marzo 2016

periodico di cinema, cultura e altro... ©

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Reg.1757 (PD 20/08/01)

 

 

Non è ormai più una notizia ma un dato di fatto. Padova non è più FIERA DELLE sue PAROLE! La decisione del sindaco Bitonci (gennaio) di togliere il sostegno economico comunale all’evento promosso e organizzato da Bruna Coscia è stato un vero fulmine a ciel sereno, ha trovato un riscontro d’opinione a livello nazionale, ha stimolato al meglio il sarcasmo di Staino, ma soprattutto sembra aver indignato gran parte della città. La manifestazione che ha invaso il centro, “occupando” le piazze ha avuto una risposta popolare straordinaria. L’obiettivo era quello di “mettere all’angolo la chiusura mentale di una giunta che dopo solo due anni sta spargendo malcontento e insoddisfazione, oscurantismo e protervia". Il sindaco ha cercato di recuperare il consenso popolare mettendo in cantiere la fiera delle idee a firma Sgarbi che avrà l’onere di reinventare la prospettiva culturale cittadina e la sintonia tra istituzioni e pubblico (con, in agguato, le polemiche sulla parsimonia degli investimenti), ma intanto (febbraio) l’incursione della polizia alle cucine popolari sembra aver aperto una nuova crepa nei rapporti tra giunta e l’anima cattolica “solidale” della città e per aprile Università e Curia concretizzaranno il loro appoggio allo staff di Cuore di carta trovando nuovi spazi ed occasioni dove riproporre il suo programma. Certo è che le dinamiche culturale e sociali della città sembrano avere preoccupanti momenti di stridore: la ferita nel cuore libertario di Padova sarà rimarginabile? E, soprattutto, quanto è FIERA Padova del suo Sindaco?

 

andar per Festival...
Alessandro Tognolo - Giovanni Martini

 

 (A.T.) Dopo esserci lasciati alle spalle Venezia e Roma ecco le nuove tappe d'obbligo del critico itinerante. Torino non può certo stare al passo  con Berlino ma il gusto cinefilo del programma piemontese è l'aperitivo giusto prima di immergersi (tre mesi dopo) nell'abbuffata del Filmfestpiele.

Ma tracciare un filo conduttore all’interno della selezione e delle sezioni del 33° TorinoFilmFestival >20 - 28 novembre< è una sfida temeraria e quasi certamente inconcludente. La caratteristica intrinseca di questo festival, che di anno in anno rappresenta al livello nazionale un appuntamento quasi irrinunciabile, è appunto la ricchezza della scelta, l’eterogeneità delle visioni, l’azzardo di ogni percorso che più o meno casualmente si sceglie di intraprendere. C’è da perdersi dunque ma ciò non deve spaventare: ritroviamo le consuete suddivisioni a cui la direzione di Emanuela Martini ci ha abituato negli anni: Concorso, Festa Mobile, documentari, cortometraggi, Onde, la più caratterizzante After Hours, la retrospettiva sulla fantascienza ( l’utopia e la distopia di Cose che verranno. La terra vista dal cinema) e quella dedicata al Guest Director Julien Temple Questione di vita e di morte, che ha consentito di rivedere su grande schermo molti capitoli importanti della storia del cinema, da Scala al paradiso (1946) di Powell a Stalker (1980) di Tarkovsky,  presentando anche l'ultimo film di Temple, The Ecstasy of Wilko Johnson (2015) dedicato, sei anni dopo Oil City Confidential, all’incontenibile chitarrista dei Dr. Feelgod alle prese con un cancro la cui guarigione sembra impossibile.
Il tutto sormontato dalla protettiva figura di Orson Welles, a cui questa edizione è stata dedicata - nel centenario della nascita (6 maggio 1915) e nel trentennale della sua morte (10 ottobre del 1985)  con una immagine simbolo nella locandina e la proiezione di di tre dei suoi capolavori in versione restaurata,
Quarto potere, Rapporto Confidenziale e L'infernale Quinlan.                          >>

 

 (G.M.) Se i festival cinematografici si potessero classificare, come i vini, in annate buone e cattive, la Berlinale di quest'anno non sarebbe certo da annoverare tra le migliori. Aperta da un film dei fratelli Cohen (Ave Cesare) tutt'altro che memorabile, la rassegna al di là di essere troppo ampia (22 film in Concorso invece dei consueti 18: almeno la metà assolutamente non necessari, quando non decisamente orribili o più che altro adatti al circuito commerciale), ha inanellato una serie di delusioni, culminate nel polacco United States of Love, inopinatamente premiato con l'Orso d'Argento per la sceneggiatura. Qualcosa di meglio ci hanno dato le rassegne collaterali come Panorama e Forum; è da qui infatti che viene il film di gran lunga più meritevole del Festival, quel Le fils de Joseph che ci conferma lo straordinario talento di Eugene Green, già autore de La Sapienza.  

Fuocoammare Saint Amour Hedi
La comune Des nouvelles de la planete Mars Morte a Sarajevo
 
 

     Aria di rinnovamento nella struttura della programmazione che il circolo The Last Tycoon ha offerto al Lux anche per il nuovo semestre del cinema invisibile. Dopo la retrospettiva dei capolavori di Ozu  e il recupero  di Heimat, col 2016 la proposta culturale si è fatta ancor più ambiziosa con il corposo omaggio a Marcello Mastroianni: otto appuntamenti settimanali con ben 20 film proposti, cinque dei quali inanellati in un'unica giornata, quella conclusiva, che ha avuto il suo clou in una "intrigante" convegno, e che è stata vissuta con attento approccio critico e appassionata "confidenzialità" sia dai partecipanti alla tavola rotonda che dalla folta schiera dei nostalgici spettatori.
 E si è ribadito il cambio di rotta che già nel 2015 aveva riconfigurato la rassegna-cineforum. Anche il secondo  ciclo del rinnovato SECOND LIFE  si è tenuto lontano dalla verve "popolare" che, nella tradizione dei cineforum recuperava  i successi visti, rivisti (o vergognosamente perduti) delle stagione passate, rifocalizzandosi invece sulle recenti uscite che hanno marginalmente (o per nulla) varcato lo spazio espositivo delle sale cittadine. Un po' la linea del vecchio cinema invisibile, ormai dirottato su retrospettive d'autore e percorsi seriali. Se nella stagione di ottobre-dicembre 2015 è stata sorprendente le presenze di pubblico per un documentario introvabile come Samsara , stavolta il clou si è avuto con la riproposta, in prima visione cittadina, di un gioiello bistrattato dalla distribuzione come Quel fantastico peggior anno della mia vita.
                                                                                                                                                                              e.l.    

 

andar per Mostre...
Maria Cristina Nascosi Sandri

 

  Continua, con successo, la mostra dedicata
alla plurimillenaria civiltà
egiziana intitolata
Egitto
Splendore millenario
 
(capolavori da Leiden a Bologna)
aperta al Museo Civico Archeologico (magnifico e rinnovato contenitore).
L’ESPOSIZIONE Per l’occasione si sono raccolte, integrandosi, la collezione egiziana del Museo Nazionale di Antichità di Leiden in Olanda (una delle prime dieci al mondo, circa 500 reperti) e quella di Bologna, tra le prime in Italia, per un percorso espositivo di circa 1.700 metri quadrati di arte, storia, bellezza, performance e modernità. Nel 2011 il Rijksmuseum van Oudheden di Leiden ed il Museo Civico Archeologico di Bologna hanno sottoscritto un accordo quinquennale con l’obbiettivo di condividere attività di ricerca e culturali, organizzando workshops, convegni e mostre, così come d’esser reciprocamente disponibili al prestito di antichità a breve e lungo termine. Le due istituzioni possono esser considerate gemelle per tradizione museale, prestigio internazionale e patrimonio archeologico, ma, soprattutto, sono le loro collezioni egiziane – che conservano grandi capolavori provenienti dalla stessa area della necropoli di Saqqara – a rappresentarne il trait-d’union principale. A compendio di tanta colta ricchezza sono giunti prestiti eccellenti dal Museo Egizio di Torino, pure tra i più importanti e ricchi al mondo per quanto concerne la civiltà delle Piramidi e da quello di Firenze, secondo in Italia dopo il già citato di Torino.
Così la mostra offre, grazie ai capolavori esibiti, la “storia di una Storia plurimillenaria”, una civiltà unica che da sempre affascina tutto il mondo: l’Egitto delle Piramidi e dei Faraoni, del dio Osiride e della sua amata Iside, le vicende di grandi condottieri e sacerdoti, di dei e divinità, di personaggi che fecero e furono il passato dell’Egitto e che grazie ad archeologia, scoperte e collezionismo non smette mai di rivelarsi, incuriosire, stregare.
Prodotta da Comune di Bologna / Istituzione Bologna Musei / Museo Civico Archeologico e da Arthemisia Group, la mostra è curata da Paola Giovetti e Daniela Picchi.
Il catalogo è pubblicato per i tipi di Skira editore.

  Una mostra d’eccezione quella nella splendida cornice di Palazzo Fava: Guido Reni e i Carracci. Un atteso ritorno. Capolavori bolognesi dei Musei Capitolini. L'evento coglie l’occasione dell’Anno Santo Straordinario e molti sono i patrocini (dal Pontificio Consiglio della Cultura,
alla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna).

L’ESPOSIZIONE In larga maggioranza realizzate su tela, oltre trenta opere, tutte provenienti dalla Sala Bolognese della Pinacoteca Capitolina, all’interno dei Musei Capitolini di Roma. Un patrimonio di indicibile valore che ha segnato una svolta fondamentale nella ricerca pittorica italiana ed europea, un lavoro che è iniziato ai primi degli anni Cinquanta del Novecento, quando un giovanissimo critico e storico dell'arte, il mitico Andrea Emiliani, cominciò ad occuparsi di pittura emiliana. Capolavori dei maestri emiliani visibili, di solito, esclusivamente in riva al Tevere, tra cui alcuni mirabili esempi dell'ultima e misconosciuta produzione di Guido Reni. Decisamente unico e davvero irripetibile anche l’abbinamento fra le opere esposte ed il ciclo di affreschi di Annibale, Agostino e Ludovico Carracci, che corrono lungo le pareti di Palazzo Fava. Insomma, capolavori in abito di... capolavori. Guido Reni, Annibale e Ludovico Carracci, Domenichino, Denis Calvaert, Sisto Badalocchio, Francesco Albani sono solo alcuni degli autori delle stupende opere esposte. Maestri protagonisti di una stagione particolare – la fine del XVI e la prima metà del XVII secolo – che vide consolidarsi legami storici, politici, artistici tra Bologna e Roma con la fioritura della scuola del capoluogo emiliano che, nell’Urbe, trovò il favore di mecenati e committenti di assoluto livello.
La mostra, curata da Sergio Guarino, Curatore Storico dell’Arte della Pinacoteca Capitolina - che ha tenuto in sede di presentazione della mostra una lectio davvero magistralis - è il primo frutto di un vasto progetto di ricerca in cui convergono, sia le vicende di un intelligente mecenatismo, sia gli sviluppi del dibattito pittorico bolognese dei primi decenni del Seicento. ll catalogo è edito da Bononia University Press e Nota Bene Company.

 

 

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  Tra ottobre 2006 e gennaio 2007, nove anni fa, si tenne in Italia, a Milano, la prima grande retrospettiva italiana dedicata a Tamara de Lempicka e venne allestita a Palazzo Reale. Ebbe un particolare significato simbolico, perché proprio a Milano, nel 1925, in pieno movimento Art Dèco, si era tenuta la sua prima personale italiana nella galleria del conte Emanuele Castelbarco, Bottega di Poesia, situata nella già allora elegantissima via Monte Napoleone. È toccata ora a Verona, dopo il recente successo di Torino, la grande mostra monografica di nuovo a lei dedicata, come una delle artiste del Novecento più amate e seguite dal grande pubblico: raccolte, in ordine cronologico, le opere della pittrice polacca a partire dai primi anni ’20 e fino all’ultima produzione risalente agli anni ’50 del Novecento. >>

  

Davvero memorabile la mostra Seurat-Van Gogh-Mondrian. Il Post-impressionismo in Europa. Si tratta di una silloge di dipinti della collezione del museo olandese Kröller Müller, un iter dedicato ai pittori della stagione post-impressionista che, a ragione, si possono definire gli anticipatori delle Avanguardie, frutto della passione della collezionista Helene Kröller-Müller, moglie di un ricco industriale olandese che li raccolse, negli anni, in quello splendido 'contenitore' che è il  Museo che porta il suo cognome.
Ognuno di loro, declinando a livello personale le stagioni precedenti e vivendo un momento storico ed artistico unico, è riuscito a creare un proprio stile, un proprio cromatismo, una nuova stagione che ha fatto da battistrada a chi li ha seguiti, antesignani di cultura pittorica a pieno titolo.
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  Di raffinata intensità la mostra  dedicata a Felice Casorati (Musei Civici Eremitani), fra i maggiori esponenti della pittura moderna nel Novecento italiano, e agli anni giovanili che lo videro formarsi tra Padova, Napoli e Verona.
Il progetto ha proposto un approfondimento sul pittore di origini piemontesi (Novara, 1883 - Torino, 1963), grazie ad una ricca raccolta di grafiche, dipinti ed inediti artistici e documentari. Curata da Virginia Baradel e Davide Banzato (anche responsabili del catalogo Electa) la mostra accoglie e confronta ciò che fino a oggi si sa di quegli anni fondamentali (dal 1896 al 1907) contrassegnati da un eclettismo che è cifra peculiare dell’entusiasmo del principiante dotato di talento. Le opere in esposizione costituiscono un richiamo alla produzione artistica antecedente alla Biennale del 1907, alla cui partecipazione per la prima volta da protagonista si deve l’inizio del successo di Casorati. Tra gli elementi messi in luce dalla mostra, e frutto di un lungo lavoro di ricerca, ecco la figura del “maestro” di Casorati, il pittore padovano Giovanni Vianello, figura di rilievo nel periodo 1902-1906, facente parte della partecipazione alla mostra padovana I sette peccati (1904) a cui prese parte anche il poi-Futurista Umberto Boccioni ed il cui manifesto venne disegnato da Ugo Valeri. Vianello, ai primi del Novecento, era il pittore più considerato in città, uno dei pochissimi ad esporre in mostre nazionali ed internazionali: il rapporto tra maestro e allievo non fu per niente marginale, benché Casorati - dopo il trasferimento a Torino e la svolta radicale - l'avesse in seguito ripudiato.
La mostra sicuramente contribuisce a mettere in luce questo rapporto grazie a confronti inediti. Tra le suggestioni e le scoperte, anche il Ritratto di Tersilla Guadagnini, qui esposto per la prima volta e affine ai modi di Vinello. A definire, infine, l’alta qualità artistica di questa fase giovanile è Persone, quadro che valse al pittore l’invito della delegazione del Carnegie Institute per il Premio di Pittsburgh, in Pennsylvania e che già avvia verso lo splendido periodo veronese.
    

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   È una vera festa dello sguardo il percorso espositivo che a Villa Manin (17 ottobre 2015 - 3 aprile 2016) ha offerto un'ulteriore riflessione sull'arte e lo spirito di Jean Mirò. L'attenzione è sugli ultimi trent'anni passati a Palma di Maiorca, ma al di là della comprensione dell'universo pittorico la mostra permette di “entrare” nella realtà creativa di Mirò attraverso una cinquantina di scatti fotografici con cui è stato immortalato (da Bresson a Mulas, da Man Ray a Gomis) e attraverso un'affascinante coreografia che ricostruisce ambienti e suoni in cui il lavoro di Mirò trovò rinnovata tensione emotiva (la ricerca dell’artista intorno ai temi del silenzio e del vuoto) e una ricomposizione di stile e colore (la “forza” predominante del segno nero).


Nello studio Sert (progettato per lui dall’amico architetto Luis Sert nel 1956) e nello studio Son Boter successivamente realizzato per le sculture di grandi dimensioni, Mirò trova uno “spazio protetto” dove “sognare” e “avere allucinazioni”. E questa la fase in cui, messo da parte il cavalletto, il pittore lavora prevalentemente a terra: camminando, sdraiandosi sui grandi pannelli mentre il colore fresco in eccesso cola sulla tela...
Una mostra evocativa che il titolo Soli di notte indica la via di un ”cosmo” artistico introspettivo e notturno e la mostra che i curatori Elvira Camara e Marco Minuz  offrono al pubblico è un'esperienza evocativa difficile da descrivere a parole, tutta da vedere, percorrere, “penetrare”...

ezio leoni

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in rete dal 18 aprile 2016

 

 

redazione!
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