Bones And All

Luca Guadagnino

Italia/USA 2022 (130′)
VE 79: Leone d’argento per la miglior regia
premio Mastroianni come attrice emergente a Taylor Russel

 

 VENEZIA – Nel ricevere il Leone d’argento Guadagnino, con evidente emozione, ha rivolto un particolare ringraziamento al pubblico, che “ha saputo adeguarsi all’altezza dello sguardo di chi non è conforme”Il suo sguardo, in questo film, e con esso quello dello spettatore, si sposta, sempre in orizzontale, dalle distese lombardo-venete di Chiamami col tuo nome e di We are who we are alle immense pianure dell’America rurale dell’Ohio degli anni Ottanta con i loro cieli infiniti, che appartengono al suo e al nostro immaginario cinematografico, per inseguire due adolescenti, Maren e Lee, due vagabondi in fuga alla ricerca di una propria collocazione, di una propria identità.

  Maren (Taylor Russell, giustamente insignita del premio Mastroianni) è una diciottenne che vive con il padre e, mentre cerca di trovare nuove amicizie nella città dove è arrivata da poco, si trova costretta a fare i conti con la sua “natura”, e un’incontrollabile “fame carnivora” che arriva improvvisa e irrefrenabile e quindi padre e figlia scappano di nuovo, per una nuova città, una nuova vita, forse. Ma il padre (André Holland) decide che per Maren è ora di cavarsela da sola. In quest’America reaganiana, dove le illusioni dei decenni precedenti sembrano essere cadute ad una ad una e dove il futuro non sembra essere previsto per i giovani e gli emarginati, Maren sarà costretta a girare da sola per le strade, che sembrano naturalmente il luogo dei “dimenticati”, dei maledetti, dei senza casa, senza famiglia. E l’incontro con il vecchio Sully (un Mark Rylance che sembra essere uscito da un film di Lynch) le aprirà nuovi orizzonti e anche nuove paure: non è sola in questo mondo di disadattati che si nutrono degli altri, ma nello stesso tempo non si sente neppure protetta da questa invisibile comunità. Tutto cambierà con l’incontro con Lee (Timothée Chalamet), altro strano essere che sembra essere divorato dalla vita, mentre invece è lui a divorarla giorno dopo giorno….Quelli di Maren e Lee sono due corpi in cerca di altri corpi di cui nutrirsi, spinti da una fame, che è bisogno e desiderio di capire, di connettersi con gli altri.

C’è qualcosa nei diseredati, in coloro che vivono ai margini della società che mi attira e commuove”, dice Guadagnino.“Amo questi personaggi. Il cuore del film batte teneramente e affettuosamente nei loro confronti. Mi interessano i loro viaggi emotivi. Voglio vedere dove si aprono le possibilità per loro, intrappolati come sono nelle impossibilità che devono fronteggiare. Vedo questo film come una meditazione su chi siamo e come possiamo superare quello che sentiamo, soprattutto se si tratta di qualcosa che non riusciamo a controllare. Infine, e soprattutto, quando riusciremo a ritrovarci nello sguardo dell’altro?”

Muovendosi con disinvoltura tra due generi a lui cari, il romanzo di formazione e l’horror, Guadagnino, in collaborazione con Dave Kajganich (autore della magnifica serie The Terror), con il quale aveva già lavorato in A bigger splash e Suspiria, ha realizzato un film, che parla di solitudine e di voglia di uscirne, di perdita della propria identità e del desiderio di ritrovarla, in un processo di crescita, ma anche, letteralmente e metaforicamente di cannibalismo, di bisogno di nutrirsi della carne e dei sentimenti degli altri.

Bones and all (riferimento al romanzo di origine di Camille De Angelis) parla di ossa (la regia non nasconde nulla dei truculenti banchetti, mostrando lembi di pelle lacerati e arti divorati fino all’osso), ma soprattutto di tutto il resto (all): alle ossa si contrappone la carne, il desiderio, un’irrefrenabile voglia di vivere e di amare. In fin dei conti si potrebbe dire, e si è sentito dire, che si tratta della solita storia d’amore tra adolescenti diversi, problematici, alla ricerca di un’identità, dove l’aspetto horror non è che una metafora della condizione adolescenziale, ma Guadagnino è riuscito a farne un film dolcissimo, romantico e inquietante al tempo stesso, dove l’esperienza sensoriale prevale su quella narrativa, perchè, come solo pochi registi sanno fare, lui stesso ama e divora letteralmente i suoi protagonisti, sembra davvero nutrirsi delle loro emozioni, percepire i loro battiti cardiaci, trascinando così lo sguardo dello spettatore dentro questa storia d’amore possibile soltanto a condizione di passare attraverso il suo opposto, il dolore.

Cristina Menegolli – MCmagazine 76

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