L’asso nella manica

Billy Wilder

Chuck Tatum, cinico giornalista in eterna ricerca dello scoop, da poco licenziato proprio per il suo atteggiamento, trova finalmente una notizia che può regalargli quella ribalta che ha sempre bramato: in una miniera è infatti rimasto intrappolato un operaio. Chuck cercherà in ogni modo di rallentare le operazioni di salvataggio per alimentare la portata mediatica del tragico evento. Apologo feroce e sempre attuale, il film è la gelida e indignata rappresentazione della contro-etica professionale del giornalismo. Un’opera capitale all’interno della parabola cinematografica del grande regista europeo.

Ace In The Hole – The Big Carnival
USA 1951 (112′)
VENEZIA: Premio internazionale speciale e Premio per la miglior musica

Non è forse il film più celebre del maestro autore di A qualcuno piace caldo, ma L’asso nella manica tratteggia con estrema semplicità e feroce sarcasmo un’intera società, mostrandosi anche preveggente su molti aspetti.Pur con qualche personaggio e qualche rapporto troppo impostato, Ace in the Hole è assolutamente nella media del regista, e appare oggi come un trattato perfetto del Wilder’s Touch, oltre ad essere una tappa decisiva nella carriera del regista, come passaggio dal primo periodo più drammatico all’età delle grandi commedie, con la predominanza dell’ironia nella prima parte e il crescendo tragico della seconda. “Buona nuova, nessuna nuova”: questo è il detto con cui il cinico e arrivista giornalista interpretato da Kirk Douglas istruisce il giovane apprendista, poco prima che i due raggiungano la miniera in cui un uomo è stato intrappolato. Il vecchio volpone della carta stampata fiuta subito l’odore di scoop e di caso umano su cui costruire una storia e attirare, mettendo la giusta dose di tragedia e speranza, l’attenzione e la morbosità della gente.

 

Costruisce così un baraccone cui partecipano, ciascuno secondo le proprie esigenze, le autorità locali così come la disincantata moglie dell’uomo in trappola. Le cose sembrano andare bene per la volpe, la quale però non ha fatto i conti con una variabile imprevedibile: l’empatia con l’intrappolato. Come accennato, il film va oltre l’essere esclusivamente una denuncia del giornalismo sciacallo e cinico – cosa in cui comunque funziona alla grande, dato che ancora oggi il protagonista è una delle icone del cattivo giornalista al cinema, ma si presenta come un atto d’accusa verso un’intera società che mira a quantificare tutto con un ritorno pratico ed economico e un’intera concezione della vita che tende a leggere tutto, dolore e dramma in primis, in chiave di superficiale e morbosa spettacolarizzazione. Dal primo punto di vista è significativo, per esempio, che i personaggi davvero interessati alle sorti del povero intrappolato siano tutti esponenti di una “vecchia America”, ad inizio anni Cinquanta già fuori posto, e quasi reperti di un’altra era. Il sarcasmo leggero e implacabile di Wilder, capace anche qui di tratteggiare e sbeffeggiare un intero mondo con un’inquadratura o un dettaglio (tra le tante, per esempio, il pianto della turista mentre sta organizzando la partenza poco prima del finale) è sempre stato sintomo di decise e coerenti prese di posizione morali: un moralismo divertito e non predicatorio, capace, oltre che di mettere alla berlina una società, di capirne e intuirne le evoluzioni…

Edoardo Peretti – mediacritica.it x

Film rivelazione datato 1951 ma talmente avanti coi tempi da essere misinterpretato dalla critica e ignorato dal pubblico, L’asso nella manica di Billy Wilder è in realtà un contenitore esplosivo di tutti i vizi e le deviazioni della moderna società occidentale, con una messa in scena lucida e priva di sbavature. Billy Wilder racconta la storia di Charles Tatum, giornalista d’assalto alle prese con un ghiottissimo scoop: Leo Minosa, un poveraccio di Albuquerque che cerca nella “Siberia torrida” del New Mexico di sbarcare il lunario rivendendo cimeli di un cimitero indiano, si trova intrappolato da una frana a qualche metro di profondità sottoterra. Charles, interpretato magistralmente da Kirk Douglas, organizza una specie di baraccone mediatico intorno al salvataggio del malcapitato, approfittando della ingenuità dei genitori, della perfidia della moglie (la mefistofelica Jan Sterling) e dell’arrivismo politico dello sceriffo del luogo. L’interpretazione di Douglas è fenomenale: la parlata biascicata, la camminata irrigidita, la sua insensibilità da animale in fuga, il modo in cui si accende la sigaretta sul rullo della macchina da scrivere, lo sprezzo dei valori tradizionali (il quadro ricamato con scritto “Tell the truth” nella redazione del giornale di Albuquerque), la sua conoscenza della mediocrità e curiosità del popolo dei lettori-spettatori.

L’attenzione di Wilder al dettaglio è maniacale ed eccezionali sono i grandi contrasti fotografici tra le ombre di interni claustrofobici e il mare di luce del paesaggio semidesertico del New Mexico. Dal momento in cui il povero Leo Minosa si ritrova intrappolato sotto tonnellate di roccia scatta lo spietato cinismo di un ambiente circostante manipolato da un giornalista a caccia di brutte notizie perché “sono quelle che vanno a ruba”. Wilder è geniale per la sua messa in scena parodistica di una società americana pronta alla spettacolarizzazione del dolore e alla mercificazione della sofferenza (notate il cartello che ospita i turisti della zona dell’incidente: con il passare dei giorni la tassa di ingresso passa da 25 cents a 1 dollaro). La parodia però si trasforma inevitabilmente in tragedia e si passa dalla violenza dello spettacolo dell’egoismo umano allo spettacolo della violenza reale, in diretta alla televisione o in radiocronaca morbosamente dettagliata. Billy Wilder inchioda alle loro responsabilità i “pennivendoli del sistema della menzogna spettacolare” e crea una escalation drammatica puntellata da una sceneggiatura sincronizzata con lo squallore morale dei protagonisti. La società americana dei primi anni 50 è caratterizzata dalla psicosi atomica, dalla Commissione per le attività anti-americane e dal fenomeno del Maccartismo, in una delirante caccia alle streghe che è una proiezione paranoica dello spettro del Comunismo. Proprio in quegli anni malsani vengono gettati i semi per la dissoluzione dei generi cinematografici e Billy Wilder è l’autore-pioniere di questa operazione: tutto lo scarto che possiamo provare nei confronti della realtà non trova più la valvola di sfogo nell’immaginario cinematografico: la “terra” di Rossella O’ Hara è diventata un cumulo di macerie che ci ha travolto e seppellito…

Fabio Fulfaro – sentieriselvaggi.it

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