In un Giappone distopico con troppi anziani, il governo offre la possibilità di accedere alla morte assistita agli over 75 soli e in difficoltà economiche. Vivere o morire non è un dilemma etico: è una questione di burocrazia. Un film fatto di fremiti e silenzi, di attese e dilemmi, ma anche di improvvisi guizzi di gioia.
Giappone/Francia/Filippine 2022 (113′)
Arriva Opera prima di Chie Hayakawa illuminata dall’interpretazione dell’ottantenne Chieko Baisho, il film immagina che per risolvere il problema dell’invecchiamento della popolazione e dell’eccessivo numero di anziani (con le negative ricadute sull’economia nazionale, ci tiene a sottolineare la voce di uno speaker) il governo giapponese decida di offrire – con il nome di Plan 75 – il diritto alla morte assistita per gli over 75. Ma quello che potrebbe sembrare a prima vista l’ennesimo quadro di fantascienza distopica, diventa il ritratto di una società che dietro l’educazione e le buone maniere ha cancellato ogni tipo di accoglienza e di aiuto per chi è stato emarginato per colpa dell’età (sono loro i destinatari dell’offerta: soli, senza parenti né lavoro). Più vediamo la gentilezza dei giovani incaricati di assistere chi ha scelto di aderire al Piano, più ci rendiamo conto dell’inumanità e del cinismo che dominano in un mondo dove la produttività ha preso il posto della riconoscenza. E la silenziosa rassegnazione con cui gli anziani accettano le condizioni di questo Plan 75, grati per il calore di una telefonata o il piacere di un bicchiere di sakè, ma anche convinti dell’inevitabilità del loro destino, resta nel cuore più di mille discorsi.
Paolo Mereghetti – iodonna.it
Mishi è sdraiata sul lettino della clinica dove sta per sottoporsi al suicidio assistito. Non è malata, è solo vecchia. Ha 78 anni. È lucida, sana, autonoma, ma vecchia. E in Giappone – ci dice la regista Chie Hayakawa in Plan 75 – i vecchi sono considerati un problema. Sono tanti, rischiano di soffocare l’economia (alcune stime prevedono che nel 2060 oltre il 40% della popolazione nipponica avrà più di 65 anni) e di imporre un fardello pesante sulle spalle dei più giovani. Per questo il governo ha escogitato una soluzione senza precedenti per risolvere alla radice il problema dell’invecchiamento demografico del paese: il Plan 75 garantisce il diritto alla morte assistita ai cittadini con più di 75 anni (anche se c’è già chi propone di anticipare tale diritto agli over 65…). Nessun obbligo, per carità. La morte assistita deve essere una libera scelta: una sorta di autosacrificio – nel paese abituato da secoli all’harakiri dei samurai. Chi sceglie di “autosacrificarsi” ha vari “pacchetti” a disposizione: il pacchetto con fotoritratto e spa, quello con cremazione collettiva, quello di gruppo con servizi funebri compresi, e così via. Ci sono perfino giovani promoter gentili e cortesi che propongono ai vecchi il pacchetto più conveniente per uscire di scena.
Una distopia? Si e no. Le procedure di “smaltimento degli scarti umani improduttivi” immaginate e messe in atto nel film non sono poi così lontane da alcune ipotesi che in alcuni ambienti e in alcuni paesi cominciano a circolare nella realtà. Mishi si è lasciata convincere. Stanca di essere considerata inutile, o trattata come un peso o un impiccio, ha accettato di togliersi di mezzo. Di interrompere la sua vita abitudinaria scandita da una stanca ripetizione quotidiana dei medesimi gesti. Alcuni filmati promozionali l’hanno indotta a prendere la decisione. In uno di questi una sua coetanea/testimonial di Plan 75 dice suadente: “Gli esseri umani non possono scegliere se nascere o no, ma sarebbe bello se potessero scegliere almeno quando morire. Poter decidere come mettere fine alla mia vita mi ha dato grande serenità”. Anche Mishi ha pensato di poter trovare questa serenità accettando le proposte di Plan 75. Ma quando si trova lì, sul letto di morte, già con la mascherina letale sulla bocca e sul naso, quando vede il vecchio che sta morendo nel lettino accanto al suo, Mishi si gira e guarda in macchina, ci guarda. La macchina da presa di Chie Hayakawa resta a lungo su quell’inquadratura. Su quello sguardo. Uno sguardo che esprime come raramente si è visto al cinema l’orrore incontenibile di un essere umano di fronte all’idea della morte imminente e alla percezione della propria finitezza. Plan 75 è un mesto, dolente e malinconico viaggio di appressamento alla morte. Accanto a Mishi ci sono almeno altri tre personaggi rilevanti: Yoko (che lavora al call center di Plan 75 e non può incontrare i clienti per nessuna ragione), Himoru (che vende i pacchetti agli anziani) e Maria (che smaltisce gli oggetti dei defunti e dei morituri). Tutti e tre sono invasi dal rimorso per quello che fanno e osservano attoniti quello che accade attorno a loro, in un paese che sembra decrepito e cadente quanto gli anziani che induce ad autosopprimersi. Non ci sono giudizi moralistici, nel film. Niente denunce, niente condanne. Nessun didascalismo ideologico, nessun preconcetto etico. Chie Hayakawa osserva i suoi personaggi con sguardo asciutto e sobrio, si affeziona loro, li segue, li capisce. E quando Mishi, nel prefinale, si gira e ci guarda, trasmette a tutti – solo con quello sguardo – la tragedia insita nel rapporto che tutti intratteniamo con la morte e con la consapevolezza del dover morire.
È un film fatto di fremiti e silenzi, di attese e dilemmi, Plan 75. È fatto di cieli grigi e di alberi spogli, di interni disadorni e di nebbie lattiginose. E di buio fisico e mentale. Ma anche di improvvisi guizzi di gioia, come nella scena bellissima della partita e bowling, che illude per un attimo l’anziana Mishi di essere ancora la ragazza vitale che era stata in gioventù. Il finale è volutamente sospeso. Mentre il sole tramonta dietro le montagne siamo noi a dover immaginare un epilogo per i vari personaggi, che desiderano tutti – ciascuno a suo modo – di poter sparire senza dover morire.
Gianni Canova – welovecinema.it