La scuola non è secondaria

Alberto Valtellina, Paolo Vitali

Un documentario che racconta l’istituzione scolastica ai tempi della pandemia di Covid-19, soffermandosi soprattutto sulla DAD, la ormai nota Didattica a distanza. La scuola, in particolare quella secondaria superiore, si è adattata all’emergenza ed è per questo che non stupisce vedere un insegnante seduto completamente solo in un’aula con davanti a sé solamente un pc….



Italia 2021 (45′)


Uno dei (pochi) effetti positivi della pandemia che ha colpito il mondo è stato quello di far ripensare sia agli alunni che ai docenti delle scuole di ogni ordine e grado il loro posizionamento rispetto all’ “andare a scuola”. Anche per gli studenti più riottosi ad alzarsi dal letto per recarvisi, dopo un po’ di tempo di distanza da quei banchi dove pensavano solo di essere ‘obbligati’ a sedere, è nata una forma di nostalgia. Questo vale (anche se meno esternato) per alcuni insegnanti provati dal dover sostenere il confronto con scolaresche non sempre predisposte all’ascolto. Tutto si è improvvisamente e per lungo tempo rarefatto traducendo presenze fisiche in rettangoli su uno schermo talvolta totalmente nero oppure con volti e mezze figure il cui auspicato ‘silenzio’ in aula trovava una concretizzazione in un clima rarefatto.Il lavoro di Valtellina e Vitali ci testimonia tutto ciò all’interno di spazi scolastici in cui i solitari professori condividono un sapere cercando un coinvolgimento difficile da ottenere,

Giancarlo Zappoli – mymovies.it


C
è qualcosa di coraggioso nell’insegnante che tenta una battuta per tenere desta l’attenzione della sua classe, quando la sua classe è tutta dietro uno schermo. È come recitare senza poter osservare le reazioni del pubblico, camminare bendati o fingere di nuotare in una vasca da bagno. La scuola non è secondaria punta le telecamere negli spazi desertificati del liceo bergamasco, nei corridoi senza vita, nei laboratori disabitat, di fronte ai docenti che fanno lezioni nelle aule vuote e si confrontano con una classe di ectoplasmi, mezzibusti, iniziali di nomi. Il film dura 45 minuti, come una lezione in Dad.
“Mi sentite? Mi vedete?”, sono le frasi che ricorrono più spesso, nel docu-film e nelle lezioni online. Finora, da genitori, abbiamo pensato alle difficoltà e alle fatiche nostre e dei nostri figli alle prese con la Didattica a distanza, più che al lavoro dei docenti. La scuola non è secondaria racconta proprio il grande lavoro dietro le quinte della scuola online, nel corso della seconda ondata della pandemia. Non i tentativi pionieristici della tragica primavera del 2020, ma il modus operandi più organizzato dell’autunno e dell’inverno, con il personale scolastico “in presenza” e gli studenti “in assenza”. La connessione (più o meno) c’è, le lezioni seguono un calendario preciso, studenti e prof si sono attrezzati, ma la comunicazione resta difficile. L’impressione è che almeno metà del tempo sia dedicato alla ricerca di un contatto: “Ci siete? Capite quello che sto dicendo?”. Domande che in aula non ci sarebbe bisogno di fare, perché basterebbe uno sguardo. La funzione fàtica del linguaggio, quella parte della comunicazione che controlla il funzionamento del canale, come quando al telefono si dice “pronto?”, diventa quella prevalente. A discapito di tutte le altre, cosa che rende una lezione in Dad molto più faticosa di una lezione in presenza. Per questo il docente di matematica che tenta comunque di instaurare un clima scherzoso o la professoressa che lancia una battuta sulla lentezza della Ferrari di quest’anno sono doppiamente stimabili. Emerge un ritratto inedito della comunità scolastica: provata, ma con capacità di adattamento e voglia di reagire, sospesa tra umorismo e malinconia, rassegnazione e speranza (…)

La scuola a distanza è una soluzione di emergenza, che porta con sé tutti gli aspetti negativi di cui abbiamo sempre parlato (come in questa intervista ad Alberto Pellai): iperconnessione, solitudine, digital divide, aumento delle disuguaglianze, impoverimento della didattica. Ma è anche uno strumento che ha consentito di continuare a fare scuola e che potrà avere applicazioni interessanti anche per il futuro. Si trattava solo di rompere le resistenze inziali, come accaduto nel mondo del lavoro con lo smart working.Soprattutto, questa esperienza insegna che la scuola non è per forza un vecchio dinosauro irriformabile, ma che può cambiare, se il cambiamento è considerato necessario e non rimandabile. Per questo, come dicono i genitori, non basta riaprire la scuola, ma bisogna farlo in modo diverso. Per prima cosa riducendo il numero di alunni per classe, cosa che migliorerebbe sia la didattica sia le condizioni sanitarie. Se dal Covid avremo imparato qualcosa, non sarà stato tutto sprecato..

Spiega il regista Alberto Valtellina: “Io e Carlo Vabbiamo posato semplicemente la macchina da presa sul treppiede e cercato l’inquadratura adatta, abbiamo registrato immagini e suono in diversi spazi della scuola, nei corridoi, nei cortili… L’architettura del Liceo si presta a un racconto da Deserto dei Tartari, costruita con uno strano dialogo tra gli edifici storici e gli inserti recenti. In fase di montaggio abbiamo costruito, con Paolo, il film portandolo ad una durata di una lezione Dad: 45 minuti. Il suono del trombone del Maestro Guido Tacchini, nei registri bassi, nei borbottii, risuona tra i corridoi vuoti, nelle aule che gli insegnanti stanno “sanificando” a fine lezione, nei laboratori e auditorium in attesa”.

Non c’è vittimismo nel dire che è stato un momento drammatico per l’istruzione, che valeva la pena filmare anche solo per averne una documentazione che rimanga per il futuro, sperando che la situazione mantenga il suo carattere di eccezionalità. Magari fra venti, trenta o cent’anni si guarderanno le foto di classe con la mascherina o le immagini dei professori soli in un’aula deserta, con i volti dei loro studenti proiettati da uno schermo, come noi oggi guardiamo le foto in bianco e nero dei bambini alle prese con le esercitazioni antigas durante la guerra. Racconti lontani di un’epoca bizzarra e difficile, e dello spirito di adattamento dimostrato. Come nell’epistola di Seneca a Lucilio, citata dalla professoressa di latino in un momento del film: “Alcuni momenti ci vengono portati via, alcuni vengono sottratti, alcuni scorrono via. (…) Afferra tutti i momenti; così accadrà che tu dipenda meno dal domani, se porrai mano all’oggi”.

Marina Marzulli – ecodibergamo.it

 

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