L’avamposto

Edoardo Morabito

Christopher Clark è un eco‐guerriero, uno scozzese fuori dall’ordinario che nel cuore della foresta amazzonica ha creato il suo personalissimo Avamposto del progresso: un modello di società utopica basato sull’equilibrio perfetto tra natura e tecnologia, gestito e preservato dagli abitanti della foresta. Quando si profila la minaccia di un devastante incendio Chris decide di “opporsi” organizzando un evento altrettanto spettacolare: un concerto dei Pink Floyd dentro l’inferno verde… Un’appassionante riflessione sull’eterno conflitto fra natura e cultura e sulle infinite contraddizioni dell’atto cinematografico.

Italia/Brasile 2023 (75′)

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Note di regia
Mentre il mondo brucia e noi assistiamo al cambiamento climatico come fosse la diretta streaming del grande spettacolo che è l’apocalisse, Chris si sente investito di una missione: salvare quel che resta dell’Amazzonia. Con ogni mezzo possibile. L’avamposto è certamente un film sulla fine del mondo o quantomeno sulla distruzione del mondo naturale per mano dell’uomo. Ma è soprattutto un film sull’importanza del sogno per tornare ad immaginare possibili futuri… Perché sognare, come direbbe Chris, significa agire in prospettive cosmiche.

  Inseguire un sogno. Un sogno di vita e di impegno per la vita. La parabola di Christopher Clark, eco-guerriero dedicatosi a un progetto di salvataggio e recupero di una porzione della foresta amazzonica, intreccia visionarietà individuale e coinvolgimento sociale. Clark è testimone di un’esistenza vissuta come avamposto socio-culturale, è protagonista di una vicenda umana in cui la fuga dal progresso tecnocratico dell’Occidente si traduce in progresso tecno-umanistico. Per molti anni Clark si è dedicato infatti alla realizzazione e preservazione di una comunità nella regione dello Xixuaú in Amazzonia, dalle parti di Manaus, che in qualche modo potesse coniugare in senso eco-sostenibile accettabili condizioni di vita e conservazione del patrimonio geo-naturalistico. La scelta del luogo costituisce già intrinseca metafora: la regione brasiliana si delinea infatti come una delle più incontaminate al mondo, contesto perfetto per inseguire la sfida della conservazione di un territorio lontano da qualsiasi omologazione e dalle derive del cambiamento climatico. Presentato alle Giornate degli Autori dell’80. Mostra di Venezia, L’avamposto di Edoardo Morabito è innanzitutto il diario intimo e universale di un’esperienza. Chris Clark è il protagonista, ma dietro all’obiettivo permane l’osservazione partecipante di una sorta di etnologo cinematografico, chiamato a confrontarsi continuamente non soltanto con la realtà documentata ma anche con le proprie impressioni, emozioni, riflessioni su quanto egli stesso sta vivendo con Chris e con gli abitanti dello Xixuaú. L’avamposto conserva molto del resoconto antropologico, e non tanto perché è dedicato a una lontana e isolata comunità amazzonica, quanto per la sua natura di documentazione di un’esperienza umana il cui protagonista è un occidentale visionario. Come ogni valido documento etnografico che si rispetti, la personalità del documentatore non è estromessa ed eliminata dal flusso narrativo, bensì è direttamente coinvolta (e registrata nel suo coinvolgimento) nel processo di esperienza e conoscenza. Così si dà ampio spazio alla voice over, in cui Morabito riflette, pensa su se stesso e sulla realtà che gli si dispiega davanti, e soprattutto condivide. Della vita di Chris Clark si restituisce impegno e forza d’animo, fantasia e visionarietà, leggerezza e amarezza.

