L’intrusa

Leonardo Di Costanzo

Giovanna, settantenne dinamica e combattiva, è fondatrice del centro associativo e ricreativo “la Masseria” a Napoli, che si occupa d’infanzia a rischio, ma che è anche un luogo a riparo e alternativo alle logiche mafiose del quartiere circostante. Una giovane madre Maria, giovanissima moglie di un killer arrestato per l’omicidio di un innocente, occupa con i suoi due bambini, una casupola abbandonata all’interno del centro. La loro presenza provoca malcontenti e ostilità tra i genitori e insegnanti che mettono a rischio l’esistenza stessa del centro… Di Costanzo evita la retorica sentimentale e mostra di saper cogliere la realtà con la naturalezza delle situazioni. Un dramma sull’emarginazione e sull’intolleranza costruito con una messinscena di mirbile verosimiglianza. Un cinema asciutto e lucidissimo.

 

Italia 2017 – 1h 35′

Di Napoli non si vede niente, il film si svolge tutto in uno spazio che suggerisce, evoca e risuona della realtà napoletana di periferia ma è quasi metaforico. Un po’ come se fosse il cortile di una commedia di Scarpetta o di Eduardo. Dice giustamente l’autore: ‘L’intrusa’ è un film con la camorra e non ‘sulla’ camorra. Ne è protagonista un’umanità costretta a conviverci, subirla, resistere: comuni cittadini, operatori sociali, volontari, che nella vita di tutti i giorni si battono per sottrarre consenso sociale alla camorra. Non istituzioni addette alla repressione della criminalità. Ma quelle persone comuni che alimentano la fiducia che non sia una guerra persa per sempre.

Paolo D’Agostini – La Repubblica

Il film di Leonardo Di Costanzo interroga cosa resta della possibilità di riprendere a condividere lo spazio del sociale. Il senso, in fondo, è quello di una «ricostruzione» che inizi dal basso. Una riappropriazione del territorio. Definirne non tanto i confini quanto la possibilità di questi di continuare ad accogliere coloro che li varcano e, al tempo stesso, non chiuderli ma ampliarli. Leonardo Di Costanzo, procedendo nel percorso di essenzializzazione del suo cinema, asciugando ulteriormente il suo approccio rispetto a L’intervallo, crea un autentico dramma morale, un vero e proprio conflitto etico. L’intrusa, un film teso e preciso, duro, che sfida le leggi della gravità del pensiero politico dominante affacciandosi sul precipizio lì dove il buon senso della sinistra salottiera cede il passo, osa mettere in scena un conflitto che non ci pare fuorviante definire rosselliniano con un approccio severo, eppure intimo, che sembra aspirare a una rarefazione assoluta. Di Costanzo non cede alla banalità di realizzare un film con un soggetto «sociale», «politico». No. Di Costanzo mette politicamente in scena quel che è soprattutto un conflitto umano, di classe. (…) Mettendo in scena un’aporia nella quale «tutti hanno ragione» come luogo della narrazione che si incarna in un vero e proprio spazio sociale da condividere, Di Costanzo salta tutte le false problematiche del cosiddetto cinema dell’«impegno». (…) Il regista (coadiuvato in fase di scrittura da Bruno Oliviero e da Maurizio Braucci) si conserva in un magistrale equilibrio: il non incontrarsi provoca una lacerazione vera. E nelle immagini si può letteralmente ascoltare il rumore prodotto da questa lacerazione del tessuto sociale: il mancato incontro della parola e delle idee provoca il vuoto. La forza del film sta tutta nel suo organizzare visivamente questa progressiva erosione dello spazio possibile. (…) Di Costanzo osserva il venire meno di una comunità a partire dalle «migliori intenzioni». E in questo senso si rivela essere l’interprete più acuto e preciso dello smarrimento che affligge oggi il Paese. L’intrusa, da questo punto di vista, è davvero un ritratto di una donna in lotta con il suo tempo e con il suo Paese, come forse solo Rossellini ha saputo comporre con altrettanta precisione. A Di Costanzo basta pochissimo per dare corpo a un cinema asciutto e lucidissimo, in grado di osservare il conflitto permettendogli di respirare, senza imporgli soluzioni preconfezionate. L’intrusa: cinema del nostro tempo.

Giona A. Nazzaro – Il Manifesto

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