Nu astepta prea mult de la sfarsitul lumii
Francia (65′)
LOCARNO 76: Premio speciale della Giuria
LOCARNO – Il regista rumeno Radu Jude, già vincitore dell’Orso d’oro a Berlino nel 2021 con Sesso sfortunato e follie porno, si conferma una delle voci critiche più interessanti e graffianti del cinema attuale con la sua ultima opera , Do Not Expect Too Much From The End Of The World. Si tratta di un film denso, ricchissimo di rimandi, citazioni e ammiccamenti, con una struttura molto articolata, che alterna e mescola forme diverse di linguaggio filmico.
La protagonista è Angela (una straordinaria Illinca Manolache, che avrebbe meritato un riconoscimento), assistente free-lance per una società di produzione; il suo ultimo incarico consiste nel trovare e intervistare persone che hanno subito infortuni sul lavoro, per selezionare il protagonista di uno spot sulla sicurezza sul lavoro commissionato da una multinazionale. Come un criceto sulla ruota, Angela si muove senza sosta: fa tutto, compreso il sesso, di corsa. Ogni tanto poi si scatena in dirette social in cui, grazie a un filtro video, per qualche minuto si trasforma nell’alter ego Bobita, macho sboccato e reazionario: sfoga così, in modo verbalmente violento ma nel contempo inutile, la sua stanchezza e la sua frustrazione. Nella prima parte del film, a riprese in B/N che ci pongono costantemente a fianco della protagonista nel rumore e nel traffico infernale di Bucarest, si alternano spezzoni tratti dal film Angela merge mai departe ( 1981), di Lucian Bratu, in cui un’altra Angela, una tassista, percorre la Bucarest di Ceausescu: il passaggio al colore e ad una colonna sonora estremamente rilassante contribuiscono a creare uno scontro molto forte e ironico tra le due epoche, ma il regista approfondisce ulteriormente la riflessione inserendo dei rallenty che ci fanno scoprire i volti e gli sguardi delle persone. Se fino a qui il tema si intuisce, anche grazie allo spazio degradato che Angela ci fa scoprire raggiungendo i potenziali candidati nei sobborghi più abbandonati, nella parte centrale del film il regista lo mette a fuoco attraverso la sequenza della call e soprattutto attraverso quella del dialogo tra la manager della multinazionale ( Nina Hoss), giunta dall’Austria, e Angela, che le fa da autista fino all’albergo. Da un lato, dietro l’apparente disponibilità, la sordità e il senso di superiorità inscalfibile della manager, che Jude con perfidia fa discendente di Goethe, dall’altro l’impotenza rassegnata e quasi accondiscendente della rappresentante, precaria, della working class: non è difficile scorgere in un impossibile confronto l’alto e il basso del mondo.
A questo punto una sequenza di montaggio di croci commemorative di incidenti stradali porta agli ultimi 20 minuti del film, interamente occupati da un piano sequenza a camera fissa con la ripresa dello spot di sicurezza sul lavoro: al centro dell’inquadratura, circondato dalla famiglia, c’è il protagonista scelto, Ovidiu Pirsan, in sedia a rotelle, pronto a raccontare l’ incidente che gli ha tolto l’uso delle gambe. L’attivazione del fuori campo sonoro dalla parte dello spettatore permette solo a noi di ascoltare le considerazioni del regista e della troupe, impegnati ad “aggiustare” ai limiti del ridicolo la versione di Ovidiu per renderla consona alle richieste della multinazionale. Sempre con una spietata ironia il regista smarchera l’ipocrisia e l’apatia di chi avrebbe gli strumenti culturali per reagire (il regista dello spot è stato autore di un film tratto da un’opera di Mircea Eliade, intellettuale rumeno fra i più grandi del ‘900), inducendo così a riflettere appunto sul ruolo oggi degli intellettuali e dei media. In questo film complesso, inizialmente spigoloso, ma via via sempre più coinvolgente, ce n’è proprio per tutti..
Licia Miolo– MCmagazine 84