Il teorema di Margherita

Anna Novion

Il futuro di Margherita, studentessa di Matematica presso la Scuola Normale Superiore, sembra essere già pianificato. È l’unica donna del suo corso, sta per terminare la tesi che dovrà esporre davanti ad una schiera di ricercatori. Arrivato il grande giorno, un errore fa crollare tutte le sue certezze. Margherita decide quindi di mollare tutto e ricominciare da capo.

Le Théorème de Marguerite
Francia/Svizzera 2023 (112′)

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   Con alle spalle un paio di lungometraggi e alcune regie televisive, Anna Novion dirige in modo efficace se non particolarmente originale una storia tutta incentrata sulla magia della matematica, tema difficile da tradurre al cinema e proprio per questo intrigante. È un mondo fatto di sogni di gloria senza tempo, a caccia di prove che da secoli ci sfuggono, e di lavagne enormi che sovrastano gli umani e faticano a contenere un fiume di formule. Lavagne che, scorrendo l’una sull’altra, recidono come una ghigliottina le certezze di Marguerite nel primo atto, lasciandola senza parole e senza il coraggio di voltarsi verso una platea di colleghi esterrefatti. Lavagne che tornano poi più avanti, stavolta prive di binari, fluide e pitturabili su ogni superficie di un appartamento fino a inglobarlo di possibilità e speranze. Sarà una delle sequenze più ispirate… Le Théorème de Marguerite è il ritratto riuscito di una ragazza che si accorge di aver consacrato alle aule universitarie una parte forse troppo grande del suo essere. È buffo che a interpretarla, in tutta la sua guardinga timidezza, ci sia una performer vivace come Ella Rumpf, già vista in Raw di Julia Ducournau (Titane) e in Tokyo vice. Nascosta “alla Clark Kent” una gran parte di umanità dietro agli occhialini, Rumpf procede poi a ritrovarla passo dopo passo, attraverso incontri e re-incontri (il “rivale” Lucas, una nuova coinquilina che non ha paura della sensualità, una madre preoccupata) che la portano alla periferia di Parigi, tra ristoranti cinesi e partite clandestine di Mahjong. Se la matematica si fonda sulla capacità di immaginare strade nuove verso un obiettivo lontano, il film di Novion offre invece il piacere complementare di un già visto che coccola lo spettatore e si declina al gusto gentile di un’ossessione filosofica, ricordandoci che abbandonarla per un po’ aiuta sempre a rimetterla a fuoco.

Tommaso Tocci – mymovies.it

La matematica non si deve mescolare coi sentimenti: è questo quello che Laurent Warner (Jean-Pierre Darroussin), professore della parigina École normale supérieure — per tutti ENS — ripete continuamente alla sua dottoranda Marguerite Hoffman (Ella Rumpf). Bisogna saper controllare le proprie emozioni quando si ha a che fare con i numeri, ma per Marguerite la disciplina che Warner vorrebbe imporle va in frantumi quando presenta a un gruppo di matematici i risultati della sua ricerca sulla congettura di Goldbach: un altro dottorando appena arrivato da Oxford, Lucas Savelli (Julien Frison), che a sorpresa Warner ha accettato di seguire, si accorge di un errore e lo dice davanti a tutti. E a Marguerite il mondo crolla addosso: umiliata e disperata abbandona l’aula ma anche il progetto di dottorato. Vuole chiudere definitivamente con la matematica. Sono passati una ventina di minuti dall’inizio del film e la regista franco-svedese Anna Novion, 44 anni, ha messo in campo le pedine del suo lavoro, che la porta subito agli antipodi dal binomio genio e follia che spesso ha fatto capolino nei film sulla matematica e i matematici. Unica donna in un mondo di soli uomini, Marguerite dovrà imparare a fare i conti con la propria femminilità che giocherà un ruolo non secondario nella sua evoluzione, fin da quando deve trovare un posto dove andare (ha chiuso definitivamente con l’ENS e la sua borsa di studio. Se il taglio dev’essere netto, che netto sia) e incontra Noa (Sonia Bonny), ballerina disoccupata il cui corpo non passa inosservato nemmeno agli occhi di Marguerite, che aveva eliminato i sentimenti con annessi e connessi non solo dalla matematica ma anche dalla sua vita.

È questo il primo dei grandi cambiamenti che Marguerite deve fare: riscoprire di avere un corpo, una fisicità che ha le sue richieste e le sue esigenze (e che la giovane «soddisferà» nel modo più diretto e più sorprendente possibile). Il secondo è l’arte della convivenza, adattandosi alle esigenze della sua coinquilina, che non è proprio la più tranquilla e tradizionale che ci sia. E la terza scoperta è che la matematica e la sua logica stringente può avere anche delle applicazioni pratiche, a volte controproducenti (quando si fa licenziare da una società di sondaggi perché dimostra l’illogicità delle domande che dovrebbe porre ai clienti) a volte sorprendenti, quando usa la sua mente razionale per giocare — e vincere — nei tavoli di mahjong che pullulano nel quartiere dove abita (il XIII arrondissement). Fino a quando la matematica, che Marguerite ha coltivato sin da bambina aiutando la mamma insegnante a correggere i compiti di algebra delle sue allieve, non torna a far sentire le sue esigenze: il gioco cinese, con le sue regole e le sue logiche, riaccende la mente dell’ex dottoranda, che riprende a ragionare su Goldabch e la congettura che aveva formulato nel 1742, secondo la quale ogni numero superiore a 2 può essere espresso come somma di due numeri primi. Un’intuizione che il film dice aspetti ancora una dimostrazione e che Marguerite inizia a ipotizzare dipingendo di nero le pareti della sua camera per usarle come una lavagna. Con la consulenza della matematica Ariane Mézard le equazioni (assolutamente reali, a sentire la regista) iniziano a coprire i muri e Marguerite ritrova il piacere della ricerca, coinvolgendo questa volta il giovane Lucas in un percorso di riappropriazione della propria identità, come donna e come matematica. Da cui verrà escluso il vecchio professore, come alla ricerca di una nuova identità che i due dottorandi vogliono guadagnarsi sul campo (anzi, sulle pareti-lavagna, che invadono anche la stanza di Noa) e non all’interno di un percorso tradizionalmente accademico. E che la giovane attrice Ella Rumpf, scientemente imbruttita dalla pettinatura e da un paio di occhiali da intellettuale vecchio stile, sa vivificare come fosse il brutto anatroccolo che ritrova la sua bellezza, questa volta attraverso le proprie intuizioni matematiche. Insieme a un meritatissimo César 2024 come migliore rivelazione femminile dell’anno.

Paolo Mereghetti – corriere.it

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