One Second

Zhang Yimou

Nella Cina in piena Rivoluzione Culturale, Zhang, un detenuto fuggito da un campo di lavoro, rischia tutto per cercare il rullo della pellicola di un cinegiornale, in cui appare sua figlia perduta da tempo. Sulla sua strada però incontra una trasandata orfana vagabonda che ruba la pizza del film e mette così a rischio la proiezione che tutti, al villaggio, attendono con impazienza…



Yi miao zhong
Cina 2021 (105′)

  Un’opera che riesce a comunicare su più livelli la forza del cinema, cuore pulsante delle vicende di questo piccolo, delicato e potente racconto. Alternando momenti più distesi, legati alla farsa e alla commedia (soprattutto nella prima parte), con altri più commoventi e drammatici, One Second sembra racchiudere in sé il motivo per cui esiste un pubblico pronto a sedersi in una sala buia, lasciandosi trasportare dalle proiezioni. Fino ad arrivare a un finale che, con pochissime inquadrature, riesce a raccontare l’epifania legata ai protagonisti.
Siamo in Cina, all’epoca della Rivoluzione Culturale di Mao. Un uomo sta camminando tra le sabbie del deserto, incurante delle difficoltà. Si chiama Zhang Jiusheng ed è fuggito da un campo di lavoro forzato, rischiando la vita pur di arrivare in un piccolo villaggio e assistere alla proiezione di un cinegiornale: gli è stato detto che al suo interno si può vedere sua figlia, che non vede da anni. Farà la conoscenza, all’inizio in maniera turbolenta, con una giovane orfana di nome Liu (una bravissima Liu Haocun), che riesce a rubare proprio la bobina che contiene il cinegiornale e dando inizio a un lungo inseguimento. La bobina viene, infine, recapitata a Fan, il proiezionista del villaggio, uno dei migliori della Cina, che i cittadini, un po’ intimoriti e un po’ ossequiosi, chiamano Mr. Film. Ma durante il tragitto la pellicola si è sporcata ed è in condizioni pietose: starà ai cittadini fare di tutto e “restaurarla” per poter proiettarla in tempo. Jiusheng e Liu dovranno conoscersi meglio per fare in modo che il fuggitivo possa vedere finalmente sua figlia, seppur solo sullo schermo. Si tratta di una storia semplice che contiene un approccio realista, sottolineando la ricchezza e la magia del cinematografo, ma ponendo sotto i riflettori anche la povertà con cui vivevano molte persone. Luci e ombre della vita, come quelle dello schermo.

All’interno del racconto si sviluppano due filoni narrativi. Il primo è legato a una dimensione intima e umana, che apre e chiude il film, oltre che metterlo in moto. One Second è una storia di padri e figli, rappresentata attraverso vari elementi e personaggi diversi. Il rapporto padre/figlia che dà inizio alla storia: Jiusheng rischia la vita e compie un viaggio pericoloso pur di riuscire a vedere, anche solo per pochi fotogrammi, la figlia cresciuta di cui non ha notizie da anni. Il rapporto che si costruisce nel tempo, tra lo stesso protagonista e l’orfana Liu, costituendo, sempre di più e non scevro di difficoltà, un legame affettivo di padre putativo e figlia adottata. Il rapporto, meno approfondito, tra il proiezionista Fan (Mr. Film) e il figlio che è indisposto a ereditare il talento del padre, il che rappresenta una sorta di fallimento esistenziale da parte del genitore, seppur non privo di affetto. Infine, scivolando all’interno della propaganda nazionalista (ben presente sia nel film proiettato al cinema per i cittadini del villaggio, sia nell’indugiare in certe sequenze patriottiche), si tratta anche di un rapporto tra Mao, il padre di tutti, quello dello Stato, e i propri figli-cittadini. Questi rapporti si intrecciano lungo la durata di One Second, lasciando ben scoperto il cuore pulsante del film.

Non è il solo cuore presente all’interno di questo gioiello di Zhang Yimou, perfettamente a suo agio nella materia e capace di regalare alcuni momenti di grande cinema. L’altro filone narrativo principale in One Second mantiene il concetto di amore, ma lo trasla all’interno della settima arte. Soffermandosi sulle reazioni, sugli sguardi, sulle panoramiche della sala cinematografica del villaggio, Yimou mette in scena il cinema, come luogo di collettività, come luogo magico (tutti rimangono affascinati dallo schermo, nessuno escluso), come memoria. Richiede tempo per entrarci (la lunga fase di restauro della pellicola e il soffermarsi più del dovuto sul film di propaganda proiettato potrebbero mettere a dura prova la pazienza dello spettatore più interessato al semplice racconto), ma è commovente vedere come un’intera collettività reagisce alla pellicola, se ne prende cura, la erge a divinità.

Proprio nelle scene centrali, si ha l’impressione di assistere a un percorso che parte dal fascino della lanterna magica (le ombre proiettate sullo schermo bianco), passare al cinema di finzione che ammalia, fino ad arrivare al cinema come strumento per vincere il tempo e fissare un momento. Attraverso queste fasi, uniti al discorso più emotivo e intimo, One Second differenzia il deserto arido distante dal cinema e il villaggio popolato, chiassoso e vivo dove si erge la sala cinematografica come luogo di culto. Per poi regalare un’inquadratura finale da manuale: con i fotogrammi insabbiati, anche il deserto diventa luogo d’amore.

Matteo Maino – movieplayer.it

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