Flee

Jonas Poher Rasmussen

Amin è stato costretto a fuggire da Kabul in tenera età e, dopo un lunghissimo viaggio, ha trovato rifugio a Copenaghen. Ora Amin ha un lavoro importante e sta per sposarsi con l’amore della sua vita, ma custodisce segretamente il suo passato di rifugiato: nessuno sa chi sia veramente, nemmeno il suo fidanzato.

 

Dan/Sve/Nor/Fra/USA/Spa/Ita/GB (89′)Flugt
edizione originale sottotitolata

Amin ha 36 anni, vive in Danimarca, è un affermato docente universitario e sta per sposarsi con il suo compagno. Ma proprio poco prima delle nozze, il passato torna a fargli visita, facendogli ripercorrere gli anni della sua gioventù, quando dall’Afghanistan arrivò in nord Europa dopo un lungo viaggio, con la speranza di chiedere asilo. Flee è il racconto di una fuga che si trasforma in un inno alla vita e alla libertà, un percorso umano intessuto di sfide e gioia contagiosa, una cronaca veritiera e poetica della ricerca della felicità, che apprendiamo dalla viva voce del protagonista. Un film straordinario che è già nella storia del cinema, il primo a essere candidato all’Oscar come miglior film internazionale e al contempo come miglior documentario e miglior lungometraggio d’animazione.

Il regista Jonas Poher Rasmussen ascolta la storia del suo migliore amico: da qui nasce il soggetto di un prodotto toccante e sorprendente, un documentario in cui il protagonista decide per la prima volta di rivelarsi e raccontare, di fronte a una macchina da presa, la storia della sua odissea giovanile. Attraverso l’animazione, la messinscena crea un distacco con la vicenda, come se volesse aiutare Amin nel descrivere i suoi ricordi, rendendo la sua narrazione meno complessa da rivelare: le immagini in live action sono riservate ai materiali di repertorio e alla bellissima inquadratura finale che ci fa capire come, una volta raggiunta la nostra “casa”, non ci sia più bisogno di alcuna forma di allontanamento da quello che vediamo, rappresentiamo e diciamo. È un documentario animato Flee, un film che è una sorta di viaggio psicanalitico nei meandri più oscuri della vita e dei ricordi di Amin, con alcune modalità che possono ricordare l’altrettanto significato Valzer con Bashir di Ari Folman. Oltre all’interesse per la vicenda del protagonista, la forza del racconto sta nel vederlo come un emblema di tante altre persone come lui, costrette a fuggire dal proprio paese per potersi salvare dalla guerra. Rasmussen non si muove soltanto tra animazione, immagini di repertorio e ricostruzione animata del passato di Amin, ma gioca con le forme modificandole a seconda del momento vissuto dal suo grande amico: nei passaggi di fuga e di disperazione, dove il dramma si fa più insistente, le linee che tratteggiano i personaggi si fanno meno definite, come a rappresentare tante figure private della propria identità, delle proprie radici e dei propri affetti. Se la forma è tanto semplice quanto suggestiva, il disegno complessivo è profondo e complesso allo stesso tempo, appassionante e commovente, efficace nel farci riflettere su tematiche che devono toccare tutti quanti da vicino.

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Quando sono uscite le nomination dei premi Oscar 2022, parecchi avranno alzato il sopracciglio nel vedere lo stesso film, ossia Flee di Jonas Poher Rasmussen (qui il trailer), candidato a miglior film d’animazione, miglior film documentario e miglior film internazionale. Non è comunque un volo inedito quello che ha portato l’intento documentario a posarsi nel dominio dell’animazione. Questo è l’ennesimo riconoscimento, stavolta chiaro e diretto al grande pubblico, che la tradizionale linea di demarcazione si è sfumata talmente tanto da non avere più senso in tempi così fluidi. Con queste si dovrà scontrare il suo protagonista Amin Nawabi.
Il tappeto su cui si sdraia, faccia all’aria, ha una trama colorata che richiama i suoi luoghi natii, ossia l’Afghanistan, ma il pavimento su cui è steso è danese. Amin è arrivato da solo a Copenhagen, scappando prima insieme alla sua famiglia dalle armi dei talebani e poi dall’inedia di una Russia contagiata dallo sgretolamento del comunismo sovietico. I confini geografici non sono gli unici che dovrà attraversare, visto che Amin capisce molto presto di essere omosessuale, in un contesto dove “non esiste nemmeno una parola” per dirlo. Steso sul tappeto con gli occhi chiusi, ripercorre la sua storia guidato dalle domande di Rasmussen, suo amico sin dalle scuole superiori, che lo seguono anche dentro all’appartamento in cui vive col compagno Kasper. I disegni animati seguono le riprese delle due macchine da presa con le quali il regista riprende le interviste. Finché i ricordi non li fanno decollare.

Nella sua semplicità, l’animazione in 2D non si limita a puntellare il racconto di Flee e del suo protagonista, ma lo potenzia. Ricostruisce momenti perduti se non per la viva memoria di Amin, come la giovinezza già dilaniata dalla scomparsa del padre a opera del regime comunista nella Kabul del 1984 o il viaggio della speranza verso la Svezia. È questo uno dei momenti più potenti del film e che coincide con l’apice della malleabilità dell’immagine, modellata perfettamente su quel sentirsi sradicati e abbandonati in un deserto oscuro in cui la compassione è più rara dell’acqua. La forza delle visioni nero carbone con le quali viene raccontata la traversata hanno una forza tale da far sembrare quasi scontato lo scontro orchestrato da Rasmussen con i servizi televisivi, per scelta non animate. Non è solo questione di debolezza, però. Le sequenze di repertorio, ben più artificiose delle immagini animate nelle quali sono incastonate, sembrano porre una domanda ben precisa: che cos’è il realismo? Di fronte a una domanda tanto complicata, c’è chi risponde che non esiste uno stile che sia intrinsecamente legato al realismo, che questo sia piuttosto un effetto testuale, quasi una saetta che scatta da una nuvola in presenza delle giuste cariche. È una questione di sguardo più che di tecnica. Flee fa sua questa posizione, rinunciando al mimetismo e, forse proprio per questo, raggiungendo un iperrealismo emotivo in grado di essere all’occorrenza crudo e tenero, ma sempre votato a una commovente sincerità. E quell’ultimo incontro degli opposti nel momento in cui cade il velo non può che apparire come il più sentito degli auspici.

Riccardo Balocco – sentieriselvaggi.it

 

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