30 Monedas

Alex de la Iglesia

30 coins
Spagna 2020
SERIE TV: 1a stagione – 8 episodi (60′)

 VENEZIA – A sentire David Cronenberg il futuro del cinema è da rivolgere tutto alle serie tv e alle piattaforme di streaming – l’aveva affermato con convinzione durante la masterclass tenutasi in occasione della premiazione con il Leono d’Oro alla Carriera alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2018 – ma, al di là di come la si pensi, quello di un nuovo concetto di produzione cinematografica di scuola Netflix è un orizzonte a cui è impossibile non rivolgere attenzione.


S
i può essere in disaccordo col regista canadese sulla non distinzione delle modalità di fruizione di un’opera filmica e anche obbiettare sull’evidente differenza tra scrittura e montaggio, eppure risulta inevitabile riconoscere il territorio vastissimo di possibilità introdotto dalle produzioni per il piccolo schermo. Tant’è che anche i festival cinematografici, e sin da subito la Biennale, hanno inserito nei loro cartelloni film o anche opere a episodi di questi network. Tra questi certamente HBO è uno dei più noti – già a Venezia negli anni passati con The new Pope e L’amica geniale – quest’anno presente nel Fuori Concorso del Lido con il primo episodio di 30 Monedas, serie horror firmata da Alex de la Iglesia.
Una notte, in uno sperduto paesino della Spagna, accade l’inspiegabile. La veterinaria Elena (Megan Montaner) sta assistendo una mucca in un complicato parto, l’animale circondato dagli occhi sconcertati e terrorizzati di chi lavora alla fattoria darà alla luce un bambino. Prima che dilaghi il definitivamente il panico, e soprattutto la scaramanzia, la dottoressa con l’aiuto del sindaco (Miguel Angel Silvestre) decidono di interpellare il misterioso prete della città, Padre Vergara (Eduard Fernandez), (ex)esorcista e (ex)pugile in esilio.


Ecco, almeno con 30 Monedas ci si può concedere di mettere da parte i dubbi sulla purezza del mezzo televisivo. Il regista spagnolo non risparmia nessun tratto della propria poetica, né inciampa cercando di adeguarsi a un diverso linguaggio. Forse perchè già perfettamente a suo agio con produzioni di diverso budget e committente, De la Iglesia non lascia che la scrittura tipicamente diluita della struttura episodica abbia la meglio sull’immagine e sulla regia. Non si risparmia in niente il regista di Ballata dell’odio e dell’amore, e mentre il suo stile si “impossessa” di ogni fotogramma – tra vertiginose e fumettistiche riprese aeree, grotteschi esorcismi, bambini deformi e mostroni giganti, attingendo a generi diversi e senza risparmiare in sangue e sporcizia – grazie all’usuale approccio dissacrante verso le figure religiose e l’ignoranza popolare si concede, oltre alla rinnovata satira sui rapporti tra i personaggi, anche una precisa riflessione sullo sguardo, tra quello che è reale e ciò che invece si vuole vedere.

Tant’è che chi se ne importa del mistero e della matassa da sbrogliare, e pure delle monete del titolo che rimandano al tradimento di Giuda (il prete si ostina a dissimulare con cinismo e razionalità scientifica ogni superstizione), la ridicolizzazione delle relazioni sottese di dubbio, ambiguità e sospetto del taciuto restituiscono la vena più bizzarra e comica di questo progetto; e se in parte il formato televisivo smorza la componente onirica, dall’altra il regista si ostina meravigliosamente a ribadire la distinzione tra guardare e vedere, invitandoci a non obbedire a ciò che vediamo, e suggerendoci come sia la mente a generare la realtà e non viceversa. E quindi scrollandosi di dosso una volta per tutte la pesante coperta della scrittura televisiva, Alex del la Iglesia ci ricorda che il cinema è l’unico modo per oltrepassare ciò in cui solo riusciamo a credere.

Valentina Torresan – MCmagazine 60

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