Rembrandt: gli aristocratici lo adorano, gli esperti ne parlano, i mercanti d’arte lo inseguono, i collezionisti lo desiderano e i musei fanno la guerra per averlo. A 350 anni dalla scomparsa del pittore, intere nazioni sono ossessionate più che mai dai suoi dipinti. My Rembrandt è un epico thriller d’arte che ci permette di entrare all’interno del mondo super esclusivo dei collezionisti delle opere del Grande Maestro.
My Rembrandt
Paesi Bassi 2019 (95′)
È un mosaico di storie avvincenti che hanno come fil-rouge la passione sfrenata dei protagonisti per i dipinti di Rembrandt, che porta a sviluppi drammatici e colpi di scena inattesi. Se i collezionisti olandesi Eijk e Rose-Marie De Mol van Otterloo, l’americano Thomas Kaplan e lo scozzese Duca di Buccleuch rivelano un attaccamento morboso nei confronti dei “loro” Rembrandt, il banchiere Eric de Rothschild, mettendo in vendita due dipinti del pittore fiammingo, provoca una dura battaglia politica e diplomatica tra il Rijksmuseum e il Louvre. Il film segue anche il frenetico lavoro dell’aristocratico mercante d’arte Jan Six, sulle tracce di due “nuovi” dipinti di Rembrandt: uno snervante viaggio di scoperta che pare la realizzazione del suo più grande sogno d’infanzia.
“Il mio obiettivo era creare un dramma shakespeariano, mostrando i personaggi principali con ogni possibile elemento umano” spiega il regista Hoogendijk. “Devo molto alla fiducia e al candore dei miei protagonisti che – per quanto diversi possano essere i loro mondi – condividono un dettaglio cruciale che li ha tutti in pugno: la febbre di Rembrandt. Non è Rembrandt in persona, ma la loro passione per lui che gioca il ruolo principale. C’è qualcosa di curioso in Rembrandt; è come se il suo lavoro avesse una veridicità, un’emotività e un’empatia così straordinarie che chiunque guardi un suo dipinto vada alla ricerca di se stesso. Questo è ciò che ha reso Rembrandt così speciale anche per i cittadini della Amsterdam del XVII secolo che facevano la fila per farsi ritrarre da lui: Rembrandt ha guardato sotto la superficie e ha mostrato chi fossero veramente le persone che disegnava. Non lusingava i suoi committenti, pur avendo un occhio per la vanità e la raffinatezza dell’ambiente sociale che dipingeva. E ha applicato questo metodo senza pietà anche a se stesso. I suoi autoritratti, specialmente quelli tardi, sono esplorazioni incredibilmente oneste del tributo psicologico che paghiamo nel corso delle nostre vite. Nei suoi ultimi ritratti, Rembrandt pare rassegnato. ‘Accettami come sono’, sembra voler dire. Il suo modo di dipingere ti fa capire che la vita non è perfetta e che ognuno ha i suoi difetti e questo è ciò che ci rende umani. È così che, dal XVII secolo, Rembrandt alza uno specchio per noi contemporanei, uno specchio che stuzzica e solletica. Come ha giustamente ammesso Taco Dibbits: Rembrandt è un omaggio all’umanità”.