Laggiù qualcuno mi ama

Mario Martone

Italia 2024 (128′)

 BERLINO – Dopo aver reso omaggio l’anno scorso a Scarpetta e Eduardo, con la straordinaria ricostruzione storica di Stasera rido io, Mario Martone porta fuori concorso un altro mostro sacro della scena e della mitologia napoletana, Massimo Troisi. Proiettato in una sala gremita di italiani che letteralmente faceva il tifo per il protagonista, a volte anticipandone le battute, Laggiù qualcuno mi ama è si un documentario, ma di un tipo molto speciale. Non la solita biografia, ma un atto d’amore in piena regola e soprattutto un film-saggio su un autore forse poco compreso.

 Non la solita biografia, ma un atto d’amore in piena regola e soprattutto un film-saggio su un autore forse poco compreso. Mario e Massimo, quasi la stessa età, stesse frequentazioni (Pino Daniele), stessa provenienza da quella Napoli anni 70 che cercava nuove forme di esprimersi. al di là della ‘napoletanita’ più corriva. Il film comincia in maniera convenzionale (a parte il fatto che il regista non esita a mostrarsi sullo schermo e a farsi voce narrante), con spezzoni delle apparizioni teatrali e televisive, soprattutto quelle del gruppo La Smorfia, a cui Troisi dovette una prima notorietà a livello nazionale (anche se, dispiace dirlo, certe scene risultano oggi irrimediabilmente datate). Qualche timido accenno soltanto alla sua tragica vicenda di cardiopatico dalla nascita. Ma nel prosieguo prende corpo la tesi che Martone vuole dimostrare (e sulla quale si può essere o meno d’accordo): Troisi sarebbe stato, oltre che un finissimo comico, un autore e regista di tutto rispetto. A suffragarla si prestano le interviste al critico Goffredo Fofi, a Ficarra e Picone, a Paolo Sorrentino, allo scrittore Francesco Piccolo e soprattutto ad Anna Pavignano , intellettuale torinese, femminista, che gli fu la compagna di vita per un decennio e cosceneggiatrice dei suoi film fino alla fine. E certamente non estranea al suo atteggiamento anti paternalistico di fragilità e rispetto nei confronti del gentil sesso; nonché custode quindi di tutti i materiali di regia. 

Ma Martone si spinge ancora più in là, arrivando ad ipotizzare un Troisi alla pari dei più grandi dell’epoca, nella fattispecie di Truffaut. Ci sono montaggi incrociati dei film dei due, allo scopo di rilevarne le somiglianze (le corse a perdifiato, le mani in campo, i dialoghi inconclusi); si arriva addirittura a proporre una affinità del nostro con il personaggio simbolo di Truffaut, Antoine Doinel, anche lui come Massimo sempre timido, sempre fuori posto, impacciato con le donne . A questo proposito viene citata la scena finale di Credevo fosse amore…invece era un calesse,  con la battuta “Gli uomini e le donne non sono fatti per stare assieme (sposarsi),sono troppo diversi!”.  Toccante il finale, laddove Troisi vuole assolutamente portare a termine le riprese di Il postino (senz’altro a nostro avviso il suo miglior film, anche se non di sua firma), tanto da girare l’ultima scena proprio il giorno prima di morire, il 4 giugno 1994. Noi preferiamo ricordarlo, al di là di ogni interpretazione, come uno splendido, sfortunato essere umano.

Giovanni Martini – MCmagazine 80

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