due mondi diametralmente opposti che si incontrano per caso, a causa del fidanzamento dei rispettivi figli che i genitori tentano in ogni modo di ostacolare. Per portare a termine il comune proposito, i due cominciano, loro malgrado, a frequentarsi e ad entrare l’uno nel mondo dell’altro… Con un umorismo che, sotto l’immediatezza a volte rustica di dialoghi e gag, cercherebbe una sua meditata “politica” finezza Milani gioca senza remore con gli stereotipi anni 70. Il tentativo di na nuova sitcom extra televisiva?

 

 

Italia 2018 – 1h 38′

Chissà se in un futuro si spera prossimo si riuscirà a realizzare una commedia in Italia che sia davvero cinematografica, che non guardi a modi e stili puramente televisivi e cerchi una via anche visiva alla risata? Perché se la serie Smetto quando voglio è l’eccezione, Come un gatto in tangenziale (il nuovo film diretto da Riccardo Milani) è la regola. A partire dal meccanismo narrativo: lui è un consulente del Parlamento europeo, borghese e perbene, impegnato nella riqualificazione delle periferie; lei è una sottoproletaria che vive nell’estrema periferia romana e vive con due sorelle cleptomani e un marito in carcere. Le loro vite si scontrano quando i rispettivi figli tredicenni cominciano a frequentarsi. I due opposti, scelti ai lati estremi della scala sociale senza possibili sfumature nel mezzo (la classe media davvero non esiste più se non la racconta nemmeno il cinema?), che si confrontano con le loro contraddizioni. Soprattutto lui, Antonio Albanese, che come il censore di Alberto Sordi ne Il moralista si trova a negare nella vita reale i propri ideali professionali.
C’è la periferia romana che nel cinema contemporaneo non manca fin dalla commedia di Bruno Nessuno mi può giudicare, ci sono le battute e le situazioni buffe sui diversi contesti culturali, ci sono il qualunquismo, l’anti-politica e il cosiddetto “gentismo” accolti in maniera vagamente acritica (come già Milani fece in Benvenuto Presidente), ma ciò che rende Come un gatto in tangenziale una commedia sterile – al di là del suo onesto e diligente professionismo – è proprio la sua forma innocua, anodina, forgiata sui tempi e i ritmi televisivi, in cui la battuta si porta più facilmente se con la parolaccia, in cui si rincorrono i luoghi comuni solo per il sorriso, in cui non si costruisce mai la risata attraverso l’immagine o il montaggio, la gag, ma con la battuta o la situazione, come una sitcom seppure di lusso. Albanese e Paola Cortellesi sono perfettamente a loro agio in personaggi su di loro tagliati, non ci sono sbavature formali e rispetto agli umori bassi che il film racconta tutto resta sempre più “medio”: in questo senso, il film di Milani trasuda lo stesso senso di colpa borghese (tranne in un breve, sacrosanto sfogo del personaggio di Albanese) che vorrebbe stigmatizzare, mostra la voglia di assumere punti di vista altrui rinnegando la sensatezza dei propri…

Emanuele Rauco – cinematografo.it

Prima o poi chi tenta di uscire dalla propria «bolla» sociale per entrare in quella altrui finisce sotto un bolide. Come un gatto in tangenziale. Albanese, cravatta, trolley e telefonino, consulente di un think-tank per i fondi europei alle periferie, scopre che sua figlia se la fa con un 13enne di Bastogi, zona iperdegradata romana. Ecco l’esplorazione di un’umanità sconosciuta: Albanese incrocia la Cortellesi, mamma del fidanzatino, popolana verace che subito gli massacra l’auto con una mazza e vive con due ladre gemelle taglia XXL, Pamela e Sue Ellen. Insomma, la festa del trash e per le scampagnate c’è il litorale di Coccia de Morto. Il nostro invece ha una leggiadra moglie che svenevole coltiva lavanda in Francia (la Bergamasco, è un profumo vero), se la fa con i radical chic a piedi nudi di Capalbio, ama i film d’essai e spera di farsi benvolere dalla selvaggia in cuoio nero con borchie.
La benemerita ovvia prefazione sociologica del film di Riccardo Milani si scontra subito con una caratterizzazione violenta che non ammette dialettica, proibisce ogni riflessione ma sfocia nel gioco degli opposti: è tutto una o due tacche sopra, da Paola Cortellesi che, non somigliando al prototipo, deve virgolettare il suo personaggio (si autocita dicendo di non aver mai sentito la Montessori) ad Albanese, automa e fotocopia di un manager Roma-Bruxelles incapace di tutto. Politica negli intenti, la commedia gioca con stereotipi anni 70, una folle rincorsa a una risata facile.

Maurizio Porro – ilcorriere.it

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