Sto pensando di finirla qui

Charlie Kaufman

La giovane Lucy (Louise?) viene portata dal fidanzato Jake a conoscere i genitori di lui, che abitano in una fattoria isolata. Ben presto la permanenza nella casa assume contorni sempre più inquietanti e il ritorno in auto, sotto una bufera di neve, li porta alla vecchia scuola di Jake dove un flusso di sensazioni e ricordi stravolge la dinamiche del racconto.

I’m Thinking Of Ending Things
USA 2020 (134′)

  Uno dei film più interessanti di quest’anno ha potuto uscire solo sulla piattaforma Netflix, penalizzato oltre che dalla pandemia, anche dall’errata traduzione in italiano del titolo, per non parlare della sua deviante collocazione all’interno della categoria “horror”.


S
embra un accanimento quello dei traduttori nei confronti di Kaufman, infatti già il titolo di un suo precedente film Eternal Sunshine of the Spotless Mind era stato sorprendentemente tradotto in Se mi lasci ti cancelloI’m Thinking of Ending Things (Sto pensando di metter fine alle cose) è un verso di una poesia di Wordsworth, che viene ripetutamente citato nel corso del film, non solo per il riferimento alla poesia e alla sua musicalità intrinseca, ma anche per suggerire una modalità di sguardo di tutto il film, che non troviamo nella brutta traduzione Sto pensando di finirla qui.
Il film di Kaufman, di non facile lettura come sempre, fin dalle prime misteriose immagini, indugiando sulle “cose”, sui dettagli della casa di infanzia del protagonista, sugli oggetti presenti nella sua camera, sui corridoi della scuola, sulla gelateria in mezzo al nulla, ci dà indizi visivi utili a capire, attraverso lo sfalsamento dei piani narrativi, che il flusso apparentemente continuo degli eventi non appartiene ad essi, ma al misterioso sguardo che li rivive.
In tutti i suoi film Kaufman sembra aver voluto misurarsi con la sfida di riuscire a “mettere in scena” un pensiero. “I’m thinking of ending things”, la frase che diventerà un leit motiv di tutto il film, viene pronunciata inizialmente dalla ragazza (Jessie Buckley) durante il viaggio in macchina con il suo ragazzo (Jesse Plemons) per andare a fare visita ai genitori di lui. La voce della ragazza diviene, nello sviluppo successivo del film, una specie di voce narrante di un racconto, che apparentemente sviluppa una vicenda banale: due studenti universitari, che stanno insieme da poco, si mettono in viaggio per far visita ai genitori di lui, che vivono in una fattoria isolata.


Dopo il viaggio e la cena con i bizzarri genitori (Toni Colette e David Thwelis), la coppia riparte e durante il tragitto si ferma in una strana gelateria e infine alla scuola frequentata a suo tempo da lui, dove lavora un anziano bidello, luogo che si rivelerà la vera “scatola nera” utile per risolvere l’enigma proposto dal film.

Già dal momento dell’arrivo alla casa dei genitori cominciamo infatti a percepire il senso di smarrimento che sembra provare la protagonista e a quel punto il film diventa una sorta di rompicapo, che, mettendo in scena una serie di paradossi temporali e narrativi (vedi l’urna nella camera di Jack con le ceneri del cane, che nella scena precedente avevamo appena visto vivo e scodinzolante), ci farà intuire a poco a poco che la giovane è solo la “voce” che pronuncia le parole, mentre intorno a lei c’è uno sguardo e una coscienza narrativa differente, perchè la storia che stiamo vedendo, in realtà è l’impasto di pensieri, fantasie e ricordi, che abitano nella mente di qualcun altro. Le “cose” allora, in quanto oggetti che appartengono al nostro passato quotidiano, diventano materiali psichici e sentimentali.


Attraverso l’ambiguità della “voce over”, attraverso un montaggio che stacca e mette insieme dimensioni appartenenti a piani temporali e spaziali differenti e attraverso l’uso straniante e inquietante della macchina da presa, qui Kaufman, forse più che nei suoi lavori precedenti, sembra aver vinto la sfida di far vedere un mondo di pensieri in azione, realizzando un film, che ci fa vivere il cinema, anche attraverso le cose e il senso della loro fine, come esperienza della “visibilità” apparente dei ricordi: I’m Thinking Of Ending Things.

Cristina Menegollli mcmagazine 62

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