La Flor

Mariano Llinás

Argentina 2018 – 808′

 LOCARNO – Il festival ticinese non è alieno dai film-monstre essendo stato tra i primi a far conoscere (e anzi a premiare col Pardo d’oro 2014) gli interminabili film del filippino Lav Diaz. Ma qui si è raggiunto il top, obbligando gli organizzatori ad uno sforzo anche logistico. Per arrivare alle quasi 14 ore di proiezione, la maratona è stata suddivisa in tre tappe di quattro-cinque ore ciascuna (con diritto a pausa fisiologica), ma allo stesso quasi nessuno è riuscito a vederlo proprio tutto (gli spettacoli cadevano negli ultimi tre giorni della rassegna, quando notoriamente il livello di attenzione e pazienza degli addetti ai lavori precipita).

Presentato finora solo al BAFICI,il festival di Buenos Aires,dove aveva sbaragliato la concorrenza,La flor, costato al regista ben 10 anni di lavoro, ha l’ambizione di essere una “summa” di tutti i generi cinematografici, colti o popolari. È come se il regista ci dicesse: ecco, il cinema può essere questo e questo e quest’altro (e logicamente chi lo ama deve amarlo in tutte le sue forme); oppure io so farlo così e così e colà (e bisogna riconoscere che ci riesce quasi sempre!). In assenza di un tema, di uno “script” unitario, l’opera ha come solo filo conduttore la presenza delle stesse quattro straordinarie attrici (Elisa Carricajo, Pilar Gamboa, Valeria Correa, Laura Paredes), peraltro già legate a Llenas da una precedente collaborazione teatrale. Nella pratica, sono come sei film diversi e distinti, tenuti assieme solo dalla vulcanica, torrentizia ispirazione del regista.

  

Il primo è il classico horror-movie con tanto di maledizione della mummia; il secondo (il migliore, su cui torneremo) è un melodramma, quasi un musical, inframmezzato da una specie di spy-story; il terzo, il peggiore (esodo in sala a neanche metà…), quasi sei ore di thriller internazionale poco comprensibile. Seguono un episodio di cinema nel cinema, un rifacimento omaggio in elegante bianco e nero del classico Un partie de campagne di Renoir, e per finire un racconto breve fantasmagorico, ispirato si direbbe al mondo del grande argentino Borges. Tanti momenti trascinanti alternati a inevitabili lentezze; cambio continuo di lingua (spagnolo, italiano, inglese), ambienti, città (Londra, Parigi, Hong Kong), paese (Argentina, Italia, America). E ci sono guerriglieri, agenti segreti, killer, addirittura gli dei dell’Olimpo! Un rollercoaster, uno sballo, un paradiso per il cinefilo?

 

A volte un po’ teatro filmato, qualche didascalia di troppo, scritta o recitata, alcune parodie non proprio riuscite, ma nel complesso una “cosa” cinematografica spiazzante, spesso divertente, ma fondamentalmente riuscita. Nella definizione dell’autore “un’arca di Noe del cinema “, o forse il rifacimento in chiave pop dell’algido Histoires du cinema di Godard. Arriverà mai al pubblico della sala? Quasi impossibile per ovvi motivi. A meno che… Come abbiamo accennato, il secondo episodio, la travagliata storia d’amore e odio tra una cantante e il suo Pigmalione-amante-socio-concorrente-acerrimo nemico, è straordinaria e potrebbe benissimo reggersi da sola. Ispirata sembra alla traiettoria di un gruppo argentino di grande successo negli anni 80, i Pimpinela, girata parte a colori parte in bianco e nero, la storia è un caleidoscopio di continui cambi di prospettiva; la stessa realtà vista o raccontata in maniera diversa dai vari protagonisti e comprimari, un po’ alla Rashomon per intendersi.

L’alternanza perfetta tra cantato e recitato, i testi delle canzoni straordinari. Un piccolo capolavoro. Anche se il vulcanico Mariano non sarebbe certo d’accordo, Que tal distribuire solo questa parte (giusto due ore)?

Giovanni Martini – MCmagazine 47

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