Flora

Martina De Polo

Flora Monti, divenuta staffetta partigiana a soli dodici anni, racconta la propria vita a partire dal momento in cui decise di accettare il pericoloso incarico di portare messaggi ai gruppi resistenziali che agivano sull’Appennino tosco-emiliano. Nel 1944 gli americani salvano lei e la sua famiglia dalle rappresaglie naziste e per lei è una nuova avventura che la porta, da sfollata, a Cinecittà, allora il più grande campo profughi d’Italia. La storia di Flora è una storia di lotta, sofferenza, rinascita; è la storia delle radici del nostro paese.

Italia 2023 (73′)

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   Flora Monti è nata nel 1931 e la sua è una testimonianza più che preziosa. A raccoglierla è stata Martina De Polo grazie a una produzione che ha avuto un finanziamento dalla Regione Emilia Romagna ma anche, per alcuni elementi di postproduzione, da un crowdfunding che ha dato un importante segnale di interesse proveniente dal basso. Perché questo è fondamentale (e Flora ha modo di ricordarcelo) in una fase storica di revisionismo e/o di diffusa indifferenza nei confronti di un passato che potrebbe riproporsi seppure sotto altre forme esteriori. La sua è una narrazione di vita vissuta, di cui ricorda anche i più piccoli particolari, che ci riporta alla seconda guerra mondiale e non fa nessuno sconto alla collaborazione stretta tra fascisti e nazisti. La descrizione del momento in cui viene da loro fermata e, dodicenne, lasciata solo in maglietta e mutandine per perquisirla è più che sufficiente per descrivere quanto accadeva. Ma Flora aveva allora lo spirito che ha conservato anche oggi quando racconta e non si astiene dal giudicare. C’è però anche, seppure indirettamente, il cinema in questa sua vicenda personale. Perché, una volta rasa al suolo la sua abitazione, viene inviata, con i suoi genitori, al campo profughi dell’UNRRA collocato all’interno di Cinecittà. Quello che si trova davanti è un mondo nuovo in cui avrà modo, per la prima volta, di scoprire anche una radio. De Polo non si limita (che comunque sarebbe già moltissimo) a raccogliere le sue testimonianze e ad aggiungervi del materiale di repertorio. Con l’aiuto di una dodicenne di oggi che, novella Flora, offre alle nuove generazioni riferimenti storici forse non noti, ci fornisce ulteriori elementi che poi un gruppo di attori, che indossano le maschere più cupe della commedia dell’arte, traducono in azioni efficacemente mimate. Il venire a conoscenza del fatto che parte della somma raccolta con il crowdfunding è servita a realizzare il videomapping sul corpo degli attori rende questa scelta ancor più significativa di quanto già simbolicamente non appaia sullo schermo. Un’opera che è, al contempo memoria e monito, per tutte le generazioni, a farne tesoro per il presente e il futuro.

Giancarlo Zappoli – mymovies.it

  Il documentario si distingue per la varietà di soluzioni impiegate nel rievocare la vicenda di Flora da quando consegnava i messaggi alle cellule della resistenza dell’Appennino tosco emiliano alla fuga verso la città divenuta all’epoca un grande campo profughi. Le interviste alla vera protagonista ci mostrano alle sue spalle immagini di ieri ma anche di oggi: “i profughi della rotta balcanica, gli sbarchi nel Mediterraneo, la lotta delle guerriglie del Rojava, come a delineare un parallelismo tra passato e presente”.

Abbiamo poi la ricostruzione in studio e in esterni, dove la piccola Flora è interpretata da Deina Palmas (che in certi momenti si rivolge direttamente allo spettatore contestualizzando gli eventi) e le maschere della commedia dell’arte i(n collaborazione con la Fraternal Compagnia) “rappresentano il ricordo della bambina che ora è anziana e per questo il loro volto non è chiaro ma viene deformato dalla memoria”. Si ricorre inoltre al videomapping (con materiali di repertorio forniti dell’UNICEF) e alle proiezioni sui corpi degli attori, dove ricorrono gli elementi dell’inchiostro nero e dei fiori rossi “che sbocciano a significare il ritorno alla vita come quando i disertori si uniscono alla Resistenza”. Ad arricchire il tutto l’apporto musicale di Vinicio Capossela con il brano Staffetta in bicicletta.

Emanuele Bucci – ciakmagazine.it

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