Riget Exodus

Lars von Trier

Riget Exodus (The Kingdom: Exodus)
Danimarca 2022 (295′)

 VENEZIA – Un incipit e un finale strepitosi fanno da cornice a questa terza parte della serie Il regno, iniziata da Lars von Trier nel 1994 e proseguita nel 1997, presentata integralmente Fuori Concorso a Venezia (cinque puntate di circa un’ora l’una). Geniale l’aggancio alle stagioni precedenti: la prima puntata si apre con l’immagine di una retina su cui scorrono velocemente le ultime scene della seconda stagione della serie.

  L‘occhio è quello di Karen (Bodil Jorgensen), un’anziana sonnambula, che dopo aver visto quel finale delirante, spegne il televisore, esclamando “Ma come si può fare una boiata del genere?”. Eppure sarà proprio lei che, dopo la visione del DVD (come in un horror giapponese!), spinta da uno strano richiamo soprannaturale e nella speranza di poter curare il suo disturbo del sonno, ci porterà a varcare nuovamente le porte del Regno, l’ospedale in cui la serie venne girata 25 anni prima. Un luogo innocuo, costruito sopra le rovine di un antico lavatoio, oggetto soltanto del dileggio di un povero pazzo (“quello svitato di von Trier”), colpevole di averlo rappresentato infestato da spiriti maligni ed entità diaboliche. Ma le porte del Regno si riapriranno perché il Male minaccia l’umanità e qualcosa di inquietante si annida in quei corridoi, nei sotterranei e soprattutto nelle fondamenta stesse dell’edificio. Nel momento in cui Karen varca la porta dell’ospedale la fotografia vira da una tonalità bluastra tipica dei serial ospedalieri degli ultimi anni, a quella irrealmente giallastra che contraddistingueva le precedenti stagioni, a sottolineare la continuità dello stile con cui von Trier intende rientrare nel luogo, replicandone le ossessioni e le demenze.

Da questo momento assisteremo a una riproduzione infinita, a una rimessa in scena con variazioni delle dinamiche conflittuali e della cretineria umana, diventata ormai, agli occhi di von Trier, la condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo. Il protagonista maschile non a caso è Helmer Jr, figlio del protagonista delle prime stagioni, che continua a fomentare l’odio tra la Svezia e la Danimarca, un’operazione al cervello sbagliata – causata dall’annullamento della differenza di genere sulla scheda medica di due pazienti, un uomo e Karin – dà vita a effetti imprevisti, il direttore dell’ospedale resta l’inetto Dottor Moesgaard, che, dopo l’operazione Aria del mattino, inventa l’altrettanto idiota operazione Porte aperte, nel sottosuolo ritroveremo perfino Udo Kier nella parte dell’abnorme Fratellino…


Un brodo primordiale dove, in modo del tutto arbitrario, si intrecciano i fili che legano la storia presente a quelle del passato, dove von Trier può sbizzarrirsi con autocitazioni e citazioni (da Il settimo sigillo a Twin Peaks a Blade Runner a C’era una vota in America), dove soprattutto dominano l’ironia, la risata, il sarcasmo. Sembra che qui il regista danese abbia voluto più che altro divertirsi giocando con le gag, il ridicolo, le macchiette, le situazioni più paradossalmente cretine, in totale libertà, senza l’ansia di una coerenza logica. Il mondo è malato, è come un grande ospedale, in cui regna il Male, sembra volerci dire von Trier, non c’è niente di innocuo, neutro o grazioso nell’arte e nella conoscenza.Chi domina la visione (il regista) è diabolico e manipolatore, ma chi guarda non può credere a ciò che vede senza farsi domande. “Guardare e imparare: l’esodo è un’arma a doppio taglio” viene ripetuto più volte nel corso del film. “Tutto è rubato” sarà l’ultimo messaggio che il Re delle Tenebre, rivelandosi nelle fattezze del regista stesso, ci lascerà, uscendo di scena in sedia a rotelle, accompagnato da un luciferino Willem Dafoe. Le porte del Regno si sono riaperte e a chiuderle non poteva che essere il Demiurgo che le ha concepite, che così si commiata (speriamo non per sempre) dagli spettatori in un finale tanto spettacolare quanto autoironico.

Cristina Menegolli – MCmagazine 76

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