Irlanda, 1923. Due amici di vecchia data, Padraic e Colm, si ritrovano in una impasse quando Colm decide bruscamente di porre fine alla loro amicizia. Padraic, sbalordito, non accetta questa decisione e tenta di ricucire la relazione: i suoi sforzi, tuttavia, non fanno che rafforzare la determinazione dell’ex amico e quando Colm lancia un ultimatum scioccante per concretizzare le proprie intenzioni, gli eventi iniziano a degenerare.
The Banshees of Inisherin
Irlanda/USA/UK 2022 (114)
VENEZIA 79°: Coppa Volpi a Colin Farrell e miglior sceneggiatura
Cinque anni dopo Tre manifesti a Ebbing, Missouri, Martin McDonagh torna dietro macchina da presa per un film ancora più cupo del precedente. Lo sceneggiatore e regista inglese gioca molto con l’ironia e spesso sfiora la commedia nera, ma Gli spiriti dell’isola è soprattutto un film funereo e crepuscolare, in linea con il senso della mitologica figura protagonista del titolo originale, The Banshees of Inisherin: le banshee sono creature leggendarie della tradizione irlandese e scozzese, che non si mostrano agli esseri umani con l’eccezione di coloro che sono prossimi alla morte. Oltre a essere il titolo di una musica composta da Colm e un possibile riferimento a una figura stregonesca che si aggira per le lande desolate dell’isola, è come se tutto il film fosse osservato proprio da una banshee pronta ad annunciare la prossima tragedia. Dopo un folgorante inizio, in cui una routine quotidiana viene improvvisamente interrotta senza ragione, Gli spiriti dell’isola snocciola una serie di riflessioni sull’amicizia e i legami umani assolutamente non da poco. Potente in questo senso anche la metafora di una guerra distante e vicina allo stesso tempo, sulla spesso citata “terraferma”, come se l’Isola appartenesse a un altro mondo che non può essere sfiorato dalla normale società civile: per questo una partenza è vista subito come un addio, mentre arriva la consapevolezza che la guerra è quella che combatte ognuno dentro di sé, una disperazione oscura che spezza ogni speranza e provoca una continua distruzione, fisica e psicologica. E non basta “essere gentili” per poter scappare a questa mortifera presenza. Attraverso una sceneggiatura semplice ma sempre ficcante, McDonagh firma così un complesso e sfaccettato ritratto di personaggi alla deriva, tutti perfettamente interpretati con una menzione speciale per la figura di Colm e la performance di un grande cast, intenso e toccante come tutta questa pellicola, presentata in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2022 dove ha ottenuto due premi importanti: Coppa Volpi a Colin Farrell e miglior sceneggiatura. Tre i riconoscimenti ai Golden Globes; miglior film commedia o musicale, miglior sceneggiatura e miglior attore a Colin Farrell.
longtake.it
Più ià al suo debutto nel lungometraggio il commediografo, sceneggiatore e regista londinese Martin McDonagh aveva collaborato con Colin Farrell e il suo film di debutto In Bruges – La coscienza dell’assassino (2008), aveva riscosso un notevole successo di critica. Qui il regista aveva costruito una commedia nera a due nella quale i sicari Colin Farrell e Brendan Gleeson venivano spediti all’estero nella cittadina belga di Bruges a seguito di un incarico andato male. Così come era un’altra black comedy all’estero con protagonista Frances McDormand il molto celebrato, giustamente celebre Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, 2017) suo terzo film. Anche alla quarta prova, molto pregevole, Martin McDonagh resta sostanzialmente fedele in Gli Spiriti dell’Isola ad uno stile ricco di humour nero, andando questa volta ad esplorare le sue origini irlandesi. Perché la suggestiva location dove ha ambientato il nuovo lavoro, è una remota isola al largo della costa occidentale dell’Irlanda, praticamente fuori o almeno ai margini del mondo civile, dove seguiamo le vicende di due amici di vecchia data, Padraic e Colm rispettivamente interpretati da Colin Farrell e Brendan Gleeson, lo stesso duo, quindi, di In Bruges – La coscienza dell’assassino. Siamo nel 1923 quando è già cominciata la guerra civile fratricida in Irlanda di cui sull’isola, dove tutti si conoscono, si colgono però solo degli echi, delle notizie incerte e dei rumori lontani. Tuttavia, un’altra guerra meno cruenta certo ma altrettanto devastante, scoppia quando, proprio all’inizio del film, il ruvido Colm, bravo musicista dilettante una piccola autorità in loco, decide bruscamente e in maniera apparentemente non motivata, di porre fine all’amicizia con il suo “buddy” a cui rimprovera di essere noioso, ripetitivo, quindi inutile (la gentilezza non conta – si dice ad un certo punto del film – quello che resta sarà solo l’arte, la musica).
Padraic, incredulo e sbalordito, non accetta il rifiuto dell’ormai ex-amico tentando in tutti i modi, anche goffi, di ricucire la loro relazione, aiutato dalla sorella Siobhan (Kerry Condon), l’unica persona colta e ragionevole in una gabbia di matti, e da Dominic (Barry Keoghan), il giovane figlio gentile ma infelice del manesco poliziotto dell’isoletta. I ripetuti sforzi di Padraic – quando non patetici sembrano a tratti quasi ridicoli o comici – non fanno, però, che rafforzare la determinazione dell’ex amico a interrompere ogni rapporto e, quando Colm lancia un disperato ultimatum apparentemente non credibile, gli eventi precipitano in fretta con conseguenze a dir poco scioccanti. Alle diatribe ridicole dei maschi si oppone solo la ragionevolezza femminile di Siobhan che decide di lasciare quel piccolo inferno per andare a lavorare sulla terraferma come bibliotecaria. Il tutto, secondo il regista e autore, una metafora dell’insensatezza della guerra (e il riferimento a quella in corso appare abbastanza evidente). Nel riprendere alcuni degli stilemi e delle caratteristiche della sua opera, Martin McDonagh compie, in questo ultimo assai riuscito lavoro, un’opera di scandaglio psicologico e antropologico sul carattere altamente rissoso del popolo irlandese senza cadere nei cliché o forzature banali. Tra tramonti suggestivi e una natura selvaggia popolata da pochi animali domestici (tra cui una simpatica asinella che ci rimetterà le penne o meglio il manto, pagando con la morte le conseguenze del dissidio forsennato dei due amici), tra dialoghi formidabili e una recitazione impeccabile, Gli Spiriti dell’Isola ci racconta l’incombere quasi metafisico e dal nulla dei venti di guerra e di discordia. È un film leggiadro e paradossale ma anche profondo, sicuramente inconsueto, a volte divertente, avvitato in sua logica irragionevole che porta a delle conseguenze incontrollabili – come mutandis mutanti sempre essere la nostra situazione di oggi.
Giovanni Spagnoletti – close-up.info