Viridiana

Luis Buñuel

Viridiana, giovane novizia vicina ai voti, si reca a passare qualche giorno dallo zio, don Jaime, un uomo sessualmente frustrato dopo la morte della moglie avvenuta la sera delle nozze, che tenta di abusare di lei. Viridiana riesce a sfuggirgli, il vecchio si impicca. La nipote eredita le sue terre e decide, per spirito di carità, di accogliere nella grande casa infermi e bisognosi. Ne risulta una specie di corte dei miracoli dove avvengono le peggiori dissolutezze.



Spagna/Messico 1961 (90’)
CANNES 14°: Palma d’oro


T
ra i film più conosciuti e rappresentativi di Luis Buñuel, nonché uno dei titoli della sua carriera che ha ottenuto maggiori consensi critici in tutto il mondo. Resta una delle opere più disturbanti e complesse nella produzione del cineasta spagnolo che, nettamente divisa in due parti raccordate dalla figura centrale della giovane Viridiana, delinea due modelli antitetici di mascolinità. Il primo, quello dell’anziano Don Jaime, rimanda all’immagine ricorrente nel cinema di Buñuel del maschio impotente, represso nella sua carica sessuale, che sublima l’erotismo in bizzarre parafilie. Il secondo, quello del prorompente Jorge (Francisco Rabal), incarna un maschilismo sfrontato e insolente, che sottomette con violenza la donna al suo volere. Entrambe le figure maschili individuano l’oggetto del desiderio nell’innocente candore di Viridiana, costretta a soccombere davanti alle perversioni del primo e all’imperio del secondo. Da essere promessa sposa di Cristo, la fanciulla ricoprirà prima il ruolo della peccatrice, poi quello della missionaria, infine sarà definitivamente catturata nel gioco dei ruoli borghesi. Due sequenze, una per parte, sono entrate nella storia del cinema: la vestizione di Viridiana con l’abito da sposa e la celebre ultima cena (con annesso tableau vivant dell’opera di Leonardo da Vinci) dei reietti nella casa dei padroni. Stratificata nei contenuti, è anche una pellicola dal maestoso impianto formale: la fotografia di José F. Aguayo è di rara eleganza e Buñuel sa come sfruttarla nel modo giusto.

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I
 mendicanti che invadono lo spazio del film sono dodici, come gli apostoli. Viridiana, la novizia che tenta di redimerli, è una “santa” feticista come molte sante della tradizione latina. Jorge, il figlio naturale che eredita la estancia di don Jaime, è il corruttore cui spetta la funzione di scatenare il male. Il vecchio don Jaime, povera anima traumatizzata dalla morte della moglie il giorno delle nozze (trent’anni prima), cerca di riagguantare la vita – con il goffo tentativo di violenza su Viridiana narcotizzata (l’amore per procura, e per di più fallito) – ed espia un peccato di pensiero, terribile ma inefficace: muore come Giuda ma, a differenza di Giuda, ha soltanto immaginato di infrangere il vincolo della fedeltà. Per questo film, che segnò il ritorno di Buñuel in Spagna dopo il lunghissimo esilio (nel suo paese natale aveva girato soltanto il documentario Las Hurdes, nel 1932), la scelta del tema ha un valore quasi emblematico. Vi si riassume tutta la carica di sconsacrazione che era stata propria del surrealismo e che aveva influito profondamente sull’esperienza cinematografica dell’autore. Buñuel sfida, con Viridiana, la Spagna, e sfida nello stesso tempo se stesso. Può anche essere la dichiarazione di un fallimento (non è servito a nulla essere ribelle), e questo certo sarebbe il film disperato di un uomo che assiste alla caduta delle proprie illusioni se egli non fosse soccorso dalle virtù del sarcasmo apprese alla scuola surrealista.
La disperazione resta, ma si affianca a una crudele ironia (e autoironia). Il feticismo di Viridiana, e anche di don Jaime, fa il paio con i tic psichici dell’autore: due cose in una, ferocemente beffate. I dodici mendicanti-apostoli son venuti a predicare la “verità” della degradazione (il messaggio capovolto del Cristo) ma hanno l’aspetto delle vittime, non quello degli aggressori. Jorge è, certo, il demone corruttore, ma la sua azione è motivata da semplici interessi economici (rinnovare la conduzione della fattoria, introdurre concrete riforme). “L’uomo completamente infelice” osserva Maurice Blanchot a proposito dell’Homme révolté di Camus, in L’Entretien infini (1969), “l’uomo annientato dall’abiezione, dalla fame, dalla malattia, dalla paura, si trasforma in qualcosa che non ha più nessun rapporto con se stesso o con chicchessia, una neutralità vuota, un fantasma vagante in uno spazio dove non accade niente, un vivente caduto al di sotto del bisogno.” Viridiana offre una galleria di uomini così, “fantasmi” nel buio di un ambiente che li ha ingoiati: quasi tutto il film si svolge in interni soffocanti, fra i cupi neri delle pareti e dall’arredamento, sotto tagli di luce cruda che riducono gli esseri a ombre; l’ultima inquadratura muove dal tavolo su cui Jorge dà le carte (è una partita a tre: lui, Ramona e Viridiana) e retrocede in carrello sino a comprendere il salone restaurato dopo l’orgia, immerso in una fonda oscurità. Tutto rimane sospeso, in una “neutralità vuota” che si può vedere come il “vuoto” di una società immobile ma che è soprattutto la spia di una incertezza ideologica, alla quale Buñuel sovrappone il sarcasmo dell’assoluto (e miserabile) miscredente. E a un miscredente non rimangono altro che le immagini dei tanti simboli fallici disseminati qua e là (i manici della corda su cui salta la bambina, i capezzoli della vacca, il pugnale a forma di crocifisso, ecc.), il catalogo degli oggetti feticistici e dei loro referenti (i piedi di don Jaime in cammino, all’organo, appesi all’albero; le scarpette e l’abito da sposa; la corona di spine, i chiodi e il martello di Viridiana), le allusioni facilmente spiegabili (l’Ultima cena leonardesca riprodotta dai dodici mendicanti durante l’orgia) e quelle enigmatiche e capziose, tipiche della fantasia buñueliana (il topo che sbuca da sotto un mobile della soffitta, davanti agli occhi di Jorge e di Ramona).
Viridiana – un’ora e mezza di proiezione, Palma d’oro al festival di Cannes nel 1961, vietato in Spagna – inizia nel convento dove Viridiana sta per prendere il velo. Le annuciano che don Jaime, suo zio, vuole vederla prima della cerimonia. Raggiunta la fattoria, Viridiana si imbatte in una perfida ragazzina (la figlia della governante Ramona), incontra quel vecchio melenso che è lo zio, si ritira nella sua camera ed estrae dalla valigia gli oggetti della devozione. La notte, mentre don Jaime accarezza i vestiti della moglie morta, passeggia seminuda, in trance sonnambolica, per la casa. Quando deve tornare in convento, lo zio la prega di non farlo e di indossare l’abito da s sa della defunta. Poi la narcotizza con la complicità di Ramona e tenta di violentarla, se ne pente, confessa. Viridiana fugge inorridita ma, alla stazione della corriera, la avvertono che è successa una disgrazia. Tornata sul suoi passi, scopre che lo zio si è impiccato. Decide, allora, di restare. Respinge l’appello della madre superiora e si propone di dedicare le sue forze a opere di bene (“farò grandi cose”). Raccoglie un gruppo di lerci mendicanti, uomini e donne, e cerca di redimerli. In ciò non è d’accordo Jorge, il figlio immediatamente accorso per prendere possesso della fattoria e ammodernarla. Una sera, approfittando dell’assenza dei padroni andati in città per pratiche notarili, i mendicanti si scatenano. Padroni della casa, organizzano una festa che presto degenera. Tornano inaspettatamente Jorge e Viridiana. Due di quei laidi straccioni immobilizzano Jorge e saltano addosso a Viridiana. Ma il giovane riesce a corrompere uno dei due, inducendolo a uccidere il compagno. Chiusa la lunga parentesi delle opere di bene (che Viridiana ha compiuto con totale abnegazione, nutrendo e curando i pezzenti, facendoli pregare e lavorare, sedando le loro frequenti risse, e per questo scontrandosi con l’insinuante Jorge e con Ramona che è divenuta la sua amante), la frastornata ragazza si sente un’estranea. Si guarda allo specchio. La sera la vediamo bruciare la corona di spine ed entrare nella stanza dove Jorge e Ramona giocano a carte. Jorge la invita a sedersi. Accetta, senza dire una parola. “Non mi crederete ” commenta soave Jorge “ma la prima volta che vi ho visto mi sono detto: mia cugina Viridiana finirà per giocare a carte con me. ” Parte il carrello indietro, il gruppetto resta una macchia chiara, isolata sul fondo.

Fernaldo Di Giammatteo – 100 film da salvare

 

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