L’avamposto è un film che vive di contraddizioni attive e feconde. Chris Clark si è dedicato con sincero afflato alla battaglia per la salvezza dello Xixuaú, ma al contempo ha potuto condurre quella battaglia grazie alla propria cultura tutta occidentale. Dove finisce l’impegno individuale, e dove inizia l’autodeterminazione di una comunità culturale? È lo stesso Clark, del resto, a registrare l’ominosa tendenza della comunità a cercare nuovi obiettivi tutti omologanti. Se per qualche anno gli abitanti del luogo si sono accontentati di procurarsi il necessario sostentamento tramite l’eco-turismo adempiendo a bisogni primari, successivamente hanno anche iniziato a mostrare bisogni in tutto occidentali – la macchina, la casa al mare… Il consumismo occidentale, la sua irresistibile lucentezza, arrivano ovunque. Del resto, è molto probabile che lo Xixuaú sia venuto in contatto con tale idea del benessere proprio tramite il varco involontario aperto nella foresta dallo stesso Chris Clark. L’eco-turismo comporta nuovi scambi, nuove conoscenze, nuovi orizzonti. Come fare dunque per difendere un patrimonio senza contaminarlo? (…) Assume grande significato l’ultimo capitolo del film, quel ritorno abbastanza inaspettato nell’Occidente moderno e tecnicamente iper-efficiente, dove Chris Clark cerca contatti, appoggi e finanziamenti per realizzare l’idea visionaria del concerto dei Pink Floyd in piena Amazzonia al fine di spingere il governo brasiliano a istituire una riserva naturale nella regione dello Xixuaú. Se prendere contatti diretti con i componenti sparpagliati dei Pink Floyd si rivela difficile, altrettanto Morabito registra la distanza abissale fra due mondi che pur mossi dai più nobili convincimenti non riescono a dialogare (…) L’avamposto si chiude anche con qualche nota positiva, poiché il governo brasiliano (si dice in chiusura) ha accettato di istituire la riserva naturale nello Xixuaú. Eppure L’avamposto è percorso da cima a fondo da un diffuso e amarissimo sentimento di sconfitta, dove ad andare incontro allo scacco è un’idea di vita, un modello di pensiero e di progetto. E dove si registrano anche le infinite frammentarietà, contraddizioni e imperfezioni del mezzo, dello sguardo e dell’atto cinematografico. Interrogativi intorno all’essere umano, al fare cinema, all’eterno dissidio fra ingenuità e cultura.

Massimiliano Schiavoni – quinlan.it

 

  L’avamposto, il sorprendente documentario realizzato da Edoardo Morabito sulla figura trasparente ed insieme enigmatica di Christopher Clark, un attivista ambientalista, anzi un “eco guerriero” che ha dedicato la propria vita a tutelate dalla deturpazione e dalla sfruttamento una parte della foresta vergine nel profondo Brasile, racconta lo spazio e il tempo che attraversa questa concretissima utopia; e lo fa con una capacità costante di mantenere l’equilibrio tra lucidità e fascinazione, la meraviglia incontaminata e radicale di un paesaggio geografico e umano e le contraddizioni di un modello sociale e politico applicato che, per quanto con le migliori intenzioni, finisce per inquinare e pervertire lo spiritus loci di quell’habitat e di chi lo popola. Ma non c’è nessuna tesi, neanche sottintesa o allusa, da dimostrare o da far tornare, lo sguardo e la voce di Morabito si posizionano in prima persona rispetto a Christopher “Chris”, dichiarandone l’iniziale curiosità e poi il sempre maggiore empatico coinvolgimento nell’esperienza unica, e auspicabilmente replicabile, che ha provato a mettere in atto nelle regione brasiliana dello Xixuau, un microcosmo nel quale alle pratiche barbare e predatorie della deforestazione e della pesca di frodo, si sostituisce un modello anche economico alternativo, di condivisione e integrazione. Un esperimento non immune da pressioni e contraddizioni, visto che una volta conosciuto il benessere con relativi accessori e confort prodotti da “quell’avamposto del benessere”, gli abitanti brameranno un maggiore soddisfacimento di bisogni indotti (incluso essere pagati per pulire la propria spazzatura fuori dalla porta). A prevalere non è dunque l’aspetto virtuoso e solidale auspicato da Chris, ma il graduale ritorno a forme di arricchimento indiscriminato e diseguale…

Fabrizio Croce – close-up.info

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