Il respiro della foresta

Huaqing Jin

20.000 monache buddiste vivono in un monastero isolato dal resto del mondo, sito tra gli altipiani innevati del Tibet nel bel mezzo di una natura selvaggia. Queste donne vivono lontano dai loro familiari e fanno affidamento solo al loro guru, nonché le une sulle altre. Nel monastero attraverso i principi della loro religione fanno ricerca sui grandi quesiti dell’esistenza nel tentativo di raggiungere uno stato divino. Il film segue le monache nei cento giorni più freddi dell’anno, durante i quali queste donne imparano a conoscere questioni fondamentali di vita e morte, sofferenza e guarigione, karma e conseguenze.

Dark Red Forest
Cina 2021 (85′)
TRENTO FILM FESTIVAL: Genziana d’oro miglior film di alpinismo – Premio del CAI
Lux Padova Logo

  Un’opera che unisce splendore visuale e spiritualità, Dark Red Forest è un’esplorazione della vita, quotidiana eppure misteriosa, di donne devote alla loro fede. Il film di Jin Huaqing è un’opera illuminante di fede e indagine filosofica, ambientata in un paesaggio proibitivo e meraviglioso.

wantedcinema.eu

  Arriva al cinema Il respiro della foresta, di Jin Huaqing, Ambientato in un monastero in Tibet Il respiro della foresta è nn maestoso documentario, con immagini di grande impatto visivo, che racconta l’annuale ritiro di migliaia di monache. Anziane e giovani, nei giorni più freddi dell’anno si auto-confinano in piccole abitazioni in legno su un altopiano battuto dal vento. È un film che ci avvicina al tema della fede in modo profondamente spirituale e al tempo stesso ci fa scoprire uno dei luoghi più affascinanti e remoti nel mondo. Ventimila monache buddiste vivono nel monastero Yarchen Garm su un altopiano a 4mila metri, nella provincia cinese dello Sichuan, in Tibet. Sono donne di ogni età: dalle giovanissime, a volte poco più che bambine, alle più anziane, che sentono venire meno la vita. Circondate da una natura aspra e isolate dal mondo, lontane dalle loro famiglie, affrontano i 100 giorni più freddi dell’anno nelle loro minuscole capanne di legno. Il loro apprendistato, che si svolge in un clima rigidissimo, con regole ferree, ci offre un assaggio della loro ricerca spirituale e della loro devozione. Le loro giornate si svolgono nella meditazione, nello studio del sutra, del canto e della musica sacra. Il film è così una riflessione su questioni di vita e di morte, di sofferenza e guarigione, di karma e missione interiore. Presenza quasi costante nel documentario è la voce del guru. La guida del monastero impartisce consigli e rimproveri. Non è severo, ma amorevole nei confronti delle monache: le loda se rispettano le regole, consiglia la retta via quando tendono a smarrirsi per un errato comportamento o un fraintendimento delle scritture. Nel racconto, salta agli occhi anche una componente magica: c’è la magia della natura, l’incanto dell’universo in cui tutto è armonico Ci sono la magia della meditazione, del canto, della preghiera e degli esami che le giovani monache devono sostenere. Il respiro della foresta è un documentario e anche una sorta di ricerca antropologica su un mondo infinitamente lontano dalle nostre città. Ma è soprattutto un film poetico. La maestosità dell’altopiano sotto la neve, i volti delle monache, i suoni della preghiera sono tutte immagini suggestive e potenti, con la natura che comanda e le figure stilizzate delle donne su un panorama che toglie il fiato. A emergere, è anche il valore del rispetto della Terra e di tutti gli esseri viventi. La filosofia dei monaci è molto chiara: l’uomo è solo uno dei tanti abitanti del pianeta e il rispetto verso gli altri esseri è sacro.

