La vita è una danza

Cédric Klapisch

Elise è una promettente ballerina di danza classica che vive a Parigi assieme al fidanzato. La sua vita perfetta viene però sconvolta il giorno in cui scopre che il ragazzo la tradisce e rimedia un brutto infortunio in scena. Il cammino per la guarigione fisica ed emotiva la porta fino in Bretagna, dove il calore dei suoi amici e un nuovo amore la mettono davanti alla possibilità di una rinascita. Armata di tenacia e determinazione, Elise non si lascerà sfuggire l’opportunità.

 
En Corps
Francia/Belgio 2022 (117′)

Ci sono diverse ragioni per non perdere il nuovo film di Cédric Klapisch, uno di quei registi-artigiani che si nascondono sempre un po’ dietro ai loro film, come usava una volta, ma avrebbe molto da insegnare a nomi più blasonati. La prima è che racconta molte storie (e molte forme) d’amore in una. La seconda è che non lo fa solo con i mezzi del cinema ma con quelli della danza, classica e poi contemporanea, estraendo da corpi e movimenti emozioni intraducibili senza mai perdere il contatto con lo spettatore (non è un film per iniziati anche se il grande coreografo Hofesh Shechter oltre a interpretare se stesso firma musiche e numeri di danza a dir poco decisivi). La terza ragione è la ricchezza e l’affiatamento di un cast che oltre a fornire contesto e sottotrame rilancia, esalta, perfeziona i sentimenti in gioco con l’umorismo e la grazia ben noti agli spettatori di Ognuno cerca il suo gatto o L’appartamento spagnolo. Anche se centro e motore di tutto è sempre la danza. Dalla lunga sequenza iniziale (un vero pezzo di bravura, 15 minuti quasi muti tutti giocati su “La Bajadère” di Minkus e Petipa), alla scoperta dell’hip hop e poi della danza moderna, la giovanissima Marion Barbeau, vera ballerina dell’Opéra di Parigi, perde l’amore, si gioca una caviglia, ritrova la fiducia in se stessa e forse un nuovo amore sempre grazie alla danza. Così come saranno il rigore apollineo del balletto, ma soprattutto la follia dionisiaca della danza moderna, a far finalmente capire al padre, vedovo e un po’ rigido (che attore Denis Podalydès!), il mondo di sua figlia. Chiudendo un cerchio che a parole sembra quasi banale (caduta e resurrezione) ma sullo schermo brilla di verità. Anche se poi nulla accade per caso. Da sempre appassionato di danza, Klapisch ha dedicato tre anni di riprese a un ritratto di Aurélie Dupont, étoile dell’Opéra. E conosce a memoria i grandi musical hollywoodiani, che usa con l’attenzione e la libertà di chi sa cosa prendere da un’altra epoca per raccontare la propria. Lanciato un po’ in sordina come un film d’essai, in Francia En corps ha portato al cinema quasi un milione e mezzo di spettatori. Forse perché alla fine non racconta solo la sua protagonista ma tutta una generazione, con i suoi sogni, i suoi linguaggi, i suoi conflitti. Padri compresi.

Fabio Ferzetti – espresso.repubblica.it

Da sempre amante del mondo della danza (su cui ha girato Bambole russe nel 2005 e il doc su Aurélie Dupont nel 2010 e successivamente altri filmati legati alla grande danzatrice francese ma non solo) Klapisch “adotta” il corpo, il volto e l’esperienza sul campo della già prima ballerina dell’Opéra di Parigi Marion Barbeau per ricodificare il “dance movie” e confezionare una riflessione metaforica sulla vita che essenzialmente tocca i fondamentali temi della resilienza, della rinascita e dello spirito del lavoro di squadra e in comunità. Facendo infatti esordire una reale ballerina classica e contemporanea – accanto a un cast essenzialmente di danzatori ad eccezione degli attori non chiamati ad esprimersi in tale forma artistica – il regista francese mescola abilmente gli aspetti di realtà a quelli di finzione, laddove una vera ballerina “interpreta” una sua collega mettendo in scena qualcosa di altrimenti impossibile se recitato da chi è estraneo a questo universo. Ma è chiaro che l’elemento della danza, con tutte le difficoltà di riproduzione cinematografica del “movimento corporeo” il più veritiero possibile, offre lo spunto di utilizzare il “corpo spezzato” come metafora di resistenza, resilienza – come si diceva – laddove la ricostruzione passa per una nuova ricerca d’identità, e dunque l’esigenza di modificarsi per rimanere se stessi. E per trovare tale identità viene anche invocato il senso di comunità, la forza emanata dal coraggio e dall’affetto collettivo, appassionato e appassionante, secondo cui ciascuno ha bisogno del prossimo per (ri)costruirsi. I legami, famigliari, amorosi, d’amicizia, sono anche un centro fondamentale di questo “romanzo di formazione danzante”, che ben scritto, girato e splendidamente interpretato, scorre nelle sue due ore senza incappare nella noia o nella ridondanza. Da aggiungere infine, che En Corps offre a Klapisch la possibilità di integrare e unire la doppia personale passione per la danza classica e la danza contemporanea, entrambe portatrici di un linguaggio corporeo ed artistico, entrambe capaci di donare bellezza e salvare le anime di chi le pratica o le gusta da spettatore. Come il pubblico di questo film.

Anna Maria Pasetti – saledellacomunita.it

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