Agnès Varda e JR hanno in alcuni punti in comune: la passione e la messa in discussione delle immagini in generale e più specificamente sui luoghi e sui dispositivi per mostrarle, condividerle ed esporle. Agnès ha scelto il cinema. JR ha scelto di creare delle gallerie fotografiche all’aperto. Quando Agnès e JR si sono incontrati nel 2015, hanno subito deciso di lavorare insieme per fare un film in Francia, lontano dalle città, attraverso un viaggio a bordo del camion fotografico (e magico) di JR, portando a termine una serie di progetti, a volte casuali a volte già preparati. Ma il film racconta anche la storia della loro amicizia, cresciuta durante le riprese, e il senso più profondo del film va cercato proprio nel legame che unisce due persone così distanti, un legame che accomuna lo spettatore e che restituisce al cinema la sua forza di invenzione e di poesia.
Francia 2016 – 1h 30′
Francia 2016 – 1h 30′
…Una vera e propria poesia in immagini realizzata sulle strade della dall’88enne regista Agnès Varda, una delle ultime rappresentanti della NouvelleVague, e JR, giovane protagonista mondiale della street art, celebre per le sue gigantesche fotografie incollate sulle facciate di edifici, muri, scale, cisterne, treni e qualunque superficie lo ispiri. La strana coppia esplora alcuni villaggi per cercare volti e corpi capaci di raccontare delle storie, ma il loro via diventa l’occasione per riflettere sul tempo che passa, sul significato delle immagini e sulla straordinaria bellezza dell’umanità. Impossibile non commuoversi poi quando la Varda tenta senza successo di incontrare lo schivo Godard nella sua casa di Rolle, in Svizzera, e finisce per essere sommersa dai ricordi di un irripetibile passato.
Alessandra De Luca – Avvenire
I francesi lo definirebbero un film jubilatoire, che mette allegria e gioia. Noi italiani possiamo aggiungere radioso, etereo, brioso, esultante. Perché Visages Villages, che la Cineteca di Bologna ha meritoriamente distribuito in Italia dopo gli applausi ricevuti a Cannes (e la nomination agli Oscar), non è solo un film, un bel film, ma anche una specie di esperienza totale, psicologica e mentale, capace di trasmetterti quella gioia e quell’allegria che animano il film e i loro due autori e interpreti, la regista Agnès Varda e il fotografo JR.
La trama è riassunta perfettamente nel titolo: volti e villaggi. Curiosi l’uno dell’altra, JR e Agnès Varda hanno deciso di mettersi in viaggio per la Francia e cercare persone e situazioni da riprendere e fotografare con la tecnica che ha reso celebre il fotografo franco-tunisino: riproduzioni ingigantite di uomini e donne da incollare sui muri. Una pratica che JR ha sperimentato in giro per il mondo, anche in Italia a Napoli sui marciapiedi della passeggiata a mare, ma che con gli interventi della Varda guadagna un più di senso, perché iscritto in una più coerente riflessione sul rapporto tra l’immagine e la sua fruizione, tra la persona e l’ambiente, tra l’arte e i luoghi dove può essere esposta. Oltre che un più di divertimento, visto che il senso più profondo del film va cercato proprio nel legame che unisce due persone così distanti e che le fa vicendevolmente reagire. Perché quello che è il «tradizionale» percorso dell’arte contemporanea, preoccupata di rompere i confini della fruizione «esponendo» le proprie opere dove non ti aspetti di vederle e coinvolgendo in maniera sempre più diretta il pubblico così da abbattere le barriere tra oggetto e fruitori, diventa in Visages Villages qualcosa di diverso e, appunto di, jubilatoire.
La differenza d’età tra i due sembra svanire – quando ha girato il film la regista Agnès Varda aveva ottantotto anni, il 30 maggio di quest’anno ne compirà novanta; JR ne aveva trentatré, ne ha festeggiati trentacinque a febbraio) – anzi chi ha più energie sembra proprio lei perché ha saputo mantenere la stessa curiosità e lo stesso entusiasmo che l’hanno guidata per tutta la sua vita da regista: «Il caso è sempre stato il migliore dei miei assistenti» spiega, a ribadire un’idea di cinema che è disposta a confrontarsi continuamente con la realtà e da quella ricevere stimoli e suggestioni. È l’esprit de liberté che i registi della Nouvelle Vague avevano teorizzato e messo in pratica e da cui lei, antesignana di quella rivoluzione, si era fatta guidare per i suoi film, La Pointe-Courte, Cléo dalle 5 alle 7, Les Creatures, Senza tetto né legge fino agli ultimi lavoro a cavallo tra documentario, finzione e riflessione.
E che qui si ritrova nella libertà con cui organizzano (o meglio: disorganizzano) il loro viaggio per la Francia: vanno in un villaggio di minatori vicino allo spopolamento, in una fabbrica che lavora il sale, in una cittadina del Sud e tra i resti di un bunker della Seconda Guerra Mondiale, a conoscere i lavoratori del porto di Le Havre e le loro moglie o su un treno merci. Senza una logica che non sia quella del caso e della curiosità, della voglia di incontrare persone nuove, di visitare la tomba di un amico (Henri Cartier-Bresson, commovente per semplicità) o di ritrovare luoghi del passato (come la Normandia dei primi lavori fotografici della Varda). Insieme a una bella dose di ironia, di leggerezza e di divertimento. A sorprendere, oltre la vitalità e la grazia di una regista che ha mantenuto lo spirito dei suoi vent’anni, è però la lezione di cinema che emerge ad ogni scena: Visages Villages non è un documentario, non sono fogli di diario, non è una finzione, è tutto questo e molto di più ancora perché ad ogni scena ti sembra di entrare in un film nuovo, a secondo di quello che il mondo che incontrano i due autori propone loro.
Così c’è tempo per parlare dei problemi di vista di lei e per visitare la nonna centenaria di lui, per ribadire l’egoismo di Jean-Luc Godard (la deviazione a Rolle, dove abita il regista, è commovente ed emozionante insieme) e ricordare l’amore per i gatti, in un trionfo di intelligenza appassionata, di divertimento e allegria. Che restituisce al cinema la sua forza di invenzione e di poesia.
Paolo Mereghetti – Il Corriere della sera