Chiara Belloni – iodonna.it

  Formidabile distillato di anni di pazientissima osservazione, il film sembra quasi un esercizio contemplativo scaturito dall’impegno e dalla dedizione degli oggetti verso i quali rivolge lo sguardo. Non sarebbe corretto definirle protagoniste, perché nessuna delle monache spicca su o si distingue rispetto a un’altra e perché per espressa volontà del regista (che firma anche direzione della fotografia e montaggio) di nessuna di loro conosciamo il nome o anche solo una parte di passato, ma solo l’aspirazione a migliorarsi cercando di restare nel monastero. Il loro è un coro, un collettivo, un corpus spirituale, un’unità compatta che obbedisce non alle leggi della macchina da presa (il più possibile nascosta, oltre che oggetto a loro sconosciuto) ma alle regole dell’eremo: studio, isolamento, pratica, silenzio, preghiera, esercizio della pazienza e del non attaccamento. Non esiste sceneggiatura, né drammaturgia, o dialoghi con cui tentare anche minimamente di familiarizzare o immedesimarsi. E nemmeno commento, tanto meno musicale, didascalie, voce over. Solo una successione di quadri, scenari, a volte intimi – visite mediche, dialoghi con il maestro – e a volte rituali – sessioni di canto e preghiera tra cembali e tamburi, oppure lo spostamento, nei cento giorni più freddi dell’anno, verso un ritiro all’esterno, in piccole casette di legno diligentemente montate e smontate per l’uso. Piccoli avamposti di indipendenza in un ambiente inospitale, duro, che costantemente ricorda a loro e a chi guarda la caducità terrena, l’inessenzialità del corpo, l’irrilevanza dell’umano, le monache testimoniano un principio di resistenza, un sistema di valori, pongono domande esistenziali. L’impatto e la persistenza di immagini dai margini del mondo, da un Tibet oppresso, sono ipnotici, chi guarda si abbandona loro come sotto effetto rasserenante di mantra cantati ad libitum. La macchina, presenza non invadente, quasi invisibile, registra la poesia primitiva, ultraessenziale di un paesaggio indistinto di volti ma anche il crudo realismo della sepoltura celeste (o sky burial): l’offerta dei cadaveri agli avvoltoi, perché li trasportino in una dimensione ulteriore, continuando il ciclo di vita altrove. Immagini, queste, che rendono Il respiro della foresta una di quelle visioni impossibili da dimenticare.

Raffaella Giancristofaro – mymovies.it

  Circondate da una natura aspra e isolate dal mondo esterno, durante i 100 giorni più freddi dell’anno, lontane dalle loro famiglie, queste donne ci offrono un assaggio della loro ricerca spirituale e della loro devozione religiosa che le porta ad affrontare i grandi quesiti sull’esistenza umana. In tutto e per tutto un lavoro di inchiesta spirituale, Il respiro della foresta è un maestoso documentario – con immagini di enorme impatto visivo – che tratteggia i particolari dell’annuale ritiro di migliaia di monache Tibetane, auto-confinate in piccole abitazioni in legno, che punteggiano il vasto altopiano del Tibet. Con una delicatezza straordinaria, la macchina da presa si apposta nel Monastero Yarchen (…) Il canto del Kirtan è una delle principali pratiche dell’antica tradizione dello yoga. Alcuni strumenti indiani tradizionali, come l’harmonium e il tamburo mridanga e dei piccoli cembali karatal accompagnano il brano, i semplici mantra in sanscrito si ripetono, mentre il leader del canto guida la platea in un susseguirsi di canto e ascolto meditativo, e aumentano l’energia e il ritmo. Le voci si fondono al ritmo delle percussioni e della melodia dell’armonium e dopo un po’ non si prova più timidezza. Molte persone trovano difficile sedersi e meditare, ma con il kirtan, la lotta per ‘spegnere’ o ‘svuotare’ la mente svanisce mentre ci si concentra unicamente sul canto, il suono, la musica e il mantra. Un semplice effetto positivo di questa pratica è appunto, uno stato di rilassamento della mente, così come una sensazione naturale di gioia e di pace interiore edificante.

Viviana Vitariello – dietrolanotizia.eu

>> pressbook <<

Lascia un commento