Scomode verità

Mike Leigh

Pansy, una casalinga schiacciata dalle sue paure e in conflitto costante con il marito e il figlio, si rinchiude sempre più in se stessa. Sarà il confronto con la sorella Chantelle, più solare e indipendente, a riaprire vecchie ferite, ma anche a offrirle una possibilità di rinascita.


Hard Truths
Gran Bretagna/Spagna 2024
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     Più che scomode, sono dure, come recita il titolo originale, Hard Truths. Le verità non sono spesso piacevoli, ma qui sono davvero densamente oscure. Torna Mike Leigh con un film che è pienamente nella scia dei suoi ritratti familiari contemporanei, dove segreti e bugie si alternano al deserto affettivo e relazionale dei suoi protagonisti. Pansy (la straordinaria Marianne Jean Baptiste) è una casalinga schiacciata dalle sue paure e in conflitto costante con il marito e il figlio e che, dopo la morte della madre, si è rinchiusa sempre più in se stessa, affrontando in modo aggressivo non solo il marito distante e il figlio problematico, ma anche tutti quelli che si trovano ad avvicinarla per qualche casuale motivo. Sarà il confronto con la sorella Chantelle e le sue figlie, più solari e indipendenti, a riaprire vecchie ferite, ma anche a offrirle una possibilità di rinascita. C’è speranza anche nella difficile esistenza della piccola borghesia inglese. Da sempre attento alla storia passata e a un presente sociale frammentato, Mike Leigh, ormai 82enne allievo di Ken Loach (che ne ha quasi 90), ha esordito alla Settimana della Critica nel 1988 con Belle speranze e dopo la Palma d’oro a Cannes con Segreti e bugie (1996), ha vinto anche il leone d’oro a Venezia con Il segreto di Vera Drake (2004). Questa volta oggetto delle sue analisi sono alcuni personaggi che sembrano marginali, distrutti dal loro disagio, dai silenzi appartati o dalle cattiverie che esternano con modalità quasi comiche, se non fossero tragiche. In questa intimità desertificata, Pansy cerca di prendere drastiche decisioni ormai tardive e che forse non vuole nemmeno più mettere in pratica, davanti all’assoluta dipendenza degli uomini della sua famiglia, fragili fisicamente quanto psicologicamente. Una dipendenza che però le permette di far emergere un’umanità, sua e degli altri, tanto negata quanto necessaria. Il film ha una scrittura perfetta e una direzione compatta, che permette alle attrici (brava anche Michelle Austin nel ruolo di Chantelle) di esprimersi al meglio.

Michele Gottardi – ilnordest.it

   Chi è Pansy? Da cosa deriva quel suo indistruttibile livore? Quel suo stare in mezzo agli altri sempre aggressiva, insoddisfatta, come se qualcosa macerasse continuamente la sua serenità? Si guarda attorno e vede il marito idraulico, eternamente incapace di limare le sue asperità; il giovane figlio obeso, cuffie perenni in testa, solitario, debosciato, voglia di fare qualcosa: zero; la sorella parrucchiera Chantelle, forse l’unica con la quale riesca a trovare attimi fuggenti di solidarietà familiare, subito repressi. È una donna graniticamente scontenta, Pansy. E forse non sapremo mai perché: l’infelicità ha radici strane, lontane, non sempre collegate a fatti o fattori accaduti, a drammi vissuti, a volte è congenita e forse è questa è la ragione vera di Pansy, ma anche no, il film non ce lo dice. A quasi 7 anni dalla ricostruzione storica di Peterloo, il regista inglese Mike Leigh, già Leone d’oro a Venezia nel 2004 con Il segreto di Vera Drake, ritorna a quei drammi intimi e familiari, che avevano fatto grande il suo cinema, a cominciare da Segreti e bugiePalma d’oro a Cannes nel 1996. E di segreti e bugie vive questa storia narrata per lunghe scene corali, per frammenti improvvisi, con lunghi dialoghi, scritti come sempre magnificamente dallo stesso regista. Marianne Jean-Baptiste invade lo schermo con la forza e la sua energia conflittuale, con il suo corpo costantemente in battaglia, contro tutto e contro tutti. La scena della Festa della mamma è esemplare nel suo negare ogni possibilità ecumenica, ogni leggera parentesi al dolore e allo sconforto: qui Pansy afferma la sua assoluta incapacità di scavalcare ogni confine, ogni barriera con il mondo, anche quando l’affetto degli altri si fa più urgente, più vicino, più caloroso.

Non si creda a un film totalmente disperato: Mike Leigh, come sempre, sa trarre spunti anche di palese divertimento, di ironia sagace, che possono anche esplodere in sonore risate sullo schermo. E non ha certo bisogno, all’occorrenza, di forzare la mano, di adoperare la tensione come una possibilità insistita di colpire al cuore; semmai è proprio il contrario, è usare senza enfasi lo strazio palpabile di una donna insoddisfatta per ricordarci come la vita ponga delle condizioni insondabili, dove i sentimenti scivolano in modo sdrucciolevole, indeterminato, incomprensibile. Scomode verità (il titolo originale è Hard truths, più durezza che scomodità) è un film che erode pian piano. Ne restiamo a lungo attratti non solo per la qualità eccellente degli altri interpreti (va ricordata almeno Michele Austin, che è la sorella Chantelle, il cui affetto a tratti è commovente), ma per la profonda semplicità con la quale un mondo familiare si mostra, cercando quell’attimo di speranza di cui ha bisogno, che almeno uno dei protagonisti sembra finalmente trovare nel finale.

Adriano De Grandis – ilgazzettino.it

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