Donbass

Sergey Loznitsa

Quando la guerra viene chiamata pace, quando la propaganda esprime verità, quando il disprezzo è scambiato per amore, la vita comincia ad assomigliare alla morte. Una satira amara, un manuale di sopravvivenza nel Donbass in 13 lezioni, tra dialoghi tautologici e scenografie kafkiane.

Germania/Ucraina/Francia 2018 (121′)
Cannes UN CERTAIN REGARD: Miglior Regia

  Ad un posto di blocco militare i passeggeri maschi di un bus di linea sovraffollato vengono fatti scendere e minacciati di venire arruolati per direttissima. C’è anche un giornalista tedesco, che vorrebbe capire cosa succede ma non riesce a farsi strada tra gli scherzi e la vanagloria dei soldati. Nella regione del Donbass, nell’Ukraina orientale, nel 2014, i separatisti hanno dato origine agli scontri che hanno portato alla proclamazione dello stato della Nuova Russia. Nei palazzi del potere occupati si celebra un matrimonio grottesco, tra risate e pallottole, si sequestrano le automobili e poi anche i loro proprietari. Per strada un patriota della parte occidentale viene legato ad un palo ed esposto alla fame di vendetta dei passanti. Fioriscono le dicerie, le paure incontrollate, i selfie col traditore e quelli con i compagni d’armi.
Loznitsa torna sui temi di Maidan, il documentario girato a Kiev all’epoca della protesta iniziale nell’omonima piazza, con un film cosiddetto di finzione. La circospezione lessicale è d’obbligo, non solo perché la genesi di Donbass affonda in un video amatoriale, che il regista si è trovato a visionare e dal quale è partito per orchestrare il suo affresco, né soltanto perché il linguaggio è fortemente para-documentaristico, l’utilizzo di macchina a mano e soggettive è massiccio e qualsiasi intervento musicale extradiegetico è negato.

Ma c’è di più, perché l’ambiguità del mezzo è il messaggio stesso. Pensato in formulazione circolare, il film prende le mosse dalla roulotte del trucco di una troupe, nella quale un gruppo di civili si prepara a comparsare per un telegiornale. Subito qualcosa non è chiaro: è davvero una messa in scena? A qual fine? E chi la dirige? Il finale del film riprenderà questo set facendo sfumare del tutto i confini tra l’evento e la sua costruzione.
Demiurgo di una satira che incontra ad ogni angolo la tragedia della realtà, Loznitsa non va per il sottile, accusando di follia criminale protagonisti e comparse dell’insurrezione militare filorussa e facendolo alla maniera del suo cinema, ossia lasciando che siano le immagini a costruire, per spontanea eloquenza, le scene di questo teatro dell’assurdo, e completando il quadro con dialoghi tautologici e scenografie kafkiane. Ciò che Loznitsa constata e ricostruisce, rischiando a tratti di parlarsi addosso, è una realtà che ha perso i connotati della plausibilità, che pare scritta per il teatro o per il cinema, o uscita dalla grande letteratura russa, intrisa d’ironia. Poi però le mine esplodono, le mitragliatrici sparano e si contano cadaveri veri, da una parte e dall’altra della stessa nazione.

Marianna Cappi – mymovies.it

     

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