Nido di vipere

Kim Yong-Hoon

Un umile inserviente, costretto a prendersi cura della madre malata, trova una grande borsa piena di soldi in un armadietto della sauna dove lavora. Ignora però che dietro alla borsa si nasconde un intreccio di storie di spietati malviventi. Tra omicidi, tradimenti, colpi di fortuna e sfortuna i loro destini beffardi s’incrociano, cacciandoli in guai sempre più profondi, in un disperato gioco senza esclusione di colpi.

  Jipuragirado Jabgo Sipeun Jibseungdeul / Beasts Clawing At Straws
Corea del sud 2020 (109′)

Mescolando lo sguardo beffardo dei fratelli Coen con il gusto pulp sdoganato da Tarantino (e non solo), il regista coreano adatta un romanzo giapponese che prende spunto dal ritrovamento di una borsa piena di soldi nell’armadietto di una sauna. L’inserviente che l’ha trovata vorrebbe risolvere i problemi finanziari della sua poverissima famiglia ma su quel denaro hanno messo gli occhi anche molti altri: un doganiere indebitato fino al collo con un gangster, la proprietaria di un night, l’entraîneuse che in quel locale lavora e vorrebbe uccidere il marito violento con l’aiuto di un cliente, il gangster che presta soldi a strozzo… A volte i colpi di scena rischiano di complicare troppo la trama, ma la descrizione della città portuale dove si svolgono i fatti, con i suoi miseri appartamenti e i suoi locali squallidi e promiscui colpisce nel segno.
E la morale che ne esce è quella, cinica e adatta ai tempi, che finisce per abdicare a qualsiasi valore e inseguire solo l’opportunità del facile guadagno. Ammesso che poi qualcosa resti in mano.

Paolo Mereghetti – iodonna.it

Tra i protagonisti di Nido di vipere c’è la proprietaria di un night club con il sogno di ricominciare da capo; l’ufficiale dell’immigrazione che deve ripagare il debito lasciato dalla fidanzata scomparsa nel nulla e lo spietato strozzino pronto a tutto per riavere i suoi soldi; la escort vittima di clienti molesti e di un marito violento che agogna di rifarsi una vita; l’inserviente di una sauna che fatica a sbarcare il lunario e trova per caso in un armadietto una borsa piena di denaro. La stessa che desiderano tutti i protagonisti del nuovo film cult del cinema coreano, quella per la quale saranno disposti a scannarsi come cuccioli di squalo toro, che, come racconta la maîtresse Yeon-hee (che ne ha uno tatuato sulla coscia), «iniziano a mangiarsi a vicenda nella pancia della madre, affinché solo uno nasca e diventi un feroce predatore». Tra thriller e commedia noir, pulp al limite dello splatter, l’opera prima di Kim Yong-hoon è un po’ Quentin Tarantino e un po’ fratelli Coen, ma s’inserisce anche in quel filone del grande cinema coreano che sta portando sullo schermo le storie degli ultimi, «spinti verso il baratro dove devono aggrapparsi a qualsiasi cosa pur di non precipitare» per dirla con le parole del regista che attraverso una storia «normale», venata anche di una certa ironia nera, ha cercato di mostrare «la disperazione della realtà contemporanea», con cui è facile identificarsi o almeno simpatizzare. Ponendo allo spettatore una domanda a cui non può sottrarsi: cosa faresti al loro posto? La psicologia dei personaggi viene raccontata anche attraverso gli spazi in cui si muovono e che sembrano sgretolarsi intorno a loro: «La loro decisione di trasformarsi in bestie doveva sembrare una progressione naturale». Il Nido di vipere del titolo è la città portuale di Pyeongtaek, in Corea del Sud, in cui, tra le luci dei quartieri dei divertimenti notturni e quelle al neon di squallidi posti di lavoro, si agitano i peggiori istinti; e dalla quale, impadronitisi della borsa piena di denaro, tutti vorrebbero fuggire.

Valentina Ravizza – style.corriere.it

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