1986. In un piccolo villaggio viene trovata una giovane donna brutalmente assassinata e due mesi dopo, un crimine molto simile, fa sprofondare l’intera regione nel terrore di un assassino seriale. I detective incaricati di risolvere il caso si troveranno in una spirale di violenza difficile da fermare… Un thriller tanto spietato quanto stratificato, capace di dare corpo e lirismo all’ossessione investigativa. Bong intreccia suspense e politica, genere e autorialità, con una messa in scena che coniuga una forza spropositata e un’eleganza altrettanto straordinaria.
Salinui chueok / Memories of a Murder
Corea del Sud 2003 (130′)
Tratto dal romanzo Come and See Me di Kim Kwang-rim e basato sulla storia vera del primo serial killer coreano conosciuto, attivo fra il 1986 e il 1991 a Hwaseong, nella provincia di Gyeonggi. Bong Joon-ho ne ha realizzato un film crudo e profondo, raffinato e robusto, con una messa in scena che coniuga una forza spropositata e un’eleganza altrettanto ragguardevole. Una delle opere coreane più viste in patria nei primi anni del nuovo millennio, la pellicola di Bong, sotto la superficie del thriller poliziesco e d’atmosfera, addensa le ombre di un paese e le contraddizioni di una prassi investigativa che, esattamente come il potere costituito, molto spesso non rispetta l’autenticità dell’individuo. L’indagine, così aleatoria, ripiegata su se stessa e priva di solide basi, si fa così metafora di un quadro politico sfuggente, e le memorie del titolo stanno a indicare l’impossibilità di mettere ordine tra i frammenti di qualcosa che pare già irrimediabilmente perduto. Il film gestisce con mano sicura tanto i momenti narrativamente più complessi, maneggiati con maestria e insospettabile lirismo, quanto le divagazioni di una pellicola che talvolta cambia pelle e tono, sfociando nel comico a tinte forti, nella smitizzazione degli stereotipi del thriller investigativo e dei suoi caratteri tipici. Finale di clamorosa bellezza, con uno sguardo in camera conclusivo che non si dimentica.
longtake.it
È arrivato finalmente nelle sale italiane Memorie di un assassino, il secondo film mai girato da Bong Joon-ho nel lontano 2003. È un effetto molto positivo della vittoria di 4 Oscar con il suo ultimo film, Parasite. Si tratta infatti di uno dei migliori film degli anni 2000, probabilmente uno dei migliori in assoluto sulla ricerca di un assassino e di certo contiene uno dei finali più belli della storia del cinema. (…)Nel 2003, quando fu presentato al festival di Cannes, non uscì in Italia, da noi è arrivato sull’onda delle conversazioni, delle lodi e del credito internazionale. Erano gli anni dei primi download illegali di film e il cinema coreano era diventata una fonte preziosa per gli appassionati che non avevano altri strumenti per vedere quei film. Ora invece finalmente possiamo goderci Memorie di un assassino sul grande schermo.
La potenza del film è intatta, anzi oggi fa impressione vedere come quelle idee siano modernissime e quanto Bong Joon-ho a inizio anni Duemila facesse il cinema che tutti fanno adesso. La storia è vera, è quella del primo caso di serial killer nella Corea del Sud, un omicida attivo tra il 1986 e il 1991 in un paese di provincia. Noi seguiamo l’indagine attraverso due poliziotti locali dai modi spicci, privi di scrupoli, abbastanza cretini ma con un forte desiderio di prendere il colpevole, e ad un certo punto anche tramite il poliziotto sofisticato che viene da Seoul, diverso da loro, più determinato e preciso. Grottesco e note di commedia si mescolano in modi fantastici alla serietà, al dramma e alla dedizione.
Quel momento storico per la Corea non era troppo diverso dai nostri anni di piombo, non per gli attentati ma per il clima di violenza che si respirava nella società. Memorie di un assassino vive di sfondi, di eventi che accadono dietro ai personaggi mentre questi sono concentrati sull’indagine, e sono esercitazioni per la difesa, proteste studentesche, risse, cattiveria, abuso dei detenuti…. Tutto parla di una società violentissima, la polizia è senza scrupoli e non rispetta le regole, i giornali ci vanno a nozze. Decisamente non un modello. E proprio in quel momento storico questo emerge il primo caso di serial killer della nazione. A partire da questi ricordi (il titolo preciso sarebbe “ricordi di un omicidio”) Bong Joon-ho, che in quegli anni aveva circa 18 anni, ricostruisce il caso inventando i tre detective e usandoli per esplorare l’ossessione di un paese che marciava a fatica verso il benessere che sarebbe arrivato brutalizzando il prossimo. È Zodiac molto prima di Zodiac (e anche meglio!), è un film che anticipa tutta la mania delle ricostruzioni ossessive ma che fa anche tantissimo cinema. I detective sembrano clamorosamente sempre ad un passo dalla soluzione. In una serie di inseguimenti, scoperte e interrogatori bellissimi la sensazione è che il killer sia lì, a portata di mano, ma ci sia sempre qualcosa o qualcuno che non li aiuta a dovere, che non collabora, che non fa il suo dovere impedendo alla polizia di compiere l’ultimo miglio.
Nei panni del detective locale determinato ma cialtrone c’è il grandissimo Song Kang-ho, da quel momento in poi attore irrinunciabile per Bong Joon-ho (è il padre della famiglia povera di Parasite), una spanna sopra tutti già all’epoca. Mentre gli altri lavorano su stereotipi consolidati (il poliziotto eroico, il poliziotto violento, il commissario frustrato…) lui è l’unico che sembra davvero aver capito che questo non è il solito film ma ha tutta un’altra ambizione e fattura e crea un essere umano complicato, apparentemente cialtrone ma intimamente combattuto, un prodotto del suo tempo a tutti gli effetti, un uomo che non vuole essere violento ma è pigro e desidera avere un riconoscimento da qualcuno. Sarà lui infatti ad aprire il film e a chiuderlo, 17 anni dopo gli eventi, nel 2003. Cosa è diventato a quel punto è rappresentativo del percorso della Corea dalla violenza al business attraverso le stesse figure. Ma anche tralasciando lo sfondo e il commento sulla società coreana (che a noi interessa meno) è il discorso sull’ossessione del male e la ricerca malata di un colpevole in un mondo che si scopre sempre più marcio, sempre più denso di maniaci, erotomani, violenti e bastardi ad ogni livello. Bong Joon-ho già nel 2003 usava un fatto di cronaca per creare un dipinto sulla razza umana e la sua tendenza verso la violenza.
Chi ha amato Parasite troverà le medesime esplosioni inattese di umorismo, la medesima capacità di creare scene complicate in cui eventi in primo piano dialogano con eventi nello sfondo e un’incredibile dedizione alla messa in scena che rende ogni immagine interessante e attraente, come se la soluzione stesse davvero in quei dettagli e spettasse a noi trovarla esplorandoli..
Gabriele Niola – wired